Home Approccio Italo Albanese IL TEATRO ITALIANO E’ UN MONUMENTO AL PARI DELLA VICINA MOSCHEA ET’HEM...

IL TEATRO ITALIANO E’ UN MONUMENTO AL PARI DELLA VICINA MOSCHEA ET’HEM BEY DI PIAZZA SKANDERBEG: DUNQUE ANCH’ESSO VA DIFESO E RESTAURATO

L’auspicio è che il destino del Teatro dell’architetto Berté del 1938 sia discusso non solo all’interno del mondo politico albanese ma anche fra quest’ultimo e le autorità politico-diplomatiche italiane!

Di Alessandro Zorgniotti

Due “Monumenti-simbolo” della Capitale Albanese, i quali distano fra di loro poche decine di metri in linea d’aria. Per ragioni diverse ma alla fin fine convergenti, nel corso del turbolento ma decisivo biennio 1990-91, durante il quale si è realizzata la transizione verso la caduta della dittatura social-comunista, tutti e due hanno simboleggiato l’avvio della riconquista delle libertà religiose, civili, di espressione e quindi politiche, da parte del Popolo di Albania.

Solo che adesso, se non sarà definitivamente abolita la legge di costruzione del nuovo teatro-papillon – legge non ancora entrata in vigore grazie alla decisione del Presidente della Repubblica Ilir Meta di rispedirla all’esame del Parlamento per un vizio di violazione degli accordi di associazione fra Albania e Unione Europea – uno dei due “Monumenti” sarà abbattuto, mentre l’altro è in fase di restauro e riaprirà fra circa un anno tornando allo splendore delle origini.

Stiamo parlando del Teatro Nazionale di architettura razionalista anni Trenta, situato fra i Palazzi ministeriali italiani, la via pedonale di Toptani e la Galleria d’Arte, in quello che è rimasto del tutto sommato piccolo centro storico della Grande Tirana, e della Moschea Et’hem Bey collocata nella vicina Piazza Skanderbeg a ridosso del Palazzo del Municipio di Tirana anch’esso di architettura italiana. Il Teatro è stato “condannato alla demolizione” dalla legge di cui scrivevamo prima e che tornerà all’esame del Parlamento Kuvendi in settembre, vale a dire fra un mese circa.

La Moschea, come testimoniano le immagini dei cantieri visibili da chi attraversa l’Agorà principale di Tirana restituita totalmente al passeggio delle persone, è invece transennata per un motivo diversa ed esattamente opposto: per via di un intervento di riqualificazione reso possibile dall’accordo fra il Ministero della Cultura e la Comunità Musulmana Albanese. Attualmente gli operai sono al lavoro per la sicurezza statica della torre del celebre edificio religioso la storia del quale merita di essere qui ricordata proprio perché – da “laici” narratori della libertà quali noi cronisti degli Approcci ci sforziamo di essere – vogliamo che entrambi questi Edifici – Monumenti sopravvivano e siano rilanciati nella vita sociale e culturale della Città e dell’Albania tutta.

La costruzione del celebre luogo di culto musulmano fu iniziata nel 1789 – mentre in Francia si combatteva la prima Rivoluzione – dal turco Molla Bey, e venne completata nel 1823 da suo figlio, Haxhi Et’hem Bey, discendente di Sulejman Pasha.

La Moschea – che verrà rivalutata e valorizzata negli anni Trenta del Novecento grazie al suo pieno inserimento nel contesto urbanistico disegnato dagli architetti italiani dell’epoca (sotto la direzione dell’architetto Gherado Bosio) –  è stata una delle poche a essere risparmiata dalla devastazione, materiale e culturale, messa in atto dal regime ateistico di Enver Hoxha e di Ramiz Alia per decisione dei quali chiese, moschee, monasteri e altre istituzioni religiose furono chiuse, smantellate o convertite in depositi, palestre o officine, alla fine del 1967. Fu quindi dichiarata Monumento Nazionale anche nella lunga epoca totalitaria nella seconda parte del Novecento.

La sua importanza storica assume una svolta decisiva, irreversibile, che ne stabilizza in maniera definitiva la vocazione simbologica: nel gennaio del 1991, sfidando l’opposizione delle autorità comuniste e della terribile Sigurimi, diecimila persone entrarono nella Moschea sventolando la bandiera dell’Albania, e tale evento contribuì a infliggere la spallata che avrebbe fatto collassare il regime ateista.

Per questa ragione, diciamo che è assolutamente giusto restituire al fascino delle sue origini, rilanciandone le architetture e le eccellenze artistico-pitturali interne ed esterne, l’edificio musulmano intitolato a Et’hem Bey.

