Home Approccio Italo Albanese Il quartier generale fortificato dei mujaheddin iraniani in Albania

Il quartier generale fortificato dei mujaheddin iraniani in Albania

Lo scorso febbraio gli Occhi della Guerra avevano trattato il trasferimento in Albania di 3500 mujahideen del Mek precedentemente stazionati in una base nei pressi di Baghdad. Si era tra l’altro fatto riferimento a un vero e proprio quartier generale in costruzione a Manez, nei pressi di Durazzo; oggi emergono ulteriori elementi d’interesse che sembrano confermare il progetto ed anche molto altro, ma andiamo con ordine.

Cos’è il Mek

L’organizzazione Mek nasceva nel 1963 in Iran con l’obiettivo di opporsi all’influenza occidentale nel Paese e di combattere il regime dello Shah. Nel 1979 il Mek partecipava alla Rivoluzione guidata da Khomeini ma l’ideologia divulgata, un incrocio di marxismo, femminismo e islamismo, si scontrava con quella degli Ayatollah e veniva messo al bando.

Nel 1981 il Mek si trasferiva a Parigi dove fondava il proprio quartier generale e cinque anni dopo si spostava a Camp Ashraf, a nord di Baghdad, da dove supportava la guerra di Saddam Hussein contro l’Iran ed anche la repressione dei curdi. Nel 2003 il Mek veniva disarmato dagli americani e spostato a Camp Liberty. Il Mek ha continuato a svolgere un ruolo di primo piano nell’attività politica e diplomatica contro il regime di Teheran e continua a farlo ancora oggi.

In precedenza l’organizzazione era inserita nella lista nera non solo da Iran e Iraq, ma anche da Unione Europea, Gran Bretagna, Usa e Canada, per poi venire “sdoganata” tra il 2008 e il 2012. Un articolo del New York Times del 21 settembre 2012 illustrava come l’allora Segretario di Stato, Hillary Clinton, avesse deciso di sdoganare il Mek , facendolo togliere dalla “black list” per poterlo poi ricollocare lontano dalla portata degli agenti di Teheran, in un Paese disposto ad accoglierli, in questo caso l’Albania. L’obiettivo appare più che evidente: utilizzare il Mek per sostenere un cambio di regime a Teheran. Ma perché proprio in Albania? Che sia un “pegno” da pagare per l’ingresso in Europa e nella Nato?

Oggi è Maryam Rajavi a guidare il Mek dopo la misteriosa scomparsa del marito Massoud che coincide con l’invasione americana dell’Iraq nel 2003. Alcune fonti parlano di un possibile decesso mentre altre affermano che l’ex leader si sarebbe nascosto per sfuggire agli agenti di Teheran.

Gli appoggi politici a livello internazionale

Il Mek ha incassato il supporto di diversi esponenti politici internazionali tra cui l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, l’ambasciatore americano all’Onu John Bolton ed Emma Bonino in veste di vice-presidente del Senato, nel giugno del 2012. Il New York Times faceva notare che diversi esponenti del Congresso erano divenuti convinti sostenitori del movimento che, se una volta era marxista-islamista, si è poi ricreduto trasformando la propria lotta e diventando il principale movimento organizzato contro la teocrazia iraniana.

Sempre secondo il quotidiano newyorchese, tra i sostenitori del Mek ci sarebbero R. James Woolsey e Porter J. Goss, ex direttori della Cia; Louis J. Freeh, ex direttore dell’Fbi; Tom Ridge, ex segretario della Homeland Security sotto la presidenza George W. Bush; il procuratore generale Michael B. Mukasey e il consigliere per la sicurezza nazionale, il Generale James L. Jones, operativo sotto l’amministrazione Obama.

Nell’ultimo anno sono state diverse le prese di posizione a favore del Mek da parte di esponenti del panorama politico nazionale e internazionale. A metà settembre una delegazione ufficiale del Partito Radicale Italiano e dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” ha visitato il quartier generale dei mujahidin in Albania. La delegazione includeva Elisabetta Zamparutti, Sergio D’Elia, Rita Bernardini, Mattia Moro, Maria Antonietta e Luca Coscioni; fonti albanesi dichiarano che i membri del Mek avrebbero fornito un resoconto delle violazioni dei diritti umani messe in atto dal regime di Teheran.

Lo scorso 30 giugno era invece stato l’ex ministro degli esteri del governo Monti, Giulio Terzi, a parlare a una riunione del Mek dove, davanti a migliaia di manifestanti anti-Teheran aveva annunciato il suo “appoggio incondizionato al Mek ”, definendo i suoi militanti “combattenti per la libertà” (freedom fighters) e affermando che “un’ampia parte della società italiana è convinta che stare dalla vostra parte significa stare dalla parte giusta della storia”. Il discorso per intero veniva pubblicato dal sito del Mek e può essere visualizzato qui.

