Home Approccio Italo Albanese L’accidentalità fotografica e pittorica. Di Giusi Giaracuni

L’accidentalità fotografica e pittorica. Di Giusi Giaracuni

La fotografia, fin dalla sua invenzione, ha consentito una possibilità espressiva totalmente nuova rendendo concreta la sintesi tra dimensione etica ed artistica. Nel clima pittorico francese ed inglese di metà Ottocento, la fotografia non è stata soltanto il risultato di una ricerca tecnico-scientifica, ma una rielaborazione della cultura estetica.

Non solo una ‘scoperta’ tecnica ma una vera rivoluzione, l’affermazione di un nuovo spirito di osservazione o più ancora di investigazione e dunque di rappresentazione del mondo. Una conquista tutta estetica: “le immagini sono formate dagli occhi”, una consapevolezza di ciò porta a vedere di più, oltre il visibile e l’invisibile della realtà, la rivoluzione è nello sguardo.

Andare oltre la realtà per recuperare una dimensione ‘morale’ dello sguardo è l’approccio che ritroviamo nei ritratti fotografici di Fate Velaj. Una riduzione a unità di pensiero, di azione e di sentimento.

Il suo lavoro varia tra il genere di ritratto “agito” o “narrato”, esprimendo il soggetto attraverso la propria individualità, soffermandosi sui gesti e sugli atteggiamenti, ed un ritratto “ambientato” dove i soggetti sono fotografati nei loro ambienti, abitazioni, luoghi di lavoro o sullo sfondo di paesaggi urbani e rurali, tipici dei Balcani.

Ciò che colpisce di più nei lavori fotografici di Fate Velaj è quell’espressione di apparente distacco nell’istante preciso dello scatto, quello che risulterà rivelatore, dei soggetti fotografati, ben lontani da una posa costruita, è come se ogni singola espressione corrispondesse all’idea stessa di ciò che in loro è più tipico. Immersi in una necessaria immobilità, obbligati in una forte concentrazione su se stessi, la fotografia di Fate Velaj, contribuisce a creare intorno ad essi un’aura di naturale profondità. Spesso l’artista si concentra sul volto, sullo sguardo, diretto e fiero, sul luogo in cui sono posti, fino a comporre, attraverso le immagini, vere e proprie narrazioni.

Egli entra in perfetta simbiosi con i protagonisti scelti, fermando il tempo nel momento di migliore tensione, mostrando delle immagini la loro accidentalità, frammenti di realtà, capaci di comunicare all’osservatore tratti del loro carattere, della loro interiorità, della loro identità, anche oltre i loro volti.

All’interno del suo quadro fotografico ci sono elementi che danno valore all’immagine e contemporaneamente è tra gli elementi stessi che si svelano i rapporti. Visualizza così l’aspetto invisibile delle realtà fisiche delle persone, dei paesaggi o degli oggetti. Si trova a scegliere un frangente, a volte un dettaglio o un indizio, per fare emergere una verità, una scena particolare, sia essa caratterizzata da un eccessivo cromatismo, dalle tonalità rosse e aranciate, sia fino ad arrivare al totale monocromatismo, dove emerge un aspetto più misterioso e distante che va oltre quello che sta dentro e quello che sta fuori dal campo visivo.

La scena fotografica è pervasa da un’atmosfera limpida, tipica della produzione di Fate Velaj ed alcuni tagli vengono stabilititi per dare equilibrio non tanto al soggetto quanto all’immagine stessa dove una luminosità può diventare sempre più viva o un ombra sempre più scura.

L’invito al visitatore è quello di leggere questa mostra come parte di una storia che narra del rapporto speciale tra un artista, che è anche scrittore e politico, e la sua terra, l’Albania, sospesa tra Oriente e Occidente, tra sentimento del passato e coscienza del presente. Una storia naturale, in cui l’arte si fa sintesi senza artificio e senza polemica di una realtà che va osservata per essere capita.

*Giusi Giaracuni, Storica dell’arte e Curatore

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