Home Approccio Italo Albanese Mistero sulla rotta Italia – Albania, sparite 30.000 tonnellate di rifiuti

Mistero sulla rotta Italia – Albania, sparite 30.000 tonnellate di rifiuti

Roma”, Quotidiano d’informazione fondato nel 1862

«La cooperazione fra Italia ed Albania è ad una svolta. Il ponte giudiziario fra i nostri Paesi farà da argine all’evoluzione transfrontaliera della criminalità. Insomma, le nuove mafie troveranno pane per i loro denti!». I toni della conferenza stampa sono all’insegna dell’ottimismo. Adriatik Llalla, Procuratore Generale della Repubblica di Albania, riceve a Tirana il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti. Un lungo confronto sul contrasto ai traffici di droga ed armi, sulla lotta al riciclaggio mafioso, ed ancora scambio di dati e numeri da approfondire.

«Indagini riservate arriveranno a breve nella fase cruciale», sussurrano nei corridoi del Palazzo di giustizia albanese, ma nessuno – fra i presenti alla conferenza stampa – si azzarda ad avanzare ipotesi sui comuni interessi investigativi. Zero indiscrezioni, insomma, tranne una domanda “impertinente” sul traffico illecito di rifiuti provenienti dall’Italia e smaltiti, spesso illegalmente, nel territorio della Penisola balcanica.

«Procuratore, migliaia di containers provenienti dal porto calabrese di Gioia Tauro e diretti in Macedonia sono sbarcati a Durazzo e scomparsi lungo il tragitto… Sembra contenessero rifiuti urbani e industriali. L’Albania è diventata la nuova pattumiera d’Europa?», incalza un cronista. L’alto magistrato fa un cenno con lo sguardo ed alza le spalle. Dribbla la domanda, ma lo fa soltanto per il rispetto del segreto istruttorio che è necessario mantenere sui processi in corso.

È vero, Italia ed Albania indagano sui “rifiuti scomparsi” sulla rotta dei Balcani. Documenti in nostro possesso testimoniano che nell’anno 2016 almeno milletrecento containers, da 22 tonnellate ciascuno (28.600 tonnellate) ed ufficialmente destinati alla discarica di Dresla, in Macedonia, non hanno varcato la frontiera. Scaricati al porto di Durazzo, in Albania, dalle navi mercantili delle grandi compagnie armatrici ed imbarcati in Calabria, a Gioia Tauro, dovevano essere smaltiti a Skopje, in Macedonia – appunto – nella più grande discarica d’Europa, oggi affidata in gestione ad un’impresa italiana.

Rifiuti urbani provenienti dalla provincia di Napoli, dalla Campania, da Bari e dai comuni di quel territorio. Perfino dalla provincia di Imperia. Ma forse anche rifiuti industriali e veleni pericolosi, ipotesi – quest’ultima – che rende l’“affaire” più inquietante e porta alla memoria gli anni bui dei veleni delle mafie. A Napoli e in Campania, terre di “mali oscuri” diffusi negli anni del più grande disastro ambientale della storia recente, sanno bene di cosa si tratti. Ed il procuratore di Tirana parla ad un uomo, l’autorevole collega Franco Roberti, che da quella regione proviene e che la storia della camorra dei “rifiuti scomparsi” la conosce da vicino per averne perseguito le oscene gesta di sangue e le funeste mire espansive dell’impresa criminale, che nella “munnezza” – interrata ai danni della salute delle popolazioni- ha trovato la fonte di business più suçulenta.

A Tirana, dicevamo, contano al momento una prima tranche di 1.300 “desaparecidos”. Containers persi sulla linea di frontiera fra Albania e Macedonia. Letteralmente spariti. Al porto di Durazzo, la sponda albanese delle merci in entrata – si legge sui tabulati – sono certamente sbarcati ne corso del 2016. Lo confermano i numeri delle autorità portuali di Gioia Tauro e Durazzo, in nostro possesso.