Anche l’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, nel 2018 si è espresso almeno in un paio di occasioni a favore del Mek con affermazioni del tipo: “Il popolo iraniano ne ha avuto abbastanza di questo regime che sarà rovesciato…Non abbiamo alcun dubbio che la coalizione del Mek possa far fronte a questo regime”.

E ancora: “I mullah se ne devono andare, gli ayatollah se ne devono andare e devono essere rimpiazzati da un governo democratico che la signora Rajavi rappresenta”, come riportato dal Guardian.

Insomma, un ennesimo tentativo di rovesciamento di governo per esportare la “democrazia”, un film già visto e rivisto.

Lo scorso 26 settembre il giornalista albanese Kastriot Myftaraj, durante la trasmissione televisiva “Ju flet Moska”, aveva criticato le recenti invocazioni alla rivolta in Iran fatte dalla leader del Mek, Maryam Rajavi, tirando in ballo l’articolo 221 del codice penale albanese che punisce l’incitamento all’insurrezione con pene che vanno dai 15 anni in su.

Andrebbero poi presi in considerazione anche gli articoli 265 b/c del codice penale albanese che proibiscono il coinvolgimento in operazioni militari e azioni violente in Paesi esteri.

Il quartier generale di Manez

Numerose fonti internazionali hanno documentato la presenza di un grande complesso nei pressi del villaggio albanese di Manez che funge da base mondiale del Mek, complesso già abitato anche se tutt’ora in fase di completamento. Diversi reporter locali hanno testimoniato la presenza di guardie armate private all’esterno del complesso, barriera e ulteriori guardie disarmate all’interno.

Il noto giornalista investigativo albanese Gjergj Thanasi era stato tra i primi ad accorgersi della presenza di Manez e ne aveva mostrato le dinamiche agli Occhi della Guerra lo scorso febbraio:

“Il Consiglio dell’Organizzazione del Territorio (Keshilli i Rregullimit te Territorit) ha la responsabilità per l’emissione dei permessi per la costruzione di opere pubbliche e di edifici privati (fabbriche, hotel, scuole, strade ecc). Questo Consiglio aveva pubblicato un elenco dei permessi rilasciati per una serie di opere e tra queste ne figurava uno nei confronti di una ONG denominata F.A.R.A. Il permesso era del 16 ottobre 2017 e indicava l’autorizzazione per “un complesso residenziale e servizi per la comunità iraniana in Albania”. A quel punto ho indagato su questa F.A.R.A che, stranamente e contrariamente alla legge albanese, non risultava registrata presso l’Ufficio delle Imposte e non aveva neanche una partita Iva, cosa vietata in Albania.

Ho allora proseguito l’indagine presso l’ufficio urbanistico del comune di Durazzo (che conosco molto bene avendo vissuto qui per 52 anni); là mi mostravano una richiesta scritta della F.A.R.A. nella quale veniva chiesto il permesso per la creazione di un cantiere (recinto, collegamenti d’acqua, elettricità, container ecc.) ed emergeva che il Municipio non aveva rilasciato alcun permesso. La lettera di richiesta non aveva un’intestazione, non era presente alcun indirizzo o recapito telefonico.  A questo punto mi sono recato a Manez (nella prima settimana di novembre 2017) per vedere cosa stava succedendo e mi sono trovato davanti a un recinto finito, a una rete elettrica già installata, e a dei canali in costruzione, per la rete idrica. C’era anche un container con degli uffici all’interno della recinzione. Intorno al cantiere c’erano guardie e anche tre agenti con la divisa della Polizia di Stato”.

Il sito sarebbe stato localizzato precisamente tra i villaggi di Kulles e Manez e-Vieter, con ingresso sulla strada Rruga Lalezit e del complesso esistono diverse immagini aeree e filmati.

Lo scorso 10 agosto la giornalista britannica Lindsey Hilsum di Channel 4 si era recata all’esterno del complesso di Manez per documentarne l’esistenza e veniva fisicamente aggredita da alcuni membri del Mek.

Secondo quanto riportato dai media albanesi, alcuni testimoni hanno dichiarato che le guardie di sicurezza hanno cercato di strappare e rompere la videocamera della troupe mentre alcuni membri del Mek hanno colpito la Hilsum e preso per il collo il suo accompagnatore. A quel punto sono giunti sul posto degli agenti della polizia albanese che hanno fermato l’aggressione e hanno accompagnato in caserma i due aggrediti.

In seguito un portavoce del Mek ha dichiarato ai media albanesi che i giornalisti britannici sono in contatto con i servizi segreti iraniani e che non erano stati avvisati del loro arrivo.

Il caso di Somaya Mohammadi e le interviste ai dissidenti

Un altro caso che sta facendo molto discutere in Albania è quello di Mostafa Mohammadi, padre della 38enne Somaya, andatasene da casa quando ne aveva 16 assieme a una donna militante del Mek.

