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Il desiderio di un’italiana d’Albania di non rinunciare al suo credo religioso in un paese ateo…

Di Adela Kolea

…. in un paese ateo, in cui la parola “Pasqua” costituiva un tabù lessicale e non solo

Non si potevano nominare oppure si dovevano definire diversamente tutte le festività religiose. Altrimenti le conseguenze potevano essere dalle più pesanti.

La nonna era giunta nella Terra delle Aquile per amore, alla fine degli anni ‘20, avendo seguito il più grande amore della sua vita, colui che ai tempi era stato uno studente albanese in Italia, mio nonno.

Avendo trascorso tutta la vita a Tirana – a parte che a Tirana la chiamavano sempre “l’italiana” e in Italia invece, le sue sorelle la chiamavano “nostra sorella albanese” – lei non solo conviveva con la lingua e le usanze albanesi ma, d’altro canto con grande armonia ed equilibrio preservava anche le sue origini, la sua lingua, le sue usanze e la sua fede cattolica.

In un paese come l’Albania, autodichiaratosi ateo nel 1967 vivendo per mezzo secolo sotto dittatura, un paese in cui nonostante la fede non si praticasse più dal 1967 al 1990, esistevano tre religioni quali mussulmani, cattolici ed ortodossi, ma non era facile preservare la fede per gli albanesi stessi credenti e tanto meno, per un’italiana.

Per lei inizialmente tutta la censura e le interdizioni inerenti alla religione sembravano una cosa inconcepibile.

Ma, la cruda realtà contenente le uccisioni e le persecuzioni degli esponenti religiosi le avrebbe fatto capire concretamente in quale inferno avesse scelto di vivere, nonostante la scelta di trascorrere la propria vita in Albania fosse avvenuta in piena libertà da parte sua, guidata solo dall’amore per il suo marito albanese ed ignara dei passaggi successivi ai quali l’Albania intera sarebbe stata sottomessa dal pugno di ferro dittatoriale, che colpiva tra l’altro anche il credo e la religione, dichiarando il suo atteggiamento ateo ed intransigente ai trasgressori riportato anche nella costituzione.

Nonostante tutto, lei così come gli anziani albanesi che nella loro gioventù avevano avuto familiarità con la fede ed avevano praticato luoghi di culto quali chiese e moschee, preservava il suo credo e la sua fede cattolica in silenzio.

Ai giovani albanesi invece, a quelli cresciuti ed educati col morale indottrinato dell’ideologia al potere, al nuovo “uomo socialista” queste cose risultavano dei tabù.

A me, che parlava solo in italiano, lei aveva insegnato tutte le preghiere nella sua lingua, tant’è vero che tutt’oggi, una cosa di cui sono rammaricata è anche questa: Io, avendo lasciato l’Albania nel ’92 proprio nell’inizio del cambio dei sistemi politici, e di conseguenza, proprio nella fine della censura religiosa, non ho mai potuto imparare in lingua albanese – così come credo, tutti i miei coetanei – nessuna preghiera di fede nella nostra madrelingua.

Ma non lo dico perché io oggi sia una credente cattolica praticante. In chiesa non ci vado poi così spesso, però almeno conoscerle per cultura personale.

E quando mi sono trovata più di una volta in occasioni od eventi religiosi in chiese in Albania, per qualche comunione o cresima ad esempio, mentre il prete predicava in albanese, io tra me e me rispondevo in italiano ai rispettivi salmi. Non penso che questo costituisca un problema di per sé perché, una preghiera sentita e fatta con il cuore, credo sia una cosa benaccetta in qualsiasi lingua del mondo, proprio perché parte integrante di quel linguaggio universale e incondizionato come l’amore e la fede in Dio.

Ma comunque, l’ho sempre considerata una cosa da cui noi albanesi siamo stati privati ed abbiamo dovuto sottostare senza opposizioni per via della dittatura.

Si può sempre imparare naturalmente, ma oggi mi sembra un’impresa. Siccome la terminologia religiosa appartiene ad una sfera specifica come quella della pratica liturgica, imparare tutte le preghiere, le omelie, i salmi ed i canti specifici da chiesa – in età adulta, nonostante si tratti della madrelingua, l’albanese – mi da l’impressione di imparare una nuova lingua. Come se stessi imparando il linguaggio tecnico oppure quello professionale di un ambito giuridico oppure medico – scientifico di un determinato paese straniero.

Ma questi sono forse scrupoli che mi faccio venire io da appassionata di lingue alla fine. Un’altra persona incurante di tutto ciò, – incurante anche della fede – probabilmente non ci pensa proprio e fa a meno di conoscere le preghiere ed i canti di chiesa nella propria lingua madre come nel mio caso, l’albanese.

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