«Nel 2016 le compagnie di shipping internazionali hanno consegnato 24.816 containers provenienti da tutto il mondo ed in transito dal porto italiano di Gioia Tauro», si legge nei report ufficiali dell’anno passato. «Di questi, 2.604 erano indirizzati in Macedonia». Ma alla frontiera di “Qafe Thane”, il varco doganale che separa Albania e Macedonia, quei containers da 22 tonnellate ciascuno non li hanno visti tutti, per l’esattezza ne sono passati solo 1.140. La lista dei transiti – in nostro possesso – parla chiaro.

E allora, dove sono finiti? Chi li ha presi in consegna? Li hanno fatti sparire in mare, come açadeva nella Calabria dei boss delle ‘ndrine, oppure sotto terra?

Le autorità macedoni, nel territorio cui era destinata la “merce”, hanno avviato un’inchiesta ormai da tempo. Molti ipotizzano che siano stati oçultati nei tunnel sotterranei e nei mastodontici bunker dell’ex regime comunista, dove la Guardia di Finanza italiana e i funzionari delle ambasciate italiane in Albania e Macedonia si sono addentrati in queste settimane alla ricerca di un “tesoro” tossico e puteolente, certamente non circoscritto ai numeri che i primi açertamenti fanno emergere.

La “traçia” delle responsabilità porta verso i palazzi del potere di Tirana e chiama in causa le responsabilità della politica del “Paese delle aquile”.

Il Governo albanese, lo scorso anno, ha cercato con insistenza un corridoio “rapido” per l’approvazione di una legge che consentisse l’importazione dei rifiuti urbani ed industriali dai Paesi della sponda europea, Italia in primis. Sostenuta dal Primo Ministro, Edi Rama, la riforma ha provocato più di un’opposizione fra i titolari di alcuni dicasteri, compreso il Ministro con delega all’Ambiente, Lefter Koka, rappresentante dell’altro partito al potere, lo “Lsi”, provocando così uno scontro aperto tra le massime cariche dello Stato, il Premier che ha preteso la legge e i Presidenti della Repubblica e del Parlamento, decisi a bloçare tutto.

La maggioranza dei deputati si è pronunciata dapprima a favore, poi contro l’importazione dei veleni, facendo una rapida “marcia indietro”, ma non c’è dubbio che un’autorevole “lobby” di politici avesse organizzato la “trappola” istituzionale. Ed il dibattito nell’opinione pubblica locale punta, adesso, ad individuare i vantaggi promessi o conseguiti, e la polemica infuria proprio nelle ore in cui si dimette l’ennesimo deputato dal passato torbido, colpito in Italia da un ordine di carcerazione per rapina, nonostante il favore degli elettori lo eleggesse al rango di “onorevole”.

L’opposizione all’importazione dei rifiuti dall’Italia è cresciuta, in questi mesi, anche all’interno del Governo di Macedonia, ma forse troppo tardi per impedire che una parte del vergognoso capitolo dei “rifiuti scomparsi” si consumasse.

Ma torniamo indietro nel tempo per ricostruire alcuni passaggi di questa storia, tutta ancora da açertare nei suoi particolari dalla magistratura italiana, da quella albanese e da quella macedone.

È l’anno 2012. Il 14 febbraio, a Frosinone, con sede al civico 8 di via Armando Vona, viene costituita la società “Flc Ambiente s.r.l.”. Diecimila euro di capitale. Amministratore unico Massimiliano Ferrazzoli, un imprenditore originario di Sora. Paçhetto azionario controllato, al 100%, dalla Società per azioni denominata “Finanziaria Centro Lazio”, blasonata compagine di famiglia costituita nel 2005 con seicentomila euro di capitale sociale e sede nella prestigiosa Piazza del Popolo, a Roma. Sia chiaro che questa società, al momento, non risulta minimamente coinvolta nella scomparsa dei rifiuti in Albania. Ma viene in evidenza esclusivamente perché dovrebbe essere la legittima destinataria finale di quei rifiuti, che erano destinati ad essere smaltiti (legalmente, sia chiaro) nella più grande discarica pubblica macedone.

