Home Gjeo-Ekonomia Il modello Erdogan per una Albania non sostenibile

Il modello Erdogan per una Albania non sostenibile

Nga Carloalberto Rossi, Exit.al

Un anno dopo il fallito golpe, il nuovo sultano turco Recep Erdogan ha consolidato il suo potere in ogni aspetto della vita politica e sociale turca, magari al prezzo di 150.000 licenziamenti di dipendenti pubblici e 50.000 arresti di presunti dissidenti, ma e’ riuscito a vincere un referendum che gli ha dato poteri straordinari, al contempo prolungando indefinitamente quello stato d’assedio che ha fatto il resto.

Giusto per fare un paragone, se in Albania Rama volesse fare lo stesso, in proporzione dovrebbe arrestare circa 2.000 persone, e licenziarne altre 6.000. Certamente in Albania l’occupazione fascista del 1939 ha fatto meno vittime.

A giudicare dai recenti proclami di Edi Rama, probabilamente entro poco vedremo qualcosa di simile in Albania, solo che invece dei seguaci di Fetullah Gulen, ad essere licenziati o arrestati saranno i seguaci di Ilir Meta, come quelli, in passato indispensabili per arrivare al potere, e oggi invece ostacolo per il completamento del similare disegno politico.

Curiosamente fu’ proprio Meta, da Presidente del Parlamento, mentre Rama taceva impacciato, a contrastare recisamente l’iniziativa di Erdogan che chiedeva la chiusura delle scuole di Gulen in Albania, in occasione della sua visita nel maggio 2015 a Tirana.

Ma il nuovo sultano turco non si ferma per cosi’ poco, e da allora le sua ambasciate hanno continuato a richiedere arresti ed estradizioni in mezzo mondo, anche se per ora con scarsissimi risultati.

E’ indubbio pero’ che Erdogan eserciti un grande fascino su molti politici, in particolare su quelli che si sentono limitati da carte costituzionali o altri inciampi simili, che vedono in lui un uomo che ha saputo piegare il destino alla propria volonta’, con una persistenza degna di essere riportata nei libri di storia. E questo capita soprattutto nelle varie repubbliche nate dall’esplosione dell’Impero Ottomano prima, e della Yugoslavia e dell’Unione Sovietica poi, dove prima tutti adoravano Kemal Ataturk e ora con la stessa facilita’ adorano Recep Erdogan, che di Ataturk e’ l’opposto storico, ideologico e forse pure metodologico.

Insomma, l’uomo forte in politica paga ancora, e forse non solo in questa parte del mondo, e sicuramente paga ancora in Albania, terra che dai turchi e’ stata invasa, conquistata, occupata, convertita, tassata, depredata, soggiogata e infine abbandonata, con pochi rimpianti e nessuna rimanenza attiva, ne’ per gli uni, ne’ per gli altri. Cinque secoli immobili e senza frutto, con una sola pesante eredita’: la fissazione culturale del complotto, dell’inganno, come unico motore della Storia e unica spiegazione delle cose del mondo.

Infatti oggi la Turchia ricorda agli albanesi quello che sono stati e ancora sono, e che forse nemmeno la Turchia e’ piu’, mentre l’Occidente rappresenta ai loro occhi quello che loro vorrebbero, ma non riescono, ad essere. Non e’ amore, quello che lega l’Albania alla Turchia, forse e’ un timore atavico, forse qualche rigurgito in senso antigreco, ma niente di piu’.

Negli anni successivi alla caduta del Muro la Turchia non ha mai richiesto un visto d’ingresso per gli albanesi, eppure le fughe, le speranze e le emigrazioni di massa sono state dall’altra parte, verso quell’Occidente a cui l’Albania formalmente si sforza di appartenere.

A rifugiarsi in Turchia ci hanno pensato solo i personaggi protagonisti della bancarotta delle Piramidi, o i delinquenti seriali che a loro sono succeduti, non il popolo.

Ancora oggi la Turchia, diventata una potenza economica, investe in Albania con le sue imprese, ma gli albanesi scappano in Germania, come gli stessi turchi, e pure i siriani, del resto.

