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La memoria e i suoi nemici

Da Jonila Godole

I risultati dell’ultima indagine per quanto riguarda l’approccio della società albanese verso la dittatura erano prevedibili. L’alto supporto che il regime comunista e il dittatore Hoxha gode ancora oggi dalle generazioni anziane come anche da quelle nuove, non può sorprendere nessuno. Questo atteggiamento lo vedi negli studenti all’interno dell’auditorium dell’università, negli studenti e negli insegnanti nostalgici delle scuole superiori di tutto il paese. Sono sorpresa da chi pensa che la dittatura è morta (viva la democrazia!) e gli albanesi si sono divisi dal loro doloroso passato.

Quanti di noi sono a conoscenza che il 20 febbraio è stato dichiarato giorno nazionale della memoria? E quanti sanno il simbolismo del 20 febbraio? Quanti ex detenuti, ex internati e le famiglie dei giustiziati sono state presenti nelle scuole in questi 25 anni, e quanti ex veterani o figli dei veterani?

Vi illustro questo con un esempio concreto. Alcuni mesi fa, con i giovani del liceo, in un’attività di sensibilizzazione di IDMC per la dittatura, da qualche parte al sud del paese, l’autorità locale non ci ha permesso di usare gli spazi pubblici della città, la scuola o il cinema, usando il pretesto: “I veterani si arrabbieranno e non ci daranno il voto nel 2017.” Mentre gli insegnanti hanno preferito non entrare nell’attività, quando hanno sentito che il documentario criticava Enver Hoxha e il suo regime.

Questa è, oggi, la vera situazione della memoria in Albania: nostalgia del passato e mancanza totale di informazioni. E le conseguenze del non affrontare il passato le abbiamo viste anche nelle risposte dei giovani durante l’ultimo sondaggio, realizzato dall’OSCE. Poiché la memoria è un processo dinamico, cambia nel tempo, e si può anche spengnere se non viene alimentata.

Non alimentando la memoria con fatti e prove e tacendo sulla dittatura, abbiamo alimentato l’oblio. Noi siamo un popolo che il passato lo converte secondo gli interessi del momento, senza il coraggio di affrontare quello che era ieri. Siamo un Paese con oltre 700 lapidari, migliaia di bunker e dove gli slogan per la lotta di classe dominano il paesaggio, ma abbiamo distrutto i luoghi famigerati della memoria, le carceri, i campi di concentramento e di sterminio. Siamo un Paese in cui le vittime del regime e i loro persecutori vivono ancora in mezzo a noi, e dove i capi non sono stati condannati. E più passa il tempo, più testimoni oculari dei crimini della dittatura perdiamo tutti i giorni, perdendo con loro la prova di resistenza al regime.

Da alcuni anni c’è un serio impegno da parte di diverse istituzioni statali e indipendenti in merito al cosiddetto “processo per affrontare il passato”.

All’inizio c’era la fondazione Konrad Adenauer, in seguito l’OSCE, l’Ambasciata tedesca, etc. che hanno contribuito a far mettere all’ordine del giorno della politica e dei media questo importante problema. Avere la necessità che in questo processo entrino delle istituzioni internazionali, come garanzia per il buon esito della causa, dimostra purtroppo il nostro fallimento, poiché non siamo in grado di riflettere autonomamente e indipendentemente sul passato e sulla nostra storia.

Dimostra anche il fallimento della classe politica dal 1990 fino ad oggi. I rappresentanti di tutte le tendenze politiche, con il loro silenzio, hanno alimentato la prospettiva ingenua e miope che “il passato deve essere lasciato indietro” e che “dobbiamo guardare avanti”, come se la memoria collettiva di un popolo potesse iniziare improvvisamente da “0”?!

L’incertezza che accompagna la nuova generazione quando parla di questo periodo, sotto l’influenza di informazioni contrastanti, viene evidenziata da uno studente della scuola “Çajupi” che, dopo una visita con la classe sul luogo della memoria a Scutari, dove i giovani hanno visto in prima persona la persecuzione, dice: “Mio nonno pensa ancora che lo stato di Enver Hoxha era esattamente quello giusto per gli albanesi e che l’eliminazione dei traditori e sabotatori fosse necessaria in quanto erano contro il partito”.

Forse c’è speranza, se diamo ai giovani la possibilità e gli strumenti per studiare attentamente la storia. L’Autorità dei Dossier e il progetto pilota di ISKK vogliono presentare agli studenti di Tirana un altro volto del regime che mancava finora nei programmi scolastici.

Ma questo è solo l’inizio di un processo che sarà probabilmente lungo e doloroso e che dovrebbe iniziare con l’analisi delle ragioni per le quali è rimasto così a lungo intatto. Come può la società chiudere gli occhi di fronte alla persecuzione di migliaia di persone, parenti, vicini, amici?

Solo quando iniziamo a rispondere a queste domande e a molte altre, potremo dire che abbiamo iniziato il nostro confronto con il passato. In caso contrario, la “Memoria” rischia di trasformarsi in una parola che serve solo a riempire vuote agende politiche, come e’ accaduto spesso in questi 26 anni.

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato da Panorama.com.al e tradotto da Exit.al

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