Mostafa spiegava di essere immigrato in Canada con la famiglia nel 1994 e di essere entrato nell’orbita del Mek, aiutandoli a raccogliere fondi ma nel frattempo l’organizzazione avrebbe fatto il lavaggio del cervello a sua sorella, convincendola anni dopo a trasferirsi in Iraq, precisamente a Camp Ashraf, per combattere il regime iraniano e sarebbe morta in loco, forse giustiziata. Anni dopo una militante del Mek avrebbe avvicinato la figlia Somaya, dicendole che aveva conosciuto sua zia (con cui la ragazzina aveva uno stretto legame) e che le avrebbe fatto piacere mostrarle dove era stata e cosa aveva fatto. Le due sono così partite per un viaggio che doveva durare soltanto due settimane ma Somaya non ha fatto più rientro a casa, interrompendo tutti i contatti con la propria famiglia.

Lo scorso luglio Mostafa Mohammadi si è recato a Tirana per cercare di sollevare il caso ed entrare in contatto con sua figlia, a suo dire trattenuta contro la propria volontà all’interno del quartier generale di Manez ed ha accusato alcuni membri del Mek di averlo aggredito, come riportato da Shqiptarija e Gazeta Impakt che ha anche pubblicato un filmato.

La magistratura canadese, quella irachena e quella albanese si sono però espresse contro le accuse di Mohammadi, dichiarando che la ragazza è volontariamente membro dell’organizzazione ed essendo maggiorenne è in grado di prendere le proprie decisioni in autonomia e libertà.

Il 25 luglio 2018 Somaya rilasciava un’intervista dove rigettava le accuse lanciate da suo padre, affermando di essere volontariamente membro del Mek e accusando suo padre di collaborare con i servizi segreti iraniani. Un caso controverso le cui dinamiche sono ancora poco chiare.

Il programma investigativo albanese Fiks Fare è invece riuscito a mettersi in contatto con tre dei circa 200 dissidenti fuggiti dal MEK e ad intervistarli, come riportato anche dal Prishtina Post.

Tutti e tre hanno confermato che i mujahideen ospitati nel campo sono tutti combattenti ben preparati alla guerriglia e che è severamente vietato mantenere contatti con le proprie famiglie.

Il primo intervistato, Sadala Sefi, ha spiegato di essere nato nel 1969 e di essere entrato a far parte del Mek volontariamente a 21 anni per motivi economici. Sefi spiegava che inizialmente il Mek parla di libertà, ma nei fatti è “un’organizzazione spaventosa” con tanti agenti che obbligano i propri adepti a fare quello che dice il leader ed è severamente vietato avere una famiglia. Secondo Sefi il problema principale di chi vorrebbe uscire dal Mek è che in Albania non hanno uno status, non possono lavorare e non hanno soldi per vivere.

Il secondo intervistato, Hasan Bidi, ha confermato la preparazione militare dei mujahidin, aggiungendo di aver imparato molto su armi e loro utilizzo; Bidi ha inoltre affermato che il Mek a suo tempo infiltrava uomini in Iran per piazzare bombe e condurre assalti.

Il terzo intervistato, Manucer Habdi, 55 anni di cui 13 nel Mek, ha puntualizzato che in Albania l’organizzazione sta cercando di ricostruire il medesimo contesto che era presente nella base irachena.

Sulla preparazione militare Habdi ha affermato: “Quando facevo parte dell’organizzazione ero membro di un gruppo che virtualmente si collegava con giovani in Iran e insegnava loro a combattere, perché bisogna sapere che tutti in questa organizzazione sanno come combattere per uccidere, siamo preparati militarmente, sappiamo tutto sulle armi”.

Per quanto riguarda l’ambito familiare, l’intervistato ha reso noto che a Camp Ashraf erano proibite le visite dei familiari e che egli stesso non ha potuto avere contatti con sua figlia. Una situazione che è presente anche in Albania in seguito ad accordi presi con il governo di Tirana.

In conclusione

Cos’è dunque il Mek? Un gruppo di dissidenti e perseguitati dal regime iraniano? Una forza di opposizione settaria composta da elementi militarmente addestrati e pronti a rovesciare il regime? Un’organizzazione terroristica? /(Secondo quanto affermato da Teheran). Da dove arrivano poi i finanziamenti al Mek?

In geopolitica è noto come un’organizzazione possa essere considerata “terroristica” o “movimento di resistenza” in base agli interessi di chi la cataloga e lo si è visto con tante altre organizzazioni, dai Fratelli Musulmani a Hizbullah, dall’Olp alla “resistenza” siriana. Certo è che risulta difficile combattere il terrorismo quando non si riesce neanche a trovare una definizione universalmente condivisa del termine.

Intanto però la presenza in Albania del Mek non fa altro che aggravare ulteriormente la delicatissima situazione nei Balcani dove sono già presenti in forze gruppi jihadisti e islamisti. L’area balcanica sembra sempre più una zona logistica e di transito in supporto alle politiche di guerra in Medio Oriente e tutto ciò a discapito della stabilità regionale, Italia inclusa/occhidellaguerra.it

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