Home Approccio Italo Albanese Presidenza Trump: perché l’Italia e l’Europa non avrebbero nulla da temere

Presidenza Trump: perché l’Italia e l’Europa non avrebbero nulla da temere

Da Germano Dottori

Non vi sono dubbi sul fatto che l’establishment politico e mediatico italiano abbia espresso in questa campagna presidenziale una netta preferenza per Hillary Clinton. I suoi trascorsi al Senato e al Dipartimento di stato americano sono stati considerati una garanzia. A tanti, l’ex first lady appare come il confortante “usato sicuro” da contrapporre al salto nel vuoto. L’idea di una donna alla testa della massima potenza del pianeta sembra inoltre piacere al nostro pubblico.

Nei confronti di Donald Trump, invece, si nota un malcelato timore, certamente alimentato ad arte dalla campagna della rivale, ma al quale ha contribuito anche il controverso stile comunicativo di cui il tycoon si è valso per imporsi all’attenzione dei suoi elettori e battere la concorrenza degli avversari incontrati nelle primarie.

Molte fra le migliori firme del giornalismo internazionale hanno inoltre tracciato del candidato repubblicano ritratti troppo spesso caricaturali, trascurando di approfondirne le proposte politiche, salvo i casi in cui queste stridevano più fortemente con il senso comune, rafforzando i peggiori cliché. Non stupisce pertanto il senso di smarrimento che sta cogliendo molti, mano a mano che Trump rafforza il suo successo.

In realtà, se al pregiudizio si sostituisce una più serena valutazione del progetto di cui il tycoonè portatore, si scoprono degli elementi che potrebbero rivelarsi delle opportunità per noi europei. Ad esempio, Hillary Clinton rappresenta una tradizione spiccatamente interventista, seppur liberal, e si è più volte distanziata dalla prudenza dimostrata da Barack Obama nel ricorrere alla forza. Donald Trump è invece tendenzialmente un isolazionista poco incline ad intraprendere azioni militari in nome di principi evanescenti, in vista di obiettivi non chiaramente definiti o comunque difficilmente conseguibili. In questo, ben più della Clinton, Trump si collocherebbe nella scia del presidente uscente, condividendone il realismo sostanziale. Non dovremmo aspettarci iniziative avventate. Il cambio di paradigma avvenuto in questi anni verrebbe confermato e consolidato, tra l’altro restituendo agli europei ulteriori quote di autonomia effettiva.

Per poter disimpegnare l’America, Trump dovrebbe inoltre perseguire un accordo di sistema con la Russia che, sotto l’egida della lotta al terrorismo jihadista, potrebbe sfociare in una divisione dei compiti nella prospettiva della stabilizzazione. Con Hillary, di contro, non sarebbe da escludere un’accentuazione della pressione nei confronti di Mosca, magari con l’obiettivo finale di un regime change al Cremlino, verso il quale la spingerebbe un irresistibile riflesso antirusso, sulla cui natura non manca chi s’interroga anche tra i democratici americani. Per l’Europa, questa prospettiva comporterebbe un indesiderabile aumento delle tensioni attuali verso il livello di guardia, mentre per l’Italia implicherebbe la rinuncia ai più ambiziosi progetti di collaborazione con i russi.

Con Trump non dovremmo invece avere problemi in questa direzione e potremmo forse davvero sostituirci al Regno Unito nella funzione di vettori dell’influenza statunitense nell’Unione Europea senza rinunciare a nulla. Alla vittoria del repubblicano potrebbe far seguito anche un riorientamento delle priorità della Nato verso il Mediterraneo, a noi evidentemente gradito.

Rimarrebbero naturalmente delle zone grigie, come quelle riguardanti i futuri rapporti con l’Iran e l’Islam politico sunnita. Hillary sembra più propensa di Trump a coltivarli, ma dovrebbe risolvere il conflitto che li contrappone in Siria, dove l’ex first lady vorrebbe accelerare l’uscita di scena di Bashar al-Assad, anche a costo di indebolire il riformista Rouhani a Teheran.

In ogni caso, dopo queste elezioni, la politica estera americana cambierà. Con Hillary, probabilmente nel segno di una maggiore aggressività, mentre Trump sembra più pragmatico e prudente. Perché averne paura?

Germano Dottori, cultore di studi strategici presso la Luiss-Guido Carli di Roma. /ISTITUTO PER GLI STUDI DI POLITICA INTERNAZIONALE

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