Home Approccio Italo Albanese Minniti incontra tutti a Tirana, o quasi . . .

Minniti incontra tutti a Tirana, o quasi . . .

Di Carlo Alberto Rossi

La missione era difficile, per non dire imbarazzante: andare in Albania, ospite di un governo che ha deposto da pochi mesi un Ministro degli Interni, a lungo apertamente sostenuto dalla missione diplomatica e tecnica italiana, travolto da un vortice di accuse di collusione con il narcotraffico, accuse peraltro originate proprio da documenti giudiziari italiani, e sostenere dati alla mano, ancora una volta, che il governo albanese sta realmente combattendo la coltivazione della cannabis.

Insomma, sostenere pubblicamente, con i dati ricavati dalle missioni della Guardia di Finanza, le stesse argomentazioni che in un recente passato alcuni funzionari del suo stesso Ministero avevano sostenuto nonostante l’evidenza della cronaca li rendesse del tutto inattendibili.

Una volta una cazzata la puoi dire, ma dirla la seconda volta rischi grosso, soprattutto quando parla l’Istituzione, non la persona, e qui parlava il Ministro degli Interni della Repubblica Italiana, non piu’ sconosciuti gabellieri casualmente prestati alle missioni internazionali.

Ma Marco Minniti, aviatore per diritto dinastico, e’ uno che ha passato meta’ della sua vita politica a dirigere o controllare le strutture della sicurezza nazionale, quelle che oggi fanno la politica estera e in fin dei conti anche la diplomazia, e la presentazione dei risutati dei sorvoli antidroga era un’occasione che l’aviatore Minniti non poteva perdere, anche per dimostrare ancora una volta che lui e’ in grado di maneggiare quelle patate bollenti che la vita di un uomo di governo propone spesso.

Esperienza politica, mestiere di intelligence e cultura diplomatica gli sono serviti ottimamente allo scopo, nonostante una narrazione ed una scenografia organizzata per fargli dire altro.

Davanti a una grandiosa platea di poliziotti e diplomatici, tenuta a bollire in attesa per quasi mezz’ora in attesa che Minniti finisse di intrattenersi cordialmente con il Presidente, esordisce un generale della Finanza che con precisione e dettaglio espone i numeri dei sorvoli dando i risultati per ogni anno, pero’, a differenza dei suoi sottoposti di un anno prima, i risultati li esprime in numero di piantagioni individuate, e sono 304 nel 2013, 815 nel 2014, 1368 nel 2015, e “nel 2016, anno record” – sottolinea il Generale – “sono state identificate 2086 piantagioni”. Poi, quest’anno l’inversione di tendenza, solo 90 piantagioni. Ma intanto, alla faccia di chi nel 2016 diceva che il problema non esisteva, il Generale ha ultimato il suo compito, affermando, in realta’ per la prima volta, l’indiscutibile “crescendo”.

Dopo di lui, tocca al Comandante Generale della Guardia di Finanza, il quale apre un altro capitolo doloroso, quello del traffico e dei sequestri effettuati in Italia, passati dalle 12 tonellate del 2016 alle 33 dell’anno in corso, e qui sta il messaggio: il vostro problema non e’ finito, avete fatto bene a smettere di produrre, ma la guerra continua, adesso bisogna smettere di trafficare anche quello che avete nei magazzini.

A questo punto tocca all’ospite d’onore che, sorridente e sornione, inizia con il solito ritornello dell’emozione provata sulla strada dell’aeroporto dove tutto era cambiato, dimostrando che quando si vuole si puo’ fare qualcosa, poi un accenno paternalistico rivolto ai molti giovanissimi poliziotti “voi eravate ragazzini” per sottolineare il suo diritto a parlare e la sua indiscutibile esperienza, e il solito elogio della collaborazione transfrontaliera e la celebrazione dei successi comuni.

Qualcuno in sala, o meglio in regia, gia’ pensava che ancora una volta gli italiani si erano fatti usare, quando, in un sapiente crescendo, arriva la botta, a quel punto ormai inattesa.

“Adesso dobbiamo colpire i trafficanti, le grandi organizzazioni che dirigono il traffico, dobbiamo colpire gli intoccabili, perche in italia, in Albania e in Europa non ci sono intoccabili. Penso che questo sia un obiettivo importante per il quale dobbiamo lavorare insieme.”

E incalza dicendo, o forse per qualcuno minacciando, che tutto il sistema italiano, dai finanzieri ai giudici, sara’ impegnato in questo.

E alla fine lascia pure i compiti a casa, indicando le tre grandi sfide per le quali serve “una collaborazione internazionale piena e cosciente”: narcotraffico, emigrazione clandestina e terrorismo.

Dopo di lui l’omologo Xhafaj sottolinea che la svolta, dopo l’esplosione del 2016 dovuta “forse ad euforia, forse ad incapacita’”, e’ iniziata con il suo insediamento nel marzo 2017, li lo aveva promesso, e oggi ha dimostrato di averlo fatto, e giura che, con l’aiuto italiano, lo fara’ anche in futuro.

Dopo gli applausi, Minniti ha ancora tempo per incontrare anche un Basha che sobriamente non commenta.

Insomma, la colpa se la deve tenere Tahiri, e forse anche qualcun’altro che, nonostante le insistenti affermazioni della stampa di regime, in sala non c’e’ proprio e che, complice l’inatteso rinvio di un giorno della visita, nemmeno ha potuto incontrarlo per la consueta foto.

Pare che sia dovuto andare in Marocco, altro paese produttore, per una conferenza di quelle da organizzazioni non governative, forse per insegnare come si combatte il fenomeno.

Certo, se fosse stato in sala come molti avrebbero voluto, l’effetto sarebbe stato diverso, e soprattutto meno credibile, ma e’ per questo che Marco Minniti e’ considerato una volpe.

Alle otto di sera i cantori di Rilindja ancora non trovano le parole, mentre dall’altra parte del Boulevard, e non solo li’, qualcuno stappa champagne./exit.al

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