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Quel che accade in Albania non è come ve lo raccontano. La lettera di una scrittrice (Il Foglio)

Le proteste, le violenze e la strategia di Edi Rama

di Anilda Ibrahimi

19 Febbraio 2019 alle 06:00

Al direttore – Conoscendo la situazione dell’Albania moderna, sono rimasta sorpresa da quello che ha scritto la stampa italiana in seguito agli avvenimenti del 16 febbraio. Le mie perplessità nascono dal fatto che non c’è stato alcun tentativo di approfondimento, al contrario c’è stata una semplificazione ulteriore di una interpretazione già per sé semplificata. A dire il vero, non è poi cosi difficile creare una interpretazione su un gruppo di persone politicamente orientate che attaccano la presidenza del Consiglio con un sentimento barbarico simile a quello dei tempi del post comunismo degli anni Novanta. Il sapore è quello di un déjà-vu, quasi di un “oopart”, un oggetto fuori dal tempo.

L’Albania cresce a un ritmo sostenuto, intorno al 3,9 per cento, ha una pressione fiscale molto bassa e una burocrazia tutto sommato leggera (si può aprire un’attività commerciale in 24 ore), ha un debito pubblico che non supera il 65,5 per cento del pil e la cosa più interessante è che questo debito non è sovrano, perché sovrana è la moneta tenuta saldamente e controllata dallo stato. Guardando questi dati, viene spontanea la domanda: perché mettere in cattiva luce un paese con questo boom economico e con questi dati, che appaiono invece lusinghieri, almeno se paragonati a quelli dell’Italia?

Il nocciolo della questione è questo: in Albania c’è un governo di sinistra, ma una sinistra che ha messo in pratica tutte le ricette del sovranismo e che hanno funzionato. Il contrario dell’Italia. I sostenitori del sovranismo in Italia, cioè i seguaci di Steve Bannon, non sono certo di sinistra. Perché non seguire allora un modello che in Albania sta funzionando? Sarebbe una cosa impensabile e impossibile nel contesto della politica italiana, soprattutto per il discrimine esistente tra la destra e la sinistra e su quel che rappresentano storicamente. Per la sinistra significherebbe ammettere che “gli altri” potrebbero avere ragione, per la destra significherebbe ammettere che determinate ricette possono essere messe in atto anche da sinistra. E questo spariglierebbe il tavolo, soprattutto quello degli organi di informazione (già in crisi di vendite) abituati a “pescare” sempre e soltanto in “stagni” politici precisi.

Il pragmatismo di un uomo di stato come Edi Rama – che è andato oltre le ideologie pur essendo un uomo profondamente di sinistra, mettendo in pratica ciò che è meglio per il suo paese con risultati eccellenti – è non solo incomprensibile per la stampa italiana, ma anche pericoloso. Ed ecco allora la risposta: non è meglio alla fine restituire l’immagine di uno stato prossimo al fallimento? Ieri l’opposizione, cioè il gruppo democratico, ha deciso di dimettersi in blocco. Motivazione? Solo parole generiche, “la situazione nella quale versa il paese come testimoniano anche i mass media internazionali, la violazione dei diritti umani, l’emigrazione massiccia”, insomma nulla di concreto. I fatti sono altri: il governo attuale ha trovato il paese in uno stato catastrofico, in cui regnavano corruzione e traffico di droga, e in cui la cementificazione aveva invaso tutta la costa albanese. Era un paese pieno di problemi, ma bisognava avere la grinta e la visione di Edi Rama per fare riforme impopolari, soprattutto quella della giustizia. La protesta degli studenti di qualche settimana fa ha avuto un effetto immediato:il governo ha ascoltato il malcontento e ha sostituito subito diversi ministri.  

C’è da aggiungere che l’adesione all’Ue non è stato l’unica priorità di Edi Rama. Come dargli torto? Avrebbe voluto dire aderire a un modello di sviluppo non adeguato a un paese che, uscendo da una dittatura e da una situazione di economia azzerata, aveva (e ha ancora bisogno, benché la situazione adesso sia molto diversa) di poter agire, economicamente parlando, al di fuori di vincoli e di regolamenti più confacenti a paesi sviluppati. Ma prima o poi l’adesione ci sarà, è inevitabile. Però oggi non c’è una rivolta popolare partita dal basso, ma una lotta tra i due partiti principali del paese. Che è un paese difficile da spiegare e da capire, con un passato complesso che ha lasciato segni profondi e che spinge ad esprimere anche il minimo dissenso attraverso una violenza ingiustificata.

Anilda Ibrahimiè una scrittrice albanese, il suo ultimo libro si intitola “Il tuo nome è una promessa” (Einaudi, 2017)

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