Infatti gli albanesi celebrano Skanderbeg “difensore della Cristianita’” e flirtano con i turchi, si dichiarano francofoni e si rincoglioniscono di telenovelas turche, si autoproclamano terra della tolleranza religiosa e guardano all’islamico Erdogan come ad un Messia, si ingozzano negli alberghi “tutto compreso” di Antalya, ma non mandano i loro figli a studiare a Istanbul.

Perche’ la Turchia rappresenta l’anima antica, rurale, selvatica, primordiale di quella parte della popolazione albanese che ha visto nella pastorizia il suo momento di massima civilizzazione, mentre i ceti urbani (oggi quasi tutti migrati in occidente, oppure soccombenti) e gli abitanti della fascia costiera hanno sempre avuto maggiori e piu’ profondi riferimenti occidentali, ed il Turco ed il Levante per loro da secoli costituiscono un pericolo.

Ma il mito della Turchia, almeno a livello dell’attuale governo albanese, sembra fulgere sempre piu’, e il consolidamento del potere di Erdogan sembra esercitare una forma di ipnosi sulla politica albanese.

Rama e Erdogan a passeggio a Prizren, Rama che va da Erdogan appena puo’, Rama che si ispira a Erdogan per la conquista del potere assoluto, gli annunci di investimenti strabilianti, le concessioni negoziate nelle notti lussuose di Istambul e mai realizzate, l’aeroporto di Valona, la compagnia aerea, le idrocentrali sui fiumi ambientalmente protetti, l’idrocentrale di Skavica, e tante altre cose: ma quali sostanziali aiuti governativi ha mandato la Turchia in Albania negli ultimi anni? Qualche ambulanza e qualche spicciolo per la Polizia, niente di piu’.

Russia, Cina, Stati Uniti, e adesso la Turchia, un amico grande ma che sia lontano, per spaventare i vicini, o meglio per non essere spaventati dai vicini, questa e’ sempre stata una costante della storia diplomatica albanese, e se i primi della lista non si riesce piu’ ad ingannarli, allora ci si prova con i turchi.

Non e’ il modello sociale turco che attrae il popolo albanese, e nemmeno i prodotti turchi, forse gia’ di piu’ i soldi turchi, ma la vera attrazione e’ Erdogan, il leader da sempre, e’ lui che seduce politici e grandi commercianti albanesi, tutti troppo corrotti e servili per desiderare un modello nel quale non si sa su chi puntare.

Gli albanesi, o meglio la maggioranza di quelli che non sono fuggiti in Occidente, in un continuo alternarsi di paure e di complessi di inferiorita’, sono molto affascinati dai personaggi tragici della Storia, in particolare da quelli che hanno avuto, e quindi spesso ne hanno abusato, il Potere Assoluto sugli Uomini e sulle Cose.

Anni or sono un futuro collaboratore di Rama, all’epoca servitore di Fatos Nano, mi diceva in una estasi per me allora inspiegabile, che Rama, rispetto a Nano, aveva ben altra volonta’ di potere, e per questo era molto piu’ desiderabile come capo del governo.

La forza e la grandezza del singolo uomo, la determinazione del comando, la irriducibile volonta’ di dominio, sono a tutt’oggi le qualita’ che l’albanese medio desidera per il suo capo, semplicemente calcolando che seguendo un grande predatore e’ piu’ facile raccogliere bottino.

Ora Erdogan rappresenta la prova che anche nel XXI secolo, nonostante decenni di inutili predicazioni politicamente corrette da parte di NGO di ogni tipo e nazionalita’, e’ ancora possibile avere, o perlomeno sognare, il Potere Assoluto, il Grande Capo, il criterio ordinatore da cui discende, grazie alla paura, la disciplina, o piu’ semplicemente il Capo che guida il Branco alla caccia, cioe’ al saccheggio delle risorse.

Fino a che i pochi rappresentanti della categoria antropologica dell’uomo agricoltore (quelli cioe’ che immaginano un futuro e lo costruiscono) continuano a lasciare il paese per andare in Occidente, in Albania continuera’ a prevalere la societa’ dei cacciatori-raccoglitori (quelli che, pensando solo al presente, raccolgono quanto offerto dalla natura), i quali, sotto la guida di un nuovo sultano, in pochi anni si approppieranno di ogni risorsa esistente e ridurranno questa terra ad un vero deserto.

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