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Exit.al: La crisi dei Call Center

Il governo italiano, in un legittimo tentativo di limitare al massimo la delocalizzazione del lavoro, dopo aver introdotto pesanti sanzioni per le compagnie di call center che non rispettano le regole nel dichiarare da dove chiamano, ha realizzato ieri un altro passo per mantenere in Italia le commesse dei servizi telefonici.

Questa volta lo strumento non e’ quello obbligatorio di una legge, peraltro difficilmente applicabile nel contesto europeo, ma quello piu’ diplomatico dell’accordo su base volontaria, scaturito da una costante pressione di “moral suasion” messa in atto dal Ministro dell’Economia Carlo Calenda, gia’ importante rappresentante della Confindustria, e pertanto portato alla trattativa con le imprese.

I 13 piu’ importanti clienti italiani del settore dei call center, cioe’ le aziende che per la loro natura e dimensione piu’ usano quel tipo di servizio, hanno firmato ieri con il ministro Calenda un accordo in cui si impegnano a riportare in Italia entro sei mesi il 95% delle attivita’ realizzate direttamente e di realizzare in Italia almeno l’80% dei nuovi contratti di outsourcing con fornitori esterni.

Il settore Call Center occupa attualmente circa 80.000 persone in Italia e circa 25.000 in Albania; la maggior parte dei contratti delle aziende che operano in Albania sono di origine italiana, e le 13 aziende che hanno firmato l’accordo con il Ministero dell’Economia costituiscono da sole circa il 65% del mercato italiano.

Adesso per il mercato albanese si apre una stagione difficile, con un presumibile importante calo delle commesse e una affannosa ricerca di nuovi sbocchi commerciali.

La facilita’ linguistica degli operatori albanesi e la diffusione della lingua inglese sembrano gli unici strumenti attualmente a disposizione degli operatori per attennuare gli effetti di questo accordo, mentre la ricerca di nuovi contratti su altri mercati diversi da quello italiano procede affannosamente.

Il governo albanese appare per ora del tutto incapace di una reazione efficace, distratto dalle operazioni elettorali e dalle discussioni politiche interne, ma il rischio che presto circa la meta’ dei 25.000 giovani attualmente impiegati si ritrovi disoccupata e’ molto alto.

Pur tra tante polemiche, la presenza dei call center italiani nelle principali citta’ albanesi ha consentito negli ultimi anni un assorbimento di molta disoccupazione giovanile e spesso anche con discrete remunerazioni che sono andate aumentando con la concorrenza e con lo sviluppo delle nuove funzioni professionali necessarie al sistema.

Adesso, per di piu’ in una situazione preelettorale e alla viglia di una crisi politica presumibilmente lunga, la riqualificazione e il ricollocamento di questi giovani appare difficile e non immediato, e richiedera’ senz’altro un cambio di passo del governo, che dovra’ passare dalla solita propaganda vuota fin qui attuata nel settore della formazione professionale ad azioni efficaci di riqualificazione professionale e di contemporanea attrazione di nuove imprese capaci di utilizzare risorse piu’ qualificate.

Appare comunque improbabile che le gia’ scarse risorse pubbliche albanesi, normalmente destinate a sovvenzionare finti progetti di formazione gestiti dai soliti amici locali, possano essere destinate ad aquistare all’estero le competenze necessarie ad evitare un imbarazzante incremento della disoccupazione intellettuale giovanile.

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