Home Approccio Italo Albanese LA POESIA E’ UN GRIDO D’ALLARME PER TUTTO CIO’ CHE ACCADE

LA POESIA E’ UN GRIDO D’ALLARME PER TUTTO CIO’ CHE ACCADE

Doverosamente riporto qui in italiano l’intervista fattami giorni fa dalla giornalista free lance Mevi Rafuna e pubblicata gentilmente nei portali:
dardaniapress.com, infopressalbania.com, alb-spirit.com, perqasje.com, ciceroni-ks.com

  1. Sign. Bellizzi nel libro che ho letto “Lo specchio e l’ombra” sembra che lo spirito arbëresh sia immortalato nei suoi versi, con una lingua e una cultura sorprendente la quale è arrivata a sopravvivere alla spada dei secoli oltre il mare Jonio, mi potete dire se considerate ciò una missione, un dovere o una passione per conservare attraverso i versi la lingua e la cultura arbëreshe?

Ringrazio il Portale dardania.press e Mevi Rafuna per l’opportunità datami di esprimere alcune riflessioni ai lettori. Il libro citato è stato pubblicato in Kosova dalla Casa editrice “Littera” di Prishtina, nel 2022, ed è il secondo, dopo “Who are we now?” stampato a Pejë nel 1997 da “Dukagjini” a cura di Eqrem Basha, Rexhep Ismajli e altri. ‘Passione, missione e dovere’ insieme mi hanno portato ad esprimere il mio punto di vista sul mondo, sul sud Italia, il Mediterraneo e a prendere posizione sulla ricchezza del nostro patrimonio e la tutela di queste diversità che assieme formano un’identità viva che palpita in un mosaico unico con un respiro internazionalista. Per quanto riguarda la lingua che ha resistito per 6 secoli all’oblio il suo segreto sta nel potere della voce, dell’oralità e non della scrittura.

  1. Nella poesia “Il desiderio e il sentimento” è come assistere ad un dialogo svogliato tra lei e Naim Frashëri, pensate che Naim si rattristerebbe con l’attuale Albania, ‘Vienimi incontro Nail Frashëri’, è un grido che esce fuori dall’anima, come se l’Albania piena di colori, vita, animali ed essere viventi non esiste più o c’è qualche incongruenza con l’attuale società?

Il nucleo tematico della poesia in cui interloquisco con Naim Frashëri sta nella rottura della ciclicità degli eventi, nelle metamorfosi in cui tutto ritornava. Volevo solo attirare l’attenzione che dopo millenni, in pochissimo tempo, si è assistito ad una frattura, una rottura nella trasmissione di valori e di caratteri antropologici. Alcune tipologie di individui, puri, semplici, drammaticamente umani, sono scomparsi. Persone come i nostri padri, i nostri nonni non compariranno più, non ritorneranno più sulla faccia della Terra! Anche la morte non è più accettata come esito naturale ma artificialmente si vuole essere ‘un po’ più eterni’ e poi non sappiamo più piangere i morti.

  1. Sign. Bellizzi riprendendo la poesia su Naim voi scrivete ‘Io vivo con persone, mai nate, che non hanno più forza di non morire’, … ‘Vivo un incubo in cui mi fanno l’occhiolino, mi regalano coca cola e raki nel fast food alla fine di questo universo monotono’, secondo voi è scomparso l’uomo di questo secolo capitalistico nel quale non ha resistito neanche l’albanese ‘primitivo’ che pascolava le pecore e con voce alta piangeva verso il cielo?

L’Oriente e i Balcani erano considerati da me una riserva di diversità, alterità, … anch’essi sono rimasti vittime di questo vortice di morte e di vuoto, con gli studi televisivi e i format uguali in tutto il mondo, il pubblico che applaude a comando, come un automa. Il futuro è scomparso dall’orizzonte, il passato è un mucchio di macerie che non è più utile per orientarci. Si vive in Occidente un eterno presente con manichini e visi senza espressione, persone avvolte nel consumismo che non sanno più amare, popoli in fuga dalla propria terra in mille diaspore che non hanno vita comunitaria… La poesia è un grido di allarme per ciò che sta avvenendo. Il Mediterraneo è un cimitero di morti, poveri che scappano dalla fame, dalle guerre, dalla siccità, i Balcani sono considerati solo un nuovo Mercato dove l’Occidente scarica le sue inutili merci per nuovi consumi, nuove mode attraverso le televisioni che parlano una neo lingua albanese-italiano-inglese. I Balcani sono piattaforme terrestri per collocare basi militari, armi in perenne attesa di un nemico. Adem Jashari e le genti pure delle montagne penso che possano essere considerati gli ultimi EROI di un’epopea, dopo i Kreshnike! Chi premerà un bottone da qualche parte del mondo, in una base militare o sopra un aereo, si potrà considerare un eroe?

