Home Approccio Italo Albanese “La voglia di narrare”, Intervista con lo scrittore albanese Darien Levani

“La voglia di narrare”, Intervista con lo scrittore albanese Darien Levani

Darien Levani è un giovane avvocato albanese che vive e lavora in Italia (a Ferrara) dall’anno 2000 e non solo: Darien scrive racconti e romanzi in lingua italiana e albanese.

Spicca il volo con la prima pubblicazione del libro con racconti brevi “Solo andata,grazie” nel 2010 susseguendolo con altri romanzi negli anni successivi in entrambe le lingue. Levani è vincitore dei vari premi come: “Scrivere Altrove” dell’Associazione Nuto Revelli nell’ 2010; “Piuma d’Argento” del Ministero della Cultura Albanese nell’2013; “Premio Pietro Conti” dell’ Associazione FILEF e Premio “F.A.R.R”, sempre nel 2013.

Nell’ottobre dell’ 2016 Darien venne ad Asti per presentare il suo ultimo libro ” Toringrad” pubblicato dalla casa editrice Spartaco Edizioni, invitato dalla Biblioteca Astense della città e l’associazione culturale ” Albarts” che si occupa a promuovere la cultura albanese dalla diaspora in Italia e in Albania.
Doveroso portare la sua intervista per il giornale Albania News.

Che cosa significa per lei essere albanese lontano dalla patria?

Forse dovrei partire da cosa significa “patria”. Mi viene in mente il poeta messicano Jose Emilio Pacheco quando scriveva “Non amo la mia patria. Il suo fulgore astratto è inafferrabile. Ma (benché suoni male) darei la vita per dieci dei suoi luoghi, certa gente, porti, boschi, deserti, fortezze, una città disfatta, grigia, mostruosa, vari personaggi della sua storia montagne – e tre o quattro fiumi”. Ecco, direi che ha intuito questo: la patria, mëmëdheu, o madrepatria, è tale soprattutto quando ti maltratta. E significa anche avere lo stato d’animo come certe foto che vengono sempre mosse perché non registrano il movimento, e il fotografato è come sospeso, né di qua e né di là.

Lei è stato anche giornalista per “Albania News” e tante altre testate prima di dedicarsi al suo lavoro di avvocato. Qual è il suo impegno civile in questo giornale?

Quello di narrare. Di trovare delle storie, di capirle e poi di saperle raccontare anche agli altri. Il giornalismo, alla fine, è un mestiere semplice, non molto diverso dall’avvocatura poi: far vedere agli altri la realtà con i tuoi occhi. Non la devono necessariamente condividere o concordare, ma se riesci a dimostrare, e quindi indirettamente spiegare perché succedono certi fatti, il più è fatto.

“Toringrad”, perché questo titolo accattivante? Nostalgia del passato comunista, o è una trappola metaforica per gli albanesi che continuano ancora ad essere condizionati nella loro vita dal filone ideologico comunista?

Le persone che hanno vera nostalgia per il comunismo sono quelli che durante il regime vivevano bene. E quindi membri dell’apparato o loro affini, ed è logico che sia così perché non puoi chiedere al boia di essere contro la pena di morte. A questi si sovrappongono – e qui sta, secondo me, la vera confusione – altri che più che nostalgia del passato sembrano avere paura del futuro. Io penso che la nostalgia per il comunismo non sia da attribuire tanto a qualche successo del socialismo albanese, quanto a un fallimento del capitalismo. Ed è, ça va sans dire, eredità pesante da portare.

Come avviene questo suo incontro con il mondo del traffico dello stupefacente o, ad essere precisi, con la cocaina? Esiste davvero la mafia organizzata albanese? Ci sono legami con le altre organizzazioni mafiosi presenti in Italia?

Avviene principalmente per motivi di lavoro, avendo affrontato diversi processi penali con imputati albanesi accusati di traffico di stupefacenti. E’ una nicchia di mercato nella quale, per vari motivi troppo complessi da approfondire in questa sede, gli albanesi sono riusciti a guadagnarsi uno spazio consistente. Se esiste una mafia organizzata albanese è domanda complicata, e necessità di una premessa: per l’articolo 74 del DPR 309/90, la legge sugli stupefacenti, un’associazione sono tre o più persone che si associano per un traffico illecito. In questo senso direi proprio di sì: esistono delle associazioni albanesi che hanno una struttura e sono dedicate allo spaccio. Se invece con “mafia” intendiamo l’immaginario cinematografico di riti, gerarchie e, soprattutto, controllo di territorio, la risposta è no.

Non c’è un contrasto tra promuovere la cultura e il mondo albanese, e poi difendere gli accusati albanesi in Tribunale?

Secondo me no: anzi, è una continuazione delle stesse battaglie. Intanto va detto che i nostri connazionali, varcano le soglie dei tribunali anche come vittime, e questo non va dimenticato. Bisogna tenere presente, poi, che un imputato è pur sempre una persona in attesa di giudizio. Può essere colpevole così come può essere innocente. Ma non solo: spesso è una persona stordita al quale crolla il mondo addosso. Se a tutto questo si aggiunge anche la poca conoscenza della lingua e della legge italiana, capisce che la situazione diventa ancora più complessa. Poter parlare con qualcuno nella sua lingua madre è qualcosa di impagabile che, anche solo a livello psicologico, è di grande aiuto agli accusati. Poi verrà processato, verrà condannato o prosciolto in base a tanti altri fattori, ma ogni imputato, al di là della nazionalità, deve avere una sua voce e una sua dignità nel processo.

Ha scelto subito di dare una identità di credenza cattolica al suo protagonista principale, a Drini. Perché questa scelta?

Quello della religione del personaggio è un dettaglio che, per me, non aveva molto peso. Ho notato che tanti lettori hanno cercato un messaggio o una chiave di lettura che, almeno nelle mie intenzioni, non esiste. Segno dei tempi in cui viviamo, mi verrebbe da dire.

Esiste un Albania europea e una orientale?

Esiste un Albania che è frutto di tante esperienze, invasioni e frustrazioni. Nel nostro paese hanno trovato un equilibrio: si può mangiare il bakllava e girare in auto americane, si possono sentire i canti del muezzin e subito dopo i campanelli della chiesa ortodossa che chiama alla messa. La discussione pubblica che si propone con cadenza regolare e che tenta di decidere una volta per tutte se siamo europei o orientali è qualcosa di pietoso e sterile.

Viviamo in una società dove il denaro è una sorta di fantasma sempre presente che alimenta certi valori: sono qualcuno perché ho molti soldi. E’ vero? E’ questo il motivo che spinge gente come Drini, Petrit e Enver di rischiare le loro vite?

E’ sicuramente uno dei motivi. Poi sono tre personaggi diversi e quindi agiscono per motivi molto diversi.

Quando scrive? Che importanza prende la parola, come la sceglie?

Diciamo che scrivo quando riesco. Il più delle volte scrivo tra un processo e l’altro. Ho quasi, come dire, bisogno di staccare dal mondo delle leggi e di immergermi nella letteratura.

Esiste la felicità?

Certamente. E’ quella cosa che si capisce dopo.

Ringraziamo Darien per il tempo dedicatoci con l’augurio di ritrovare presto negli scaffali delle librerie i suoi nuovi libri. E perché no, anche le traduzioni in italiano di “Dopio Gjashta” ( se posso osare: Lo scacco matto) e “Poetët bëjnë dashuri ndryshe” (I poeti amano diversamente)./AlbaniaNews.it

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