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L’Albania vent’anni dopo il 97, tra le proteste spontanee e la pena di morte

Di Exit.al

In questi giorni il dibattito pubblico in Albania, sollecitato dalla protesta organizzata dal PD nella Tenda della Liberta’ installata nel mezzo del Boulevard, spesso ricorre a confronti e paragoni con eventi similari a suo tempo organizzati dall’opposizione di turno, e infine, data la situazione di probabile ingorgo (o collasso) istituzionale, gli argomenti dei vari commentatori hanno iniziato a cercare similitudini con gli eventi del 1997.

Sono passati ormai venti anni da quei giorni turbolenti e caotici che buttarono nel caos piu’ totale l’Albania e il cui costo sociale stiamo pagando ancora oggi, con la presenza dilagante di criminali in ogni attivita’ sociale, iniziata allora e arrivata recentemente a occupare molti seggi del Parlamento.

Una profonda riflessione su quel periodo sarebbe utile a tutta la societa’ albanese, ma in questo ambiente politico che si sta surriscaldando rischierebbe di riaprire il problema dal verso sbagliato, riproponendo i motivi di un conflitto mai sopito, invece di cercare i modi per evitare che si riproponga.

Vent’anni dopo quei fatti varie differenze balzano agli occhi rispetto alla situazione attuale, ne proponiamo solo alcune come contributo al dibattito, senza alcuna pretesa di esaurire qui l’analisi su un evento storico assai complesso e, ancora oggi, in parte sconosciuto.

La prima: l’irritazione popolare che vediamo oggi, causata direttamente dall’arroganza del governo e dalla sua evidente volontá di affrontare i problemi solo quando il beneficio é direttamente a favore di un qualche intreresse particolare, e’ trattenuta dalla consapevolezza che ogni parte politica finora avvicendatasi alla guida del paese ha prodotto risposte ugualmente insoddisfacenti. La delegittimazione colpisce l’intera classe politica del paese, e la risposta popolare sembra essere generalmente quella della rassegnazione e della rinuncia alla difesa dei propri diritti, mentre l’emigrazione appare come l’unica strategia individuale possibile. Nel 1997 invece c’era, almeno in gran parte della popolazione, una speranza di poter avere un governo capace e credibile per poter affrontare le sfide di un sistema politico, quello del libero mercato capitalistico, ancora non bene compreso e per il quale allora non si aveva molta esperienza.

La seconda: il coinvolgimento di paesi terzi, a differenza di allora, e’ oggi quasi inesistente, anzi, all’opposto, la complessa situazione economica e politica mondiale e regionale ha finora distratto il mondo esterno da quanto sta avvenendo in Albania, lasciando,di fatto, il campo libero ai fattori locali, alle loro complicita’ e alle loro incongruenze.

La terza: se nel 1997 nel mondo circostante l’Albania non c’era nessuno spazioper ogni genere di dittatura, e le parti in conflitto in realta’ discutevano solo di chi avesse il diritto di amministrare la nuova stagione del capitalismo albanese, nel contesto attuale abbiamo una evidente crisi, politica ed economica, di quelle repubbliche democratiche (basate sul libero voto e sul libero mercato) che abbiamo seguito come esempio in questi venti anni, mentre si fa strada anche nel mondo europeo occidentale il modello della politica impostata sulla singola persona, sul leader carismatico capace di decidere, sull’uomo forte, utile se non necessario, nelle situazioni difficili. Erdogan e Putin sono oggi i modelli di successo, cresciuti e sviluppati in contesti ben differenti dal contesto europeo occidentale, ma purtroppo molto piu’ vicini alla storia e alla situazione albanese.

La quarta differenza e’ che venti anni di ininterrotta predicazione europea sulla democrazia e sui diritti dei cittadini hanno comunque lasciato un segno nella societa’ albanese, e la diffusissima esperienza di emigrazione in Europa ha fatto il resto, generando una percezione popolare molto piu’ diffusa di cosa dovrebbe fare uno stato per i suoi cittadini.

Per tutti questi motivi oggi vediamo Lulzim Basha tentare di innescare una rivolta popolare senza usare il kalashnikov, mentre al Parco del Lago, come a Durazzo, vediamo gruppi di cittadini, di fatto volutamente estranei all’azione dei partiti politici, che esprimono apertamente il loro profondo dissenso per il governo cimentandosi in questioni in realta’marginali pur di non essere confusi con quel mondo politico che li ha profondamente delusi: sono pochi, ma sono molto significativi di un percorso forse irrevocabile.

Ma oggi di fronte ai protestanti (siano quelli della Tenda o quelli della Veliera) c’e’il modello Erdogan,cioé quello di colui che ha fatto una  riforma della giustizia per disfarsi dei giudici qemalisti, che arresta i giornalisti che gli si oppongono, che riempe gli stadi di prigionieri politici, che chiede il referendum per diventare incontrastabile, che chiede la pena di morte per sopprimere gli oppositori, che minaccia l’Europa mentre cerca di giocare su molti tavoli, con i russi, con gli americani, con i ribelli siriani. Che prende le decisioni, da solo, come un sultano, e che in Albania ha un vero discepolo che, pur senza averne la forza, ne vorrebbe seguire le orme.

E questo discepolo ritiene di essere legittimamente in carica, e per questo non si vuole dimettere, almeno in questo proprio come Berisha nel 1997.

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