  1. Nella poesia ‘Red shift’ (Spostamento verso il rosso) voi scrivete ‘ Terra dei miei padre mi hai insegnato l’arte della fuga, terra dei miei padri ora fuggiti via mi hai insegnato il valore della Parola data e dei miti’, ed anche in altra poesie affrontate il problema dell’emigrazione sia fra gli arbëreshë che gli albanesi nel complesso; è come ci fosse una maledizione che ci segue ora e da molti secoli per farci andare via dai nostri luoghi?

Non è una maledizione l’emigrazione. Sono i cicli economici, le violente trasformazioni industriali, tecnologiche, il ruolo della finanza globale, e la produzione di merci inutile, lo sfruttamento delle risorse naturali che sono beni della collettività e dell’umanità, nonchè delle generazioni future che sono state immesse nel ciclo distruttivo della produzione. Altre volte è l’imperialismo, le guerre di religione, …

  1. Nelle vostre poesie citate anche De Rada, quanto vi ha influenzato nella creatività e nella passione perchè lo spirito arbëresh vivesse e parlasse anche oggi al mondo, all’arte e alla letteratura?

De Rada era un visionario che in un paesino: Macchia Albanese, frazione di San Demetrio Corone, un puntino nel territorio, ripassava con la mente e la fantasia una geografia enorme che abbracciava gli albanesi dei Balcani e dialogava con grandi intellettuali europei. Dalla periferia povera, analfabeta, traeva ispirazione, linfa dal folklore e dalle rapsodie del popolo per tessere nuovi scenari letterari, e poi usava la didattica per forgiare nel collegio di S. Adriano saperi e menti critiche verso la società e le ingiustizie. Nel tempo, in quel collegio, vennero organizzati i moti rivoluzionari del 1848 per opera del Mauro, del Damis e del Rettore, il sacerdote Antonio Marchianò; il re Ferdinando II definì il collegio “Covo di Vipere e fucina del diavolo”.

  1. Sign. Bellizzi secondo voi chi sa meglio scrivere la storia di un popolo i poeti o gli storici?

La risposta l’ho data in una poesia … i poeti. Ma le madri che piangono i figli del popolo che si scannano per colpa dei Potenti usano gli stessi lamenti in lingue diverse, di ciò sono sicuro.

  1. Voi siete stato in Kosova anche un’altra volta dopo la Guerra, avete visitato le tombe della Famiglia Jashari, avete scritto per loro delle poesie, avete visitato Gjakova, Pejë ecc mi dite secondo il Vostro punto di vista come vedete la Kosova nell’Anniversario del XV anno della sua Indipendenza?

Sono stato onorato dell’invito dal comitato organizzatore dei festeggiamenti per il 14 anniversario della Liberazione, ho partecipato ai lavori assieme a 14 colleghi poeti. Ho incontrato vecchi amici, e ho conosciuto tanti nuovi. Prishtina, Prizren … in quei giorni erano realtà frizzanti, con una festa veramente popolare, e un attivismo femminile che lascia ben sperare. E’ una democrazia giovane, che tuttavia nell’organizzazione dell’apparato statale ha già conosciuto fenomeni degenerativi che non fanno onore ai morti sulle montagne. E poi ho scritto che la purezza del popolo kosovaro che prende fiato con due polmoni e ha due cuori nel petto nessuna banca la può comprare. … mi riferivo alla forte diaspora kosovara in Svizzera, Svezia, Germania, … il secondo polmone e il secondo cuore trapiantati in un’altra terra, come i fiori avranno un profumo diverso, io lo so! …. noi arbëreshë diciamo: chi è benvoluto da Dio mette radici anche senza terra.

