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Migranti, Italia Germania e Austria guardano all’Albania

Di BARBARA CIOLLI, Lettera 43

Apelle Matteo Salvini e gli omologhi Herbert Kickl e Horst Seehofer se la intendono e se la ridono, quasi si conoscessero da una vita. Anche se i rispettivi interessi nazionali collidono, l’importante, ribadiscono, è la «visione politica comune». Minimizzando sul rimpallo interno di richiedenti asilo – la Germania che chiude le frontiere e respinge verso l’Austria, quest’ultima che chiude ilBrennero e altri valichi e respinge i migranti verso l‘Italia e l’Ungheria – un punto fisso nei piani dei tre ministri dell’«asse dei volenterosi» sancito a Innsbruck c’è ed è fermare e rispedire indietro dall’Ue, in Paesi terzi o nei Paesi di origine, tutti i non aventi diritto all’asilo o alla protezione umanitaria.

La “fortezza Europa”, già schermata dalle guardie di frontiera di Frontex e dall’ostacolo dei visti inaccessibili a diversi extracomunitari, deve diventare impenetrabile. L’Austria, dal luglio 2018 presidente di turno del semestre del Consiglio europeo, ha un’idea ben chiara su come muoversi sin dal vertice organizzato, all’inizio del 2016, con i leader dei Balcani. Vertice che bloccò la rotta ancora prima dell’accordo della Germania e poi dell’Ue con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, per trattenere i migranti. Dalla tavola rotonda a Vienna furono non a caso escluse la Germania di Angela Merkel e la Grecia di Alexis Tsipras, restie a politiche dure sull’accoglienza.

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Al vertice a Innsbruck è stato sancito l’asse dei volenterosi tra Austria, Italia e Germania.

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IL MODELLO TURCHIA NEI BALCANI

Albania, Bosnia, Bulgaria, Kosovo, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia accettarono l’invito dell’allora ministro degli Esteri Sebastian Kurz, dal 2017 premier del governo tra popolari austriaci (Övp) e la destra xenofoba (Fpö) del ministro Kickl. Da quel momento lungo i Balcani si sono alzate reti di filo spinato, le ultime in Serbia e Slovenia, e sono stati aperti centri di transito per migranti in Albania e in Macedonia. Dal 2018 Tirana ha anche attivato, prima tra i Paesi balcanici fuori dall’Ue, una stretta collaborazione con Frontex e con Europol che permette alle autorità europee di operare sul suo territorio. Accordi simili sono in via di definizione anche con Serbia e Macedonia, il premier Kurz batte sempre lì.

L’Austria intende far leva sulla sua storica area di influenza nell’Est Europa per estendere il modello della Turchia ai Balcani, in cambio di un ingresso più rapido degli stessi nell’Ue. Non a caso lo scorso aprile Bruxelles ha dato il disco verde all’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia. Ufficialmente tanto Tirana che Skopje rigettano con parole di fuoco l’ipotesi del ricatto: «Non accetteremo mai di aprire lager targati Ue per rifugiati sul nostro territorio», ha tuonato il premier albanese di sinistra Edi Rama e anche il ministro degli Esteri macedone Nikola Dimitrov, figlio di riparati dalla guerra civile greca, rifiuta l’idea di «centri permanenti». «Faremo la nostra parte ma i Balcani non possono essere usati per scacciare i profughi», ha chiosato.

L’ASSE GUARDA AD ALBANIA E MACEDONIA

Ma né Albania né Macedonia hanno le mani libere. Da Vienna sono filtrate a più riprese indiscrezioni su trattative in corso, sempre smentite dai due Paesi che tuttavia presentano caratteristiche ideali per le mire dell’asse dei tre sovranisti volenterosi. L’ex protettorato fascista è il più idoneo. Membro dal 2009 della Nato, il Paese conta di entrare nell’Ue prima della Serbia e, stroncata la rotta più sicura attraverso Macedonia-Serbia e Ungheria, è attraversato da un flusso minore ma in crescita di migranti che dalla Grecia penetrano in Bosnia.

Il percorso è lungo e accidentato. Albania e Montenegro sono due Stati montuosi e in Albania non è ancora stata ricostruita una rete ferroviaria che copra, da Nord a Sud, le tratte più impervie: un altro deterrente per i migranti. In più Tirana e altre città albanesi hanno strutture per rifugiati costruite durante l’emergenza profughi dal Kosovo, alla fine degli Anni 90, e prima ancora dalle guerre nella ex Jugoslavia. Hanno esperienza nei servizi dell’accoglienza e gli stranieri nei centri profughi riaperti vengono trattati bene. Germania, Austria e Italia sono poi i tre Paesi con legami storici, economici e finanziari più forti con l’Albania. Con il do ut des gli investimenti, nell’ambito del cosiddetto Processo di Berlino per lo sviluppo dei Balcani occidentali, i rapporti potrebbero aumentare.

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Salvini con l’omologo tedesco Seehofer sui migranti.

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Verso il porto di Durazzo potrebbero anche essere dirottate, scortate dai mezzi Frontex, parte delle navi con a bordo migranti, lì poi registrati ed esaminati nelle richieste di asilo per l’Europa. Se la Libia è una prerogativa lasciata volentieri all’Italia, in nessun altro Paese terzo Seehofer, Salvini e Kickl potrebbero lavorare così in stretto coordinamento come in Albania. Anche la Macedonia, in doppia trattativa per l’ingresso nella Nato e nell’Ue, può essere pressata non poco sulle richieste di Vienna. Come per la Libia, l’asse dei volenterosi mette in conto di dover trattare in un contesto di alta e diffusa criminalità che si fonda sul riciclaggio e sul traffico di droga, armi ed esseri umani. Reti ben radicate e colluse con la politica, l’economia e la finanza.

Il migliaio di richiedenti asilo in Bosnia dal 2018 si è dovuto affidare al trafficking del Balcani, i migranti a Sarajevo hanno confermato di aver pagato somme prima dalla Turchia alla Grecia, poi nei successivi Paesi attraversati. Nuove reti di trafficanti si starebbero creando tra contrabbandieri, le intelligence confermano il «complicarsi del quadro» denunciato dalle autorità bosniache e tra la Grecia e la Bosnia si stimano bloccati quasi 50 mila migranti. La trilaterale di Innsbruck Salvini-Seehofer-Kickl è attesa incontrarsi ancora il 19 luglio a Vienna e il 26 luglio a Milano per cementare il «cambio di paradigma»: «Portare a zero l’immigrazione illegale», giurano anche se per la scettica cancelliera Merkel i volenterosipuntano a fermare l”immigrazione tout court./Lettera 43

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