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Una vicenda relativa all’Albania durante la Seconda guerra mondiale, rimasta per molti anni sconosciuta

Di Franco Tagliarini

Una vicenda relativa all’Albania durante la Seconda guerra mondiale, rimasta per molti anni sconosciuta

(Pubblicato originariamente da Albania News il 13 febbraio 2017)

Il 30 gennaio 2017 l’Associated Press, il New York Times e oltre 100 quotidiani americani hanno pubblicato – in occasione della morte di Harold Hayes, medico militare, avvenuta il 22 gennaio 2017 all’età di 94 anni nella città di Herdford in Oregon – un articolo di particolare interesse per l’Albania.

Il Dottor Hayes era l’ultimo sopravvissuto di un gruppo di medici e infermieri che – durante la Seconda guerra mondiale – trascorsero nove settimane nell’Albania occupata dalle truppe tedesche sfuggendo alla cattura e soffrendo terribili privazioni.

L’episodio era stato fino ad oggi coperto dal segreto militare allo scopo di proteggere da rappresaglie i partigiani albanesi, gli abitanti dei villaggi che avevano dato loro cibo, rifugio e indicazioni per la strada da percorrere e gli agenti segreti che li avevano aiutati a salvarsi.

L’8 novembre 1943 Hayes, con un gruppo di 13 medici e 13 infermiere, oltre a 4 membri dell’equipaggio, era a bordo di un aereo disarmato partito da Catania e diretto a Bari, dove numerosi militari americani feriti erano in attesa di rimpatrio. Il personale sanitario era destinato a prestare le proprie cure ai feriti durante lo sbarco sulle coste italiane, e quindi a far ritorno alla loro base dopo un breve periodo di permanenza a Bari.

Ma, a causa delle avverse condizioni meteorologiche, delle nuvole che impedivano la visibilità e di un guasto alla bussola di bordo, l’aereo andò fuori rotta, attraversò il mare Adriatico e fu attaccato dalla contraerea tedesca e da caccia nemici.

Rimasto senza carburante, il pilota tentò un atterraggio di fortuna a circa 50 chilometri dalla costa, in territorio albanese.

L’atterraggio fu piuttosto avventuroso e l’aereo cappottò a causa del terreno fangoso. Soltanto un membro dell’equipaggio rimase ferito, mentre tutti gli altri ne uscirono incolumi.

Gli americani, disorientati, non avevano alcuna idea di dove fossero. Temendo l’esplosione dell’aereo, lasciarono subito il velivolo. Ebbero un colpo di fortuna, incontrando un gruppo di uomini armati. Hasan Gina, un partigiano che conosceva qualche parola di inglese, spiegò loro che si trovavano in Albania. In seguito vennero a conoscenza di essere a circa 300 chilometri da Bari, circondati da truppe tedesche e nel bel mezzo di una guerra civile tra gruppi di partigiani di opposte fazioni.

Gli americani non sapevano nulla dell’Albania: non vi erano ferrovie e solo poche strade: muli e cavalli erano il solo mezzo di trasporto e iniziarono a marciare nella direzione sbagliata, verso l’interno e non verso la costa adriatica. Nelle settimane seguenti, guidati dai partigiani, attraversarono vallate e montagne, spesso facendo giri più lunghi per evitare le pattuglie tedesche.

Essendo impossibilitato a camminare a causa della ferita al ginocchio, tutti i compagni portarono con loro il membro dell’equipaggio ferito nell’atterraggio e percorsero oltre 600 miglia (circa 900 chilometri). Soffrirono la fame, la sete e speso marciarono per 24 ore di seguito.

A causa della stagione invernale che avanzava soffrirono il freddo, essendo i loro indumenti estivi e le loro calzature ormai inservibili per le lunghe marce in montagna.

Dopo i loro primi cinque giorni albanesi giunsero a Berat, controllata dai partigiani, e furono scambiati per una avanguardia delle truppe alleate che avrebbero dovuto liberare l’Albania.

Dopo appena cinque giorni dal loro arrivo, Berat fu però occupata dai tedeschi e quindi il gruppo lasciò precipitosamente la città, salendo a piedi in un villaggio di montagna, dove si trovarono nel bel mezzo di un combattimento tra gruppi rivali di partigiani.

Nella confusione dell’occupazione di Berat, tre infermiere rimasero dietro le linee. Si rifugiarono in una fattoria in campagna, dove rimasero per quattro mesi.

Nel frattempo furono considerati, dal loro comando, “Dispersi in missione”, e furono inviate alle loro famiglie lettere che comunicavano la loro condizione di dispersi in guerra.

Il 27 novembre 1943 il Servizio Segreto Inglese in Albania ebbe notizia dai partigiani che un aereo americano era precipitato in Albania e che tutti coloro che erano a bordo erano sopravvissuti e stavano tentando di raggiungere la costa. Questa notizia fu comunicata solo al Gen. Dwight D. Eisenhower, Comandante delle truppe alleate in Europa, al Presidente Franklin D. Roosevelt e alle famiglie dei militari dispersi.

Iniziò subito un’azione di ricerca e recupero da parte americana ed inglese con alterne vicende e notevoli difficoltà: ma il 9 gennaio 1944, dopo 63 giorni di traversie, 10 infermiere, 17 medici e i membri dell’equipaggio si imbarcarono su una lancia inglese e – attraverso l’Adriatico – raggiunsero le coste meridionali italiane. Le tre infermiere, che erano rimaste dietro le linee tedesche a Berat, raggiunsero anch’esse – a cavallo di muli – nel marzo del 1944 la costa albanese e da lì, con un’imbarcazione militare, attraversarono il mare verso l’Italia.

La notizia della loro fuga dall’Albania fu tenuta segreta per anni per salvaguardare i partigiani albanesi che avevano facilitato il loro percorso. Alcuni di essi caddero per mano dei tedeschi in azioni di guerriglia. Ma, dopo la fine della guerra, il dittatore comunista Enver Hoxha fece fucilare quei partigiani che erano sospettati di aver aiutato gli americani in questa vicenda.

“Per molti anni – affermò nel 2015 in un’intervista al New York Times il dottor Hayes – non ho mai parlato di quanto era avvenuto in Albania nel 1943″.

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