Home Approccio Italo Albanese Delocalizzazioni? Una buona cosa se non sono opportunistiche…

Delocalizzazioni? Una buona cosa se non sono opportunistiche…

L’internazionalizzazione delle imprese torna alla ribalta del dibattito italiano grazie al decreto Di Maio – Salvini: realizzare un’attività dall’Italia all’estero è positivo se i benefici sono sia per il Paese di destinazione, in termini di sviluppo e lavoro, sia per quello di origine, come espansione del Made in Italy e migliori condizioni e prezzi finali ai consumatori.

Di Alessandro Zorgniotti

In questi giorni di vigilia di agosto il dibattito in Italia è concentrato sul cammino di conversione in legge del decreto Di Maio – Salvini in tema di lavoro e industria: il cosiddetto Decreto Dignità, che aumenta i costi a carico di chi assume lavoratori con contratti a scadenza o di chi licenzia in maniera illegittima o discriminatoria, e che introduce un articolo di legge ad hoc per obbligare le imprese beneficiarie di aiuti pubblici, e che decidano di delocalizzare al di fuori dei confini italiani, a restituire i soldi ricevuti se chiudono gli impianti in Italia entro i primi cinque anni.

Sulla delocalizzazione il dibattito ha avuto inizio in Italia con il decreto dei vecchi Governi Renzi – Gentiloni sui call center, con il risultato che solo una minima parte delle attività telefoniche commerciali ha fatto rientro in Italia, mentre una buona parte si è spostata ancora più a Est nell’ambito dell’Unione Europea.

Il Decreto Di Maio – Salvini interviene su tutti i casi di delocalizzazione di attività imprenditoriali beneficiarie di fondi pubblici, a prescindere dal Paese dove vanno a trasferirsi.

Fra qualche giorno sapremo se il decreto diventerà legge definitiva dello Stato o se si renderà necessario un rinvio a settembre per la necessità di un confronto interno sia al Governo sia alla maggioranza parlamentare di 5 Stelle e Lega, quest’ultima pressata anche dagli ex alleati di Forza Italia – Berlusconi.

Va premesso un dato su tutti: il Governo italiano di Conte – Salvini – Di Maio è ancora nella fase della ricreazione, perché il vero banco di prova sarà la legge finanziaria di settembre destinata a contenere gli impegni dell’Italia nei confronti dei propri Cittadini e della Comunità europea e internazionale per il 2019.

Il Decreto Dignità è anzitutto un biglietto da visita di un Governo la cui strategia di medio periodo sarà chiara solo a partire da settembre – ottobre.

In ogni caso, di questo provvedimento si sta parlando e alcune osservazioni è giusto elaborarle anche dal punto di vista delle relazioni dell’Italia con i suoi vicini di casa. Relazioni, naturalmente, economiche e commerciali.

Il fenomeno della delocalizzazione non è assolutamente buono o assolutamente cattivo: dipende dall’uso che si intende fare della possibilità di andare all’estero. Se si decide di trasferire, in tutto o in parte, un’attività dall’Italia verso un nuovo Paese per continuare a svolgerla in assenza dei titoli abilitanti o dei vincoli imposti dall’ordinamento italiano, bisogna vedere se questi titoli o questi vincoli siano nemici del libero mercato o siano previsti a tutela dei consumatori finali. Nel primo caso, il trasferimento dell’attività è un atto necessitato, nel secondo diventa un atto finalizzato a “dribblare” obblighi a cui sarebbe giusto assoggettarsi nell’interesse dei cittadini ai quali vengono proposti i beni o i servizi realizzati dall’impresa trasferita.

Dalle notizie in nostro possesso, il Governo italiano sarebbe intenzionato a passare in rassegna diverse categorie di aiuti pubblici, indirizzati al mondo delle imprese, sia quelle rimaste in Italia sia quelle in tutto o in parte emigrate all’estero, per verificare se questi stessi aiuti siano stati utilizzati veramente a beneficio dei consumatori, per ridurre i prezzi finali di beni e servizi a carico di questi ultimi.

Se io, imprenditore, delocalizzo la mia attività dall’Italia verso un Paese terzo, magari vicino strategico come è l’Albania, per continuare la mia produzione in un nuovo regìme di costi operativi e fiscali più bassi, e rivendo sul mercato italiano i miei beni e servizi agli stessi prezzi di prima, allora non rendo un buon servizio ai consumatori italiani, a maggior ragione se la mia attività rientra in un settore dove percepivo dal Governo italiano dei fondi di Stato.

Su questo punto occorre essere chiari, ad avviso di chi scrive: se per delocalizzazione intendiamo la possibilità, per una impresa italiana, di inserirsi su un mercato nuovo, magari in prossimità di quello italiano, per realizzare un’attività produttiva in grado di portare sviluppo nel Paese di destinazione, e di portare vantaggi in termini di prezzi finali ai clienti residenti nel Paese Italia, allora questa è una delocalizzazione buona, perché evita la formazione di extra-profitti e garantisce vantaggi diffusi, oltre a mettere l’azienda interessata nella condizione di produrre e di commercializzare anche verso ulteriori Paesi di destinazione che prima non erano accessibili.

Quindi, il decentramento industriale – in questa seconda ottica – è addirittura auspicabile e da incentivare, perché non impoverisce l’Italia ma ne porta i prodotti e gli stili di produzione su mercati ricettivi e filo italiani come senza dubbio è il mercato albanese, confermato dai dati ultimi dell’INSTAT, Istituto albanese di statistica, sui rapporti di import – export relativi ai primi sei mesi dell’anno in corso e che confermano l’Italia come primo partner commerciale dell’Albania in termini numerici assoluti, anche se in calo sotto l’altro profilo degli investimenti industriali. Noi diciamo che portare l’industria Italiana all’estero, in questo caso in Albania, è una cosa buona e da incoraggiare, con il contraltare che l’Italia, e i consumatori presenti sul mercato italiano, ne beneficia in termini di espansione del Made in Italy e di prezzi migliori sul fronte di determinati beni e servizi successivamente importati.

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