  1. Nelle vostre poesie voi fate uso di parole ed espressioni molto belle dell’arbërishtja, vi confesso che alcune le ho sentite anche nel dialetto della provincia in cui vivo e che spesso non si dicono con la scusa che sono “parole vecchie, arcaiche, fuori moda’, ecc. Qual è il segreto per il quale gli arbëreshë dopo cinque e più secoli parlano la lingua materna diversamente da quanto accade con gli arnauti (albanesi di Turchia) i quali quasi per nulla, a stento, la parlano e non si dichiarano etnicamente tali?

Premetto che io non sono un linguista, un cattedratico, ma sono convinto che i meccanismi della trasmissione orale, il sapere attraverso la voce e tutti i sensi del corpo siano il segreto che la vita comunitaria ha inventato per esprimere la propria cultura ‘analfabeta’. Per i bambini arbëreshë lo spazio vitale era la ‘gjitonia’, le cui frontiere erano la voce della madre che lo richiamava e il profumo della sua cucina.
… e naturalmente un’organizzazione sociale con tutte le figure educative: dai genitori, ai nonni, ai parenti che coralmente organizzavano gli eventi sociali, le feste, la scansione del tempo, gli scambi di collaborazione dei lavori in agricoltura in tutte le stagioni e del tempo libero. Insomma, una forma modernissima Banca del Tempo delle comunità che si scambiavano rapport, saperi e solidarietà.

  1. Nella vostra poesia “Le donne del Pazar di Skopje’ quasi con ironia scrivete sulla nostra storia antica che i nostri vicini macedoni si sforzano di adottare, in modo ridicolo, o voi pensate che a noi albanesi è negata la Gloria e la vetustà?

No sign. Mevi, non ridicolizzo la Storia della Macedonia, nella poesia metto a paragone come ci si rapporta con la morte. Da una parte ci sono lo scultore famoso Lisippo e gli impiegati dell’Impero che preparano il funerale del 33enne Alessandro il Grande con 64 muli, bara d’oro, corone, ecc (cfr. il racconto di Diodoro Sikeliotes) e dall’altra le madri dei suoi soldati morti in battaglia che piangono come sanno fare le madri, … e che per loro Alessandro, ora morto, … era considerato un figlio e non più un imperatore, mentre per lo scultore continuava ad essere un potente; e le madri alla fine della poesia si chiedono cosa sia rimasto della storia, della filosofia, della politica, alla fin fine … e poi esse si preoccupano di chi dovrà dire a Filippo II, ad Alessandro III di Macedonia, a Giulio Cesare, a tutti gli imperatori Illiri … che della loro grandezza, degli Imperi, … non è rimasto niente … Le madri dicono che solo un’altra donna avrà il coraggio di dire ai potenti la semplice verità … Anjeze Gonxhe Bojaxhiu (Madre Teresa di Calcutta).

  1. Come considerate sign. Bellizzi oggi gli arbëreshë, pensano ancora al ritorno nella Bella Morea che con tanta nostalgia e dolore hanno cantato per cinque secoli, come sono i vostri legami con i due stati albanesi, ritenete che essi dovrebbero fare di più verso le comunità degli arbëreshë, degli arnauti, degli arvaniti e oggi con gli albanesi in genere ovunque si trovino, per tenerli legati alle loro radici?

Al di là del mito e del romanticismo, gli arbëreshë non sanno collocare la posizione geografica di questa terra, della Bella Morea, è oltre il mare, sì. Per me è un profumo, una terra da cercare ovunque ci sono popoli in cammino e che soffrono, bisogna andare oltre le identità chiuse, la Bella Morea è una scommessa, una lotta che prende ogni volta strade diverse, usa dialetti e lingue nuove, non è terra ferma, sono tante piattaforme galleggianti. Penso che gli artisti in genere, i poeti, gli attori, dovrebbero avere più contatti fra di loro e i popoli scambiarsi visite, vivere momenti comunitari gioiosi, feste, cibi, innamorarsi, … hahaha. Ma come tutti i poeti visionari io immagino per il futuro una maggiore compatezza dei Balcani con l’Europa, con i paesi del bacino del Mediterraneo e minore atlantismo.

  1. Ringraziandovi per aver accettato di fare questa intervista per la gazzetta e il portale Dardania.press mi dite se avete qualche richiesta da fare agli albanesi, sign. Bellizzi?

Amiamo, amiamo follemente,
amiamo quanto più possiamo
e quando ci diranno che è peccato
amiamo il nostro peccato
perchè saremo innocenti … disse W. Shakespeare.

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