Per ragioni analoghe, vorremmo che anche il vicino Teatro Nazionale, di architettura razionalista italiana, venisse salvato dalla demolizione e rilanciato in senso Monumentale. Si tratta dell’unico edificio di tale genere architettonico, relativo al periodo del Littorio, presente in Albania, avviato su progetto dell’Architetto Giulio Berté nel 1938 e concluso nel settembre del 1939, sopravvissuto quindi con successo alla Seconda guerra mondiale, a mezzo secolo di totalitarismo rosso e ai disordini socio-politici del post-comunismo intercorsi fra il 1991 e il 1997. Secondo la legge ratificata dalla maggioranza di governo – non senza qualche prestigioso dissenso interno, primo fra tutti quello espresso dal Ministro Pandeli Majko – il suo posto dovrebbe essere preso da un edificio a forma di Papillon su progetto avveniristico dello studio internazionale BIG di Copenaghen. Sarebbe quindi una edificazione destinata a rimuovere per sempre uno degli elementi certamente più distintivi e identificativi del “centro italiano” di Tirana, in pratica il centro storico tutto sommato piccolo di una Capitale quadruplicatasi tutt’intorno nel corso degli ultimi 26 anni.

Leggendo i vari contributi della comunità attoriale e intellettuale che, nei discorsi dal vivo così come sui social media, sta animando il dibattito per una mobilitazione a difesa del Teatri Kombetar, mi ha colpito l’intervento della produttrice cinematografica italo-albanese, oggi abitante a Roma, Adele Budina, figlia di Edmond Budina, artista e regista che sempre tra il 1990 e il 1991 ebbe un ruolo nella formazione di un movimento politico-intellettuale per il superamento della dittatura e per l’affermazione del pluralismo e multipartitismo. “Nel 1990 (il Teatro) fu il luogo di una svolta storica”, scrive Adele nel proprio post pubblico che richiama l’articolo del Fatto Quotidiano che riprende le dichiarazioni del nostro corrispondente di Radio Radicale Artur Nura (https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/15/a-tirana-sara-demolito-il-teatro-italiano-le-accuse-di-speculazione-gettano-ombre-sui-negoziati-ue/4487916/): l’occasione fu “la rappresentazione teatrale di Notte di luna (dramma di Ismail Kadare), che si prendeva gioco del regime. Dopo la rappresentazione di questo dramma, il regista che ne curò l’adattamento e che lo mise in scena, uscì davanti al suo prestigioso pubblico, disse che la polizia era presente in sala e non avrebbe permesso altre repliche, diede notizia del fatto che il suo amico Kadare (…) avesse appena chiesto asilo politico in Francia, alzò la mano in segno di “V” proferendo le due parole proibite: “Libertà e Democrazia” e da lì si scatenò il delirio: gente in lacrime, fiori a non finire. Per la prima volta qualcuno aveva osato ribellarsi alla dittatura. Quell’uomo, il cui conseguente contributo alla caduta del regime comunista in Albania è risaputo, era Edmond Budina e quell’episodio segnò profondamente la storia del Paese e anche della mia famiglia (…)”.

Le testimonianze potrebbero proseguire ulteriormente, ma ci pare che la sostanza dei ragionamenti sia confermabile già così: il Teatro Nazionale, al pari della Moschea di Piazza Skanderbeg, può essere ascritto a pieno titolo fra i simboli del cammino del Popolo Albanese verso la conquista delle libertà civili e di espressione culturale e religiosa, e non va dimenticato che la passeggiata che lega i due edifici è intervallata, proprio nel mezzo e in maniera equidistante, dal sito museale interrato di Bunkart 2, altro progetto italiano per non dimenticare le persecuzioni comuniste a danno di circa 100.000 cittadini Albanesi. La conferma di come un intervento di riqualificazione possa e debba rispettare la storia architettonica circostante, soprattutto se è una Storia pesante e decisiva per un Popolo intero.

Voglio concludere così, come ho avuto modo di dire recentemente: anche se il Governo Italiano non ha più alcuna titolarità giuridica sul Teatro Nazionale di Tirana, indubbiamente l’Italia conserva una sorta di titolarità storica e morale sullo stesso, quindi il mio auspicio – lo dico e lo ribadisco – è che il dibattito relativo al destino di questo edificio teatrale non si limiti al mondo politico albanese, ma diventi una discussione tra l’autorità politico-diplomatica italiana e le autorità politico-governative di Tirana e Albania. Equivale a chiedere troppo? Penso proprio di no.

Share: