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Albania nel caos, Berisha: «Paese in mano ai narco-politici, il premier rischia una brutta fine»

di Marco Ventura, Il Messaggero.it

Le violenze? Se un popolo non può votare, la più grande violenza è la violazione del voto. Ci sono due capitali che protestano oggi: Caracas contro Maduro e Tirana contro Edi Rama. L’opposizione ha fatto tutte le concessioni e accettato tutti i compromessi possibili firmando un accordo nel maggio 2017. Ma Rama lo ha violato, come ha violato tutte le regole elettorali. Deve dimettersi e lasciare spazio a un governo di transizione che gli impedisca di gestire e manipolare il voto.

Non ci sarà un avvenire per l’Albania se non sarà ristabilita la libertà di voto. A Tirana oggi governano banditi e narcotrafficanti». Sali Berisha, 75 anni, leader storico del Partito democratico (centrodestra), guida le proteste di questi giorni. Per 13 anni presidente e premier albanese, è il leader più longevo dell’Albania post-Enver Hoxa.

Presidente, qual è la ragione della protesta?

«Anzitutto è una protesta contro il narco-Stato che comanda in Albania, che non segue alcuna regola di diritto e nel quale trafficanti e traffici di droga decidono su tutto e per tutti. Ma la ragione di fondo è la violazione massiccia delle regole elettorali denunciata dalla comunità internazionale nel rapporto dell’Osce per il quale nel 20 per cento dei casi il voto è stato comprato.

Un paio di mesi fa è diventato parzialmente pubblico un lungo dossier con migliaia di intercettazioni di ministri e sindaci del narcopartito e narco-Stato di Edi Rama, da cui emergono infiltrazioni criminali in vari distretti per comprare i voti e imporre certi risultati».

Con quale fondamento lancia queste accuse?

«Ciò che dico è tutto provato. Sono coinvolti l’ex ministro dell’Energia e il Sindaco di Durazzo, stretto collaboratore di Edi Rama che aveva interesse a controllare il voto attraverso le bande, a Durazzo le più feroci di tutta la regione. Il risultato elettorale è stato stravolto con le minacce e il denaro della droga in almeno cinque distretti. Quel dossier, pubblicato dalla Voice of America sezione albanese, è nelle mani della Procura della Repubblica».

Che cosa chiedete a Rama?

«Che lasci e consenta la creazione di un governo provvisorio con l’incarico di preparare elezioni libere, “conditio sine qua non” per garantire la pace sociale in Albania. Due anni fa, il 19 maggio, firmammo un accordo per andare a elezioni, ma è fallito, non lo ha rispettato.

Con Rama elezioni libere non sono possibili. La battaglia è durissima, ma queste proteste sono state una lezione che spero Rama capisca, altrimenti avrà giorni difficili e la sua fine sarà terribile, la gente potrebbe ucciderlo, lo getterà nel fiume».

La comunità internazionale ha condannato le violenze…

«La violenza vera è violare il diritto di voto. Le proteste continueranno finché le nostre richieste non saranno accolte. Indietro non torniamo. Non sono più gli studenti a protestare, sono i cittadini. La situazione è critica».

Edi Rama è il premier architetto, artista, aperto all’Europa?

«Solo un’illusione. Edi Rama è l’uomo che ha protestato pubblicamente contro l’ingresso di Tirana nella Nato, ha bloccato per due anni lo status di candidato dell’Albania all’ingresso nella UE perché non faceva votare tre leggi per le quali poi è arrivato il consenso della commissione europea. E non rispetta alcuna regola europea. Ha strettissimi legami con criminalità e traffico di droga. E coltiva la vecchia idea dei comunisti albanesi del “crimine utile”. Discende dall’alta nomenklatura comunista di Hoxa, suo padre era nel presidium, e “firmò” l’impiccagione di un poeta dissidente».

Qual è il programma dell’opposizione?

«L’integrazione europea, cioè una democrazia e una economia di mercato funzionanti. Siamo decisi a tutto pur di far rispettare lo Stato di diritto e sconfiggere la criminalità. Edi Rama ha aperto il Parlamento agli assassini. La mia uscita di scena è senza ritorno. Ma farò di tutto perché gli albanesi votino come tutti i cittadini europei. Siamo l’unico paese in Europa con una semi-dittatura come in Venezuela».
 

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