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MEMO, intellettuali, diplomatici e religiosi diventano “qualcun altro” in memoria dei Martiri della Dittatura

Nella ex casa della Sigurimi, dove si spiavano e violavano “le vite degli altri”, i muri diventano parlanti con i nomi delle Vittime del Regime comunista, grazie all’iniziativa dell’Architetto Radovani. Presente alla cerimonia anche l’Ambasciatrice UE, Romana Vlautin

“Se non abbiamo pace, è perché abbiamo dimenticato che apparteniamo gli uni agli altri”. – Con questa frase di Madre Teresa, Santa d’Albania costretta a poter riabbracciare il proprio Paese d’origine solo nei primi anni Novanta, ha inizio il viaggio indietro nel tempo del progetto MEMO, un gruppo di indipendenti e intellettuali che intendono promuovere lo sviluppo e la crescita della Nazione albanese impedendo, anzitutto, che il passato venga dimenticato.

La serata del 3 luglio, organizzata presso la ex sede della Sigurimi, la feroce Polizia del regime dittatoriale (analoga a Kgb e Securitate) che entrava sì nelle “vite degli altri” ma per spiarle e violarle nei loro diritti fondamentali (libertà e vita), ha trasformato quei muri e quelle pareti dal passato sofferente in maxi-schermi parlanti: parlanti con i nomi di artisti, intellettuali, religiosi e pensatori internati, arrestati e condannati per non essersi voluti allineare all’ateismo e al materialismo stalinista del Regime. Oltre 160 nomi che hanno dominato il cortile interno della ex casa oggi memoriale pubblico dei crimini del passato, nomi che escono dalle profondità stesse di quei manufatti di cemento testimoni di torture, intercettazioni e confessioni estorte dai Marescialli della Dittatura.

Per non dimenticare, per tenere accesa la “MEMO”, un numeroso gruppo di uomini della cultura, dei mass media, del mondo attoriale, della politica e delle istituzioni religiose e diplomatiche hanno accettato di essere “qualcun altro”: quel “qualcuno” intercettato, arrestato, internato, confinato, o “qualcuno” legato a quella particolare vittima del Regime.

Una straordinaria operazione di verità “che stiamo portando avanti nei luoghi di Albania che sono stati testimoni di quelle tragedie umane sulle quali, in senso letterale, abbiamo voluto far parlare i muri con i nomi delle vittime – ha spiegato Gjon Radovani, architetto, ex viceministro attuale Consigliere delle Nazioni unite – Una Nazione può tornare a crescere se si fa custode e “memore” appunto del proprio passato anche più crudele. Per questo motivo ringrazio tutti coloro che hanno scelto, mettendoci la faccia e con il proprio ruolo, di essere “qualcun altro” per non far dimenticare le sofferenze di luoghi come questo che, da oscure sale di torture e di verbalizzazioni ottenute con la minaccia del male, diventano sempre di più delle case parlanti e trasparenti al servizio della verità storica e umana”.

Una iniziativa elogiata anche dal mondo diplomatico, rappresentato nell’occasione dall’Ambasciatrice della Commissione Europea S.E. Romana Vlautin, intervenuta a titolo di amicizia nei confronti degli organizzatori di MEMO e di sincera adesione personale alla filosofia di un progetto che – ha spiegato – rappresenta “un ulteriore passo importante nel cammino europeo dell’Albania, una Nazione matura proprio perché capace di fare i conti con il proprio passato oltre che con il proprio presente e futuro”.

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