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Migranti, da lavapiatti a Croce d’Oro della Repubblica di Austria e consigliere di un primo ministro

Fate Velaj autore di un romanzo autobiografico, “Kreutzanne”, che racconta la storia di uno “che ce l’ha fatta”

di ANNA MARIA DE LUCA

ROMA – Fate Velaj, giovane albanese, sognava l’Italia. Ma alla fine scelse di emigrare in Austria. Arrivò attraversando il Kosovo nel 1991 in pantaloncini e maglietta, con 50 euro in tasca. Ora è internazionalmente conosciuto per i suoi meriti nella costruzione di ponti tra popoli – pluripremiato dal Parlamento europeo, dall’Austria e dell’Albania – e per la sua arte. Di fronte alla disperazione di migliaia e migliaia di migranti che ogni giorno tentano di sbarcare in Europa, ha deciso di raccontare, ventiquattro anni dopo, la sua esperienza da migrante che ce l’ha fatta. Da tre anni lavora come consigliere del Primo ministro albanese ma la strada è stata lunga e difficile.

Perché decise di non seguire il suo sogno di venire in Italia?

Emigrai dall’Albania nel ’91. Era tutta la vita che sognavo l’Italia ma quando ho visto la grande quantità di persone che si dirigeva nel vostro Paese ho deciso che sarebbe stato più saggio puntare sull’Austria. Partii da solo perché mia moglie era al quarto anno di università ed era giusto che finisse gli studi prima di spostarsi in Austria.

Come fu il primo impatto?

Finii in un crocevia in montagna (da qui il nome del libro, Kreutzanne), con tre indicazioni: erano tre nomi di villaggi e si trovavano tutti a cinque chilometri dall’incrocio. Rimasi mezz’ora ad aspettare, fermo, sperando che arrivasse qualche auto a cui chiedere quale fosse il più grande centro abitato, ma non passò nessuno. Dopo 40 minuti di attesa inutile compresi dentro di me che avrei dovuto ristrutturare i miei sogni. Mi trovavo in una nuova realtà: non era l’Italia che sognavo ma una terra sconosciuta

E a quel punto cosa decise di fare?

Non sapevo dove ero e cosa sarebbe successo, non sapevo che strada avrei preso e conoscevo solo tre parole in tedesco che significavano “alt”, “attenzione” e “aiuto”. Mi sono fatto forza ed ho deciso: devo restare qui ed imparare la lingua e la cultura. E cosi studiai la letteratura tedesca, i grandi poeti della lingua di quel Paese e iniziai a cercare lavoro.

Che lavoro trovò?

Ha fatto il lavapiatti in un grande ristorante. Ne vado fiero, anche il Primo ministro inglese e Jennifer Lopez hanno detto che hanno fatto i lavapiatti. Poi cercai di cambiare e cosi andai a lavorare in una fabbrica, dove facevo tre turni. In contemporanea ripresi a dipingere. Vengo da una famiglia che ha studiato e volevo migliorare la mia condizione. Avevo sempre in mente l’unica indicazione che mi aveva dato mio padre prima di partire dall’Albania: “cerca di approfittare della cultura di questa gente”. Per questo ho voluto imparare tutto del mondo tedesco, anche se in tv continuavo a guardare solo la Rai perché sono cresciuto, dal primo respiro,  con mamma Rai sognando l’Italia, e non potevo farne a meno. Ed ho studiato all’università, a Vienna, art and cultural management

E cosi prese la via dell’arte e delle mostre

Si, ne ho inaugurato anche una anche a Roma lo scorso anno, nello spazio espositivo Canova 22: “Tra Fate e Fate” a cura di Rezarta Zaloshnja, un repertorio creativo che spazia tra pittura, fotografia e scrittura e dà vita ad un flusso di coscienza che risiede dentro di noi, dove il “tutto” è lo spazio vitale dell’ esplorazione, continua opportunità di approfondimento culturale, possibile scambio a livello sociale, politico, culturale ed artistico.

Qual è il passaggio che le sta più a cuore nel libro?

Quello dove racconto la perdita del primo bambino. Tre giorni prima che nascesse sognai qualcuno che mi diceva che non sarei diventato padre e cosi fu. Mia figlia nacque morta con il cesareo, in Austria. Una premonizione simile capitò a mio padre: mi raccontò infatti di aver visto in sogno sua madre che le diceva che mia figlia non sarebbe nata ma che due anni dopo avrei avuto una bambina. Ed andò esattamente cosi.

Cosa rappresenta per lei il crocevia da cui ha preso il nome il libro?

Il libro si chiama “Kreuztanne/Crocevia” e prende il nome dall’Hotel in cui si sistemavano gli immigrati provenienti dai paesi dell’Est Europa in Austria, negli anni ’90. La coincidenza vuole, come maschera del destino, che questo hotel si ponga, geograficamente parlando, nell’incrocio “confinante” di tre cittadine differenti; ironia e sorte di un crocevia nel cammino del destino. In questo caso, tale sorte ha tracciato la sottile e labile linea di incontro tra l’uomo e l’artista.

E poi iniziò a lavorare per il governo

Si, dopo aver aperto diverse grandi mostre ed esser diventato noto nel mondo dell’arte, iniziai a lavorare  per il governo austriaco, nel 2000, come costruttore di ponti per la cultura tra i popoli. Dopo l’11 settembre misi in campo con il ministro della cultura egiziano uno scambio tra Danubio e il Nilo, con una grande mostra al Cairo e a Vienna e cosi via. Nel 2004, nel palazzo presidenziale rumeno.

Cosa pensa di quanto sta accadendo con gli immigrati?

Quando iniziai a vedere nelle televisioni italiane, albanesi, austriache e tedesche grandi carovane di profughi decisi che dovevo far vedere alla mia famiglia dove iniziò la mia storia. Andammo in quel crocevia, con piccolo albergo, dove mi ero ritrovato, solo e senza conoscere la lingua, 24 anni prima. Portammo regali per i bambini siriani. Ci tenevo a dire ai miei figli: io ero uno di loro, ero uno dei migranti dei paesi ex comunisti. Poi andai a casa e iniziai a scrivere il romanzo

Quanto impiegò?

Solo due settimane e mezzo, era una vera e forte esigenza scriverlo. Ho iniziato il 27 luglio ed ho finito il 10 agosto, sono circa duecento pagine. In Albania sta circolando molto, l’ho scritto come un paesaggio: è stata la mia reazione ai fatti che stanno accadendo in questi giorni. E’una prosa piena di metafora

Vuole essere un messaggio di speranza per chi emigra?

Si, io ce l’ho fatta e con la mia storia dimostro che è possibile farcela. Reagire con una retrospettiva alla tragedia dei migranti è una scelta molto personale: volevo raccontare un viaggio chiamato vita, la voglia di farcela, di integrarsi, di conquistare il mondo culturale del Paese nel quale si sceglie di vivere. Chi emigra non deve perdere la propria cultura ma deve collegarla a quella del luogo in cui si trova

Cosa può consigliare a chi emigra oggi?

Non puoi vivere in Italia con la mentalità siriana o bosniaca. Se scegli un Paese europeo, devi vivere con la mentalità europea. Diceva Paul Valery che è europeo tutto ciò che è significato da tre ponti: Gersualemme, Atene e Roma./Repubblica.it

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