Home Approccio Italo Albanese I primi 30 anni della DEMOCRAZIA ALBANESE!

I primi 30 anni della DEMOCRAZIA ALBANESE!

Di Marsela Koci

Era il 20 febbraio del 1991. Sul boulevard del quartiere Çelepias camminavo fiera e orgogliosa di mio padre, presa per mano da mamma e zia. Quel giorno era speciale. Non c’era tanta gente per strada, un venticello leggero primaverile soffiava sui miei capelli. Ero piena d’emozione e il cuore mi batteva rapidamente, quel giorno era arrivata la democrazia!

Mio padre è uno di quei giovani ragazzi che si sono battuti tanto per vedere quel giorno. Tutto si svolge a Tirana: grandi proteste, grande manifestazione, oggi hanno abbattuto l’ultima statua del dittatore Hoxha, e mio padre era lì, in piazza. Penso che lo avrei seguito anche io se avessi avuto almeno 14 anni, ma in quell’anno ne avevo appena 10. Non so se rendo l’idea, ma sembravo un uccello fuggito via dalla gabbia: mi sembrava di volare. Tutto l’inimmaginabile e l’immaginabile che mia avevano raccontato adesso era lì, a portata di mano, bastava solo volerlo. Quale poteva essere il più grande sogno di una bambina di 10 anni? Quello che le aveva raccontato suo padre: i suoi sogni erano anche i miei!

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Ricordo che un giorno io e la mia amica Vali, con la quale giocavo sempre nei prati delle colline di fichi secolari, siamo andate come ogni volta a rinfrescarci nei canali d’irrigazione d’acqua del nostro quartiere. Ci togliemmo le scarpe e le calze, alzati i pantaloni, ci siamo sedute vicino all’una l’altra e ci siamo guardate in faccia, senza parlare, con i piedi nell’acqua. In quel momento abbiamo capito che qualcosa stava cambiando.

In effetti, da quel giorno tutto cambiò: da allora non siamo più andate a giocare e a raccogliere fichi insieme. Si era verificata la più grande devastazione di terreni agricoli mai vista prima. Quella era la democrazia?! Mia mamma era rimasta senza lavoro e mio padre, che faceva il veterinario, anche. Tutto chiuso, tutto distrutto. Il film “La morte del cavallo”, con il bravissimo attore albanese Timo Flloko, racconta la distruzione delle stalle dei cavalli e la fine di un’epoca famosa per il suo ordine agricolo. Andato tutto perduto, distrutto, rubato! Migliaia di albanesi riversati sulle coste di Durazzo a riempire le navi che partivano per Italia, l’America degli albanesi. Tanti presero la strada per le montagne della Grecia, altri si sono rifugiati nelle ambasciate. Erano gli anni della rivoluzione, di cambiamento. L’anno in cui cadde il Muro di Berlino. Ascoltavamo musica rock in tv: gli Europes, gli Scorpions e gli AC/DC risuonavano da ogni balcone o finestra di casa, come mai si erano sentiti prima. Eravamo finalmente liberi di sognare, di ascoltare musica straniera e di pronunciare parole in inglese. Al Festival di musica Albanese si esibivano giovani artisti che suonavano la chitarra, indossavano occhiali neri, giacche e pantaloni di pelle; capelli lunghi e ragazze in minigonna. C’è stato il boom dei gruppi di musica rock più importanti albanesi, di cui alcuni tutt’ora esistenti. Io amavo i The dreams, I West side family, Redon Makashi e i Boys.

La scuola rimase ancora per molto tempo l’istituzione più seria del paese, in cui era necessario presentarsi con un abbigliamento adeguato, in orari precisi e senza trucco. Almeno così è stato fino al 2000, quando io ho finito le superiori.

Quando mio padre arrivò dopo 10 giorni in Grecia, tutto il quartiere venne a salutarlo. Erano tutti curiosi di sapere cosa avesse trovato dall’altra parte del confine, che gente, quali fossero le loro abitudini, che mangiavano come vedevano gli albanesi!

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Eravamo la nuova generazione, un ponte tra il vecchio mondo e il nuovo, tra i confini chiusi e quelli aperti tra la dittatura e la democrazia, i bambini degli anni ‘80 gli adolescenti degli anni ’90. Siamo noi, gli uomini e le donne, i genitori degli anni 2000. Cosa racconteremo ai nostri figli, alle generazioni che ci succederanno? Sta a noi raccontare i fatti con obiettività, senza essere di parte. Siamo noi gli emigrati di quell’Albania che abbiamo lasciato ad ogni costo, abbiamo affidato il nostro Paese a chi doveva costruirlo. Non siamo rimasti insieme a costruire la democrazia ma ci siamo allontanati, l’abbiamo lasciato in mano a pochi che lo hanno violentato! Sì, questa è la nostra democrazia, la democrazia albanese violata. L’Albania è stata spogliata delle mille risorse che aveva, venduta da individui senza scrupoli. La sua popolazione è stata allontanata, quella che è restata è stata ridotta alla schiavitù da chi qui ha trovato l’America tanto ricercata da noi che ci siamo allontanati. Nessun eroe albanese del calibro di Thomas Sankara, Ernesto Che Guevara o Josè Martì: nessuno di loro è stato mai menzionato mai studiato perché di sinistra, perché dovevamo allontanarci dalle ideologie di quella sinistra che per 50 anni avevamo chiamato dittatura. Eppure la stessa dittatura La stessa dittatura che è stata poi imposta a un Paese senza gente: la dittatura della proprietà privata, dello sfruttamento senza scrupoli del bene comune, delle risorse naturali di un Paese dove le montagne piangono cadendo perché spoglie dalle pietre che vendono poche imprese, spesso realizzate da un unico proprietario che sta sempre ai vertici della politica albanese e che continua a non saziarsi dei beni naturali di un paese che non trova pace. La pace violata di questi 30 anni di “finta democrazia”, di quel consumismo di qui mi parlava mio nonno dicendo: “il capitalismo vi mangerà non solo la carne, ma anche le ossa!” È questa la democrazia?

Marsela Koci

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