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“Pronto? L’Italia censurata dalle telefonate di Radio Radicale“ (Mondadori). Sono passati trent’anni e sembra oggi!

Da Roberto Spagnoli

Invettive, minacce e insulti fanno parte purtroppo ormai da tempo della realtà dei social network. Il “dibattito” fiorito in queste settimane di campagna referendaria non ha fatto eccezione: anzi, semmai ha contribuito ad accendere ulteriormente l’animosità di molti in senso deteriore. E’ la pancia del Paese, si dice.

Ma chi si stupisce o prova disgusto e pensa che questa realtà sia un segno dei tempi che viviamo, forse ha dimenticato o non sa (perché magari non era nemmeno nato) che ciò che si agita nelle viscere del Paese fu portato alla luce già trent’anni fa attraverso Radio Radicale.

Nel luglio del 1986 la Radio si trovava sull’orlo della chiusura definitiva per mancanza di fondi. Fino a quel momento la sua vita e il servizio di trasmissione dei lavori parlamentari che essa garantiva era stato assicurata dal Partito Radicale che girava alla radio la sua quota di finanziamento pubblico dei partiti. In questo modo il PR restituiva in informazione ai cittadini il denaro che riceveva grazie ad una legge a cui si opponeva. In quell’anno la situazione però era divenuta insostenibile: da qui la decisione di sospendere le trasmissioni.

Al posto dei normali programmi vennero mandati in onda i messaggi di solidarietà che gli ascoltatori erano invitati a lasciare sulle segreterie telefoniche appositamente predisposte. Come per i fili diretti, chiunque aveva a disposizione un certo tempo per registrare un messaggio.

Le telefonate venivano poi trasmesse tutte, integralmente e senza filtri. In breve tempo i messaggi a sostegno della radio furono sostituiti da sfoghi e invettive sugli argomenti più vari: contro i meridionali (e per reazione contro quelli del nord), contro gli extracomunitari, contro i politici, i partiti, le forze dell’ordine, i preti, questa o quella squadra di calcio. La politica si mischiava al calcio e al sesso con un linguaggio aggressivo a base di turpiloquio (spesso fine a sé stesso), bestemmie comprese, e fu “Radio Parolaccia”

L’anonimato e la mancanza di filtri, uniti alla certezza di andare in onda, diedero la stura ai peggiori istinti e rivelarono l’esistenza di un’Italia profonda, razzista, sessista, intollerante e violenta che covava sotto la coltre di un sistema politico che viveva, inconsapevole, i suoi ultimi anni di vita e di un’informazione mainstream, legata al regime partitocratico, che non era in grado di cogliere cosa davvero si agitava nelle viscere del paese (e nemmeno molto glie ne importava).

Di lì a qualche anno tutto esplose e fu, come usa dire, sdoganato. Nell’archivio sonoro di Radio Radicale – che raccoglie quasi 500 mila documenti sonori audio e video – ci sono le registrazioni do quelle telefonate. Una parte rappresentativa è stata pubblicata nel libro “Pronto? L’Italia censurata dalle telefonate di Radio Radicale“ (Mondadori).
Sono passati trent’anni e sembra oggi.

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