«Nel 2013», è scritto negli annali della compagnia, «la società si aggiudica la concessione per la gestione della discarica comunale di Skopje, in Macedonia, impegnandosi ad investire il mastodontico importo di 73 milioni di euro per il rinnovamento dell’impianto». Un investimento molto cospicuo, ma necessario per entrare nel grande business dell’esportazione di rifiuti dall’Italia verso il mega-impianto di Dresla.

Si legge nella brochure aziendale: «Il progetto include anche la realizzazione di un sistema di trattamento dei rifiuti industriali e ospedalieri». La Flc Ambiente è forte di un açordo con il Comune di Skopje, presente al 20 per cento nella società mista di gestione della discarica di Dresla.
La Flc Ambiente si affaçia nel 2013 al mercato italiano del “rifiuto esportato”. Vince ad Imperia ed in 67 comuni della Provincia, poi in Campania, quindi ancora – nel 2016 – nel territorio dell’Ato della Provincia di Bari. Importi variabili, da 80 euro fino a 160 per ogni tonnellata smaltita ed in partenza dall’Italia con destinazione Skopje. Gli affari vanno bene, ed i dati di bilancio lo testimoniano. Nel 2014 figurano 18 milioni di euro di fatturato, che diventano 18 e mezzo nel 2015.

Intanto, nel 2016 (ma forse anche prima) la Guardia di Finanza italiana comincia ad affaçiarsi al business transfrontaliero della discarica di Macedonia. Eva Netkovska, funzionaria dell’Istituto per il Commercio Estero a Skopje, interrogata sulla questione da un suo superiore, scrive: «La polizia fiscale italiana, insieme con un funzionario dell’Ambasciata d’Italia in Macedonia ed un suo collega dell’Ambasciata a Tirana, stanno conducendo un’indagine per capire se un ingente carico di rifiuti sia stato davvero scaricato in Macedonia». Ed aggiunge: «Dopo numerosi incontri con Sonja Lipitkova, Segretario di Stato per l’Ambiente, Natasha Krstevska, Direttore della Dogana, ed il sindaco di Skopje, sono giunta alla conclusione che il carico non sia arrivato in Macedonia, almeno legalmente…».

Poi, alzando il velo sui veri motivi dell’indagine, riferisce nero su bianco la realtà dei fatti: «Il team italiano sta indagando su dove siano finiti 300 containers di rifiuti – da 22 tonnellate ciascuno – che secondo i documenti fanno parte di un contratto da 1.000 containers». La Netkovska ricorda che il Governo macedone per ben due volte, nel 2016, ha respinto l’autorizzazione all’importazione di rifiuti stranieri, richiesta anche da altre compagnie locali.

Ma allora, dove saranno finiti i containers?

«L’indagine portata avanti dalla polizia italiana ha evidenziato la possibilità che i rifiuti siano stati sotterrati in Albania», conclude. «Secondo le nostre informazioni l’Albania risulta coinvolta nel business dei rifiuti. In alcune regioni i rifiuti vengono nascosti o bruciati. Spesso, oltre ai rifiuti normali, vengono importati anche quelli pericolosi. Lo smaltimento illecito fa circolare grandi quantità di danaro. La mafia controlla il traffico». E conclude: «I risultati ottenuti dalla polizia finanziaria italiana dovranno certamente essere resi pubblici, poiché l’Italia è direttamente açusata dall’Europa di esportare rifiuti, anche pericolosi, negli Stati balcanici».

Certo, c’è anche la “filiera” legale delle esportazioni. Ma nel 2016 è açaduto l’imprevedibile. Anche il Governo macedone ha vietato l’ingresso ai containers provenienti dall’Italia. E senza di quelli, il grande business di Dresla, della discarica più grande d’Europa, perde la prospettiva dei grandi profitti.

Ed è in quel complicato snodo istituzionale, fatto di complicità perdute, che si sono inseriti gli “squadroni della morte” dell’avvelenamento ambientale. Come nell’Argentina dei Colonnelli, sono arrivati, rapidi, a fare pulizia. I “desaparecidos” non hanno un nome e cognome, ma la sigla di latta delle scatole di açiaio sbarcate a Durazzo. I morti, in questo caso, li conterà il tempo. Il tempo tragico dei veleni che devastano e uçidono più delle armi.

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