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IL TEMA DELL’IMMIGRAZIONE AL FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA POESIA

L’opera di Lumturie Plaku e l’intervento di Marsela Koci

Di Redazione International webpost.org

Al Festival Internazionale della Poesia a Milano, tenutosi tra il 12 e il 13 maggio al Mudec (Museo delle Culture), ha partecipato per la prima volta anche la poesia albanese, con l’autrice Lumturie Plaku. Quest’ultima conta la pubblicazione di 13 libri tra poesie, romanzi e racconti in lingua albanese, di cui due anche in lingua italiana.

Al Festival ha presentato il libro intitolato “Mi manchi”, che racconta la storia migratoria della sua famiglia, risalente al 1991. Allora, a partire furono tanti albanesi, sbarcati sulle coste pugliesi da Durazzo e Valona, due città principali dell’Albania da cui partivano navi cariche di migranti che sognavano la libertà.

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Nella poesia “Marzo 1991”, quel sogno viene così descritto:

MARZO 1991…

In quei giorni…

Soffriva l’uomo, stringendo i denti per non versare le lacrime,

la mamma chiamava, non riusciva a trovare il figlio,

camminavano le gambe, come le ombre senza il cuore e la testa,

correvano, andavano via, si svuotava il ventre della mia terra.

In quei giorni…

Il mio paese si invecchiava, la gioventù andava via,

correva, senza sapere per dove, cercava la libertà,

i muscoli legati per lungo tempo spaccavano le catene

la mia gente correva nelle strade del mondo, come un fiume in piena.

In quei giorni…

Le sofferenze della mia terra, soffocata da una vita terribile,

spaccavano i cuori, provocavano una grande emorragia

portavano nel mondo le loro sapienze e mestieri

lasciando l’Albania in povertà, malata e distrutta.

Quei giorni…

Erano di febbre, cielo scuro, sole coperto dalle nuvole nere,

piogge di lacrime dappertutto, piangevano i cuori delle mamme,

i bambini per i genitori, le sorelle per i fratelli che scappavano,

piangevano quelli che andavano e tutti quelli che rimanevano.

I versi e i racconti degli episodi relativi a quella esperienza sono stati accompagnati dalla voce melodiosa della soprano albanese Anila Gjermeni, soprano della Scala di Milano laureata al Conservatorio di Tirana e quello di Milano.

A distanza di 27 anni, Lumturie qui in Italia ha imparato a scrivere in italiano ha potuto lavorare come mediatrice culturale nelle scuole, raccontando favole e leggende dal suo piccolo Paese, l’Albania, che probabilmente nessuno allora conosceva. Infatti, nel discorso di apertura dell’evento, la nostra redattrice, Marsela Koci ha voluto porre l’accento su ciò che all’inizio si prova quando si arriva in una terra straniera, dove molto spesso (quasi sempre) ci si sente molto soli, ma soprattutto sconosciuti e, nella maggior parte dei casi, stigmatizzati o ancor peggio vittime di pregiudizio. Stigmatizzati da preconcetti che molte volte non descrivono la propria persona.

“All’improvviso, ti chiedi se tutto ciò che dicono sia vero… quel Te, che in quel momento rappresenta un Paese intero.

A volte cerchiamo di dare una versione alternativa di noi stessi: pur di non accettarci per come ci descrivono, simuliamo, mimetizziamo e addirittura ci chiudiamo del tutto nel cerchio della comunità che ci rappresenta. Ciò che molto spesso ci aiuta a farci conoscere e, soprattutto, andare fieri di noi, è l’essere rappresentati da figure che con il loro lavoro contribuiscono a ricostruire la storia del nostro Paese, come artisti, patrioti, scrittori. Ci troviamo così a raccontare storie, parti della nostra cultura, tradizioni di cui gli altri nemmeno conoscono l’esistenza, scambiandole per favole o racconti di scarsa importanza.

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L’incontro di oggi è fatto di quegli attimi e scatti magici che solo i poeti possano suscitare nell’anima. Ed è ciò che Lumturie ha fatto scaturire nell’anima dei presenti in sala che, ricordando l’inizio di quella migrazione che per la prima volta ha ‘invaso’ l’Italia, collega la storia dell’immigrazione di oggi a quella che l’Italia ha vissuto nel ‘900, quando navi cariche di italiani partivano per le Americhe in cerca di una vita migliore. Quando madri come Lumturie non sanno stare con le mani legate davanti alla partenza di un figlio minore e si alzano, lottano, combattono con il destino fino alla rivincita. La storia si ripete sempre e sta a noi ad accoglierla, a viverla e raccontarla con il massimo rispetto, ricordando che quelli di oggi eravamo noi di ieri, senza dimenticare le nostre radici la nostra cultura ma confrontandoci, arricchendoci dell’uno l’altro.

Siamo sempre noi anche qui, ma ci troviamo a confrontarci con situazioni che ci colgono spesso impreparati perché a noi sconosciute. Ed è lì che tiri fuori dalla tua personalità, dal tuo Io, ciò che nemmeno avevi idea di aver dentro. Perché io rifletto e, quando guardo dentro di me, penso che è anche ‘grazie’ a questi pregiudizi che sono cresciuta. Ho saputo affrontare la vita fuori dal mio Paese, piccolo o grande sia, e mi sento lusingata, mi sento vittoriosa perché riconosco in me quella guerriera che non pensavo di essere, vincendo tutte le battaglie grazie al confronto, al dialogo e all’arricchimento che tutto ciò mi ha fornito. So che in fondo anche io ho contribuito all’arricchimento dell’altro che, come me, si è voluto confortare”.

Redazione

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