Home Approccio Italo Albanese Artes Memelli, medico albanese: “In prima linea in Veneto, ma senza diritti”

Artes Memelli, medico albanese: “In prima linea in Veneto, ma senza diritti”

Da 5 anni è in Italia. Come lei 60mila operatori sanitari stranieri non hanno accesso alla sanità pubblica: “Temo Covid perché non me lo posso permettere. Serve una legge che ci tuteli”

Il calvario burocratico della dottoressa Artes Memelli è iniziato subito dopo la laurea. Quando finiti gli studi in Medicina – iniziati in un’Università italiana a Tirana, in Albania, e conclusi a Roma – per lavorare aveva bisogno di iscriversi all’Ordine dei medici. Ma senza cittadinanza né permesso di lavoro non poteva. Un circolo vizioso da cui ha preteso di uscire senza trovare strade laterali: “Mi dicevano che mi conveniva trovarmi un’altra occupazione, la cameriera ad esempio, per ottenere il permesso di lavoro. Solo allora avrei potuto iscrivermi all’ordine dei medici e fare la mia professione.

Io non ho accettato e ho segnalato la cosa all’Associazione medici di origine straniera in Italia. Dopo sei mesi di battaglie sono riuscita ad ottenere l’iscrizione”, racconta ad HuffPost. Ha ventotto anni, è in Italia da cinque. È in prima linea nell’emergenza medica, Covid ma non solo. Lavora in Veneto, una delle regioni più colpite dalla pandemia. Un medico come gli altri, che però non può accedere ai concorsi pubblici. Almeno fino a quando non avrà la cittadinanza italiana.

La sua storia è simile a quella di altri 22mila medici e 38mila infermieri stranieri che lavorano nel nostro Paese, spesso nei reparti dove c’è più bisogno di personale o, nella maggior parte dei casi, nella sanità privata. E che, per la legge, non sono uguali ai colleghi italiani. Un piccolo passo avanti – “che comunque non basta”, ci dice Memelli, che coordina i giovani medici dell’Amsi – era stato fatto all’inizio dell’emergenza Covid.

Quando il decreto Cura Italia aveva introdotto la possibilità di far partecipare i concorsi indetti dalle regioni per l’emergenza anche i medici stranieri con permesso di soggiorno. Ma in molti casi non è successo.

Dottoressa, voi medici stranieri, senza cittadinanza, non potete lavorare direttamente per il servizio sanitario nazionale. Una situazione che si è protratta anche durante la pandemia. Ci spiega?

Alcune regioni, anche quelle più colpite come il Piemonte, avevano escluso dai concorsi indetti per l’emergenza i medici stranieri che vivono in Italia. Dopo tante proteste siamo riusciti a far cambiare i bandi, ma non basta. Crediamo ci sia bisogno di una legge che ci tuteli anche al di là dell’emergenza. Subiamo una disparità di trattamento che non ha ragione di esistere.

Come fa a svolgere il suo lavoro un medico straniero in Italia?

Sette su dieci trovano un’occupazione nel privato o in cliniche convenzionate. Non potendo accedere ai concorsi, anche quando si lavora in strutture pubbliche, lo si fa attraverso intermediari, come nel mio caso.

Lei si occupa di medicina d’urgenza. Un settore fondamentale, in tempi di pandemia ma non solo. Dove lavora?

Io sono un libero professionista e svolgo la mia attività in vari ospedali, a Rovigo, a Venezia. Anche in un centro Covid. Sono appena tornata dal Veneto e le assicuro che, sul fronte della pandemia, la situazione è complicata. Quanto alle condizioni di lavoro, non essendo dipendente è tutto a carico mio. Non ho diritto alle ferie, né alla malattia. Senza contare che se la cooperativa con cui collaboro volesse interrompere il rapporto di lavoro, potrebbe farlo senza nessun problema.

Una situazione che, con i rischi che si corrono nelle ambulanze e in corsia con il Coronavirus, negli ultimi mesi si è fatta ancora più grave.

Esatto, io ho paura di ammalarmi, non solo perché, come tutti, temo di stare male. Ma anche perché se non lavoro non guadagno. Sa cosa dico ai miei colleghi, a volte? Che io il Covid non me lo posso permettere, perché se restassi a casa, senza lavorare, avrei problemi con le tasse, con l’affitto e con tutto il resto.

Lavorando in una delle regioni che è stata maggiormente colpita dal Covid è stata in prima linea nell’emergenza. Com’è stata la sua esperienza?

Nonostante la regione dove svolgo la mia professione sia una di quelle che ha gestito meglio la pandemia, durante la prima ondata ho visto il caos. Spesso mancavano i dispositivi di protezione, c’erano tanti problemi organizzativi, c’era carenza di personale qualificato per i reparti Covid. Nonostante questo, noi abbiamo continuato, e continueremo, a fare il nostro lavoro al meglio.

Se potesse rivolgersi direttamente al governo, cosa chiederebbe per i medici stranieri in Italia?

Innanzitutto una legge che ci tuteli anche quando saremo usciti dall’emergenza, che faccia in modo che possiamo lavorare e dare il nostro contributo stando direttamente alle dipendenze del sistema sanitario nazionale, senza intermediari. È assurdo che nel pieno dell’emergenza si cercassero i medici all’estero ma chi era già in Italia non poteva dare fino in fondo il suo contributo solo per una questione burocratica. Ricordo che per ottenere la cittadinanza italiana l’iter è molto lungo. Ma c’è poi un aspetto che riguarda tutti i medici che lavorano in questo Paese, italiani o stranieri che siano. Mi auguro che nel futuro si investa di più nella nostra professione. Ieri eravamo gli eroi, oggi mi sembra che non siamo più nessuno. Di nuovo.

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