Da Carlo Alberto Rossi/Exit.al
Da alcuni anni in Albania si sta diffondendo, pare con estensioni ogni anno piu’ grandi, la coltivazione della marjuana. Questo e’ stato fin dall’inizio degli anni 90 una delle maggiori preoccupazioni espresse dagli analisti dei servizi italiani, che fin d’allora temevano che il paese potesse scivolare sotto il controllo delle organizzazioni criminali piu’ potenti. Gia’ in quegli anni il mercato nordeuropeo della droga era di fatto in mano a gruppi di kosovari, che in Italia non si espandevano per via della presenza di “forti padroni di casa”. Ma la presenza capillare dell’emigrazione albanese e il suo reclutamento nel sistema dello spaccio hanno alterato le cose e oggi in quasi tutti i canali di approvvigionamento intercettati dalla polizia italiana vedono indagati e molto spesso arrestati un gran numero di cittadini di origine albanese e solo pochi italiani originari.
Da quasi 20 anni Il Ministero degli Interni italiano mantiene una sua missione in Albania, sia con scopi addestrativi della Polizia locale, che con scopi di intelligence e collaborazione anticrimine, ma i risultati non sono mai stati entusiasmanti, anzi spesso hanno creato polemiche sulle due sponde dell’Adriatico.
I vari governi albanesi hanno sempre percepito questa missione italiana di Polizia come un tentativo italiano di minare la sovranita’ albanese, e soprattutto come una minaccia reale per una serie di traffici “consentiti” dal governo albanese a puro scopo di arricchimento, come fu nei tempi il contrabbando di sigarette, poi seguito dagli scafisti che trasportavano prima albanesi e poi cinesi arrivati con il visto di transito, e infine da alcuni anni la marjuana prodotta in Albania.
Nel contrasto a tutti questi traffici gli unici risultati positivi sono stati ottenuti dalla combinazione tra le rilevazioni dell’intelligence e la decisa azione politica italiana, ovviamente preparata dalla diplomazia.
Un esempio su tutti fu il repentino intervento dell’allora primo ministro Fatos Nano che, con la ormai famosa “Operazione Puna” della polizia albanese, fece sapere a tutti con un grande show mediatico che il governo albanese non tollerava piu’ il fenomeno degli scafisti, ma perche’ raggiungesse questo convincimento fu necessario che il Primo Ministro Italiano Berlusconi, di concerto con i servizi, mandasse segnali molto chiari. E il traffico degli scafisti, come per incanto, si interruppe.
Negli anni successivi, nell’epoca del governo Berisha, l’attenzione delle missioni di polizia italiane si concentro’ su due direttrici: la cattura di centinaia di latitanti gia’ condannati in via definitiva in Italia e il contrasto alla produzione e al trasporto di sostanze stupefacenti.
La cattura dei latitanti albanesi, perseguita per anni con grande dispendio di forze, e’ risultata una strategia nei fatti controproducente, con l’arresto di pochissime persone poi non estradate dalle volutamente confuse procedure albanesi, e con il curioso rifacimento di moltissimi processi italiani che ha portato all’assoluzione di molti che pure erano gia’ condannati in via definitiva. Questi fatti, ben conosciuti dai vertici politici ed amministrativi albanesi (che infatti ne sono stati protagonisti), hanno consentito sia nella criminalita’ che nella politica albanese il radicamento dell’idea di una sostanziale (e ridicola) impotenza dello Stato italiano, oltre ad un atteggiamento di costante irrisione sia della magistratura italiana che delle varie componenti dell’ordine pubblico italiano che operavano sul territorio albanese. Il messaggio che ne e’ derivato e che si e’ diffuso nelle conversazioni albanesi e’ che anche le istituzioni italiane, di fronte alla criminalita’ albanese, sono perfettamente corrompibili, sia per rifare un processo, sia per essere cancellati dalla lista dei ricercati.
L’azione di contrasto alla produzione di stupefacenti e’ invece cominciata nella sua componente pubblica con grottesche affermazioni fatte in conferenza stampa dagli organi di Polizia Italiani sulla rilevanza economica delle produzioni di Lazarat, con stime assolutamente sforzate che attribuivano a quel piccolo villaggio, effettivamente dedito in massa alla coltivazione della cannabis, un GDP pari a circa il 40% di tutto il GDP albanese. In quel periodo (2004) un elicottero della Polizia Italiana in azione di pattugliamento congiunto su Lazarat veniva bersagliato da colpi di Kalashnikov, creando grande sensazione, con relativo ritorno stampa anche in Italia, anche per le eccessive valutazioni economiche del fenomeno, ma nessuna reazione di fatto del governo Nano.
Nel 2005 il Partito Socialista perde le elezioni e arriva Berisha che rimarra’ per due mandati, durante i quali l’azione italiana si concentra sulla cattura dei latitanti (di cui abbiamo gia’ detto) e sulla firma di nuovi accordi sulle missioni di Polizia, che Berisha non firma, ma nemmeno contrasta, lasciando le missioni italiane in un limbo diplomatico, ma concede con qualche inutile trofeo come la moratoria sugli scafi o altre azioni dimostrative di questo tipo, con decine di ufficiali italiani in missione alla ricerca di latitanti, presto consigliati da qualche amico e collega locale di lasciar perdere e dedicarsi invece alle donne o al buon pesce, e di godersi la vacanza.
Ma sul finire del secondo mandato il problema droga, ben rappresentato dal caso Lazarat, riemerge prepotente, anche sulla stampa italiana, costringendo la Polizia albanese a qualche azione dimostrativa e poco piu’, ma almeno viene concluso l’accordo per i sorvoli da fare con aerei italiani specialmente attrezzati per individuare le piantagioni di cannabis, e i sorvoli iniziano nel giugno 2012 costringendo la Polizia albanese ad effettuare una serie di sequestri su tutto il territorio.
Con la vittoria elettorale socialista del 2013 il governo italiano cerca di portare i nuovi interlocutori albanesi al rispetto dei vecchi accordi verbali relativamente al contrasto delle varie attivita’ criminali, ma la volonta’ del governo italiano viene ben presto smentita nei fatti dall’operato dei suoi diplomatici in Albania, che sembrano appoggiare incondizionatamente il governo albanese, ed in particolare il Ministro degli Interni Tahiri, anche in situazioni al limite dell’incredibile. Il Partito Democratico dall’opposizione lancia continui allarmi sui trasporti di droga a mezzo di piccoli aerei e sulle coltivazioni di marjuana sempre piu’ diffuse, e quando a inizio maggio 2014 un piccolo aereo italiano si schianta in atterraggio sulla spiaggia di Divjaka la polemica divampa, e la reazione della Polizia albanese e’ praticamente solo quella di arrestare l’ufficiale di collegamento della Polizia albanese addetto ai rapporti con i colleghi della Guardia di Finanza, impegnati in azione di contrato alla droga sul territorio albanese.
L’accusa, di fatto, e’ quella di aver passato informazioni al nemico, ma il nemico in questo caso sarebbe un ufficiale superiore della Guardia di Finanza italiana, non semplici narcotrafficanti.
Il governo albanese corre ai ripari e dopo solo poche settimane organizza una spettacolare azione militare sul villaggio di Lazarat e, dopo un finto combattimento, le forze dell’ordine albanesi entrano nel paese sequestrando oltre 100.000 piante di cannabis, decine di armi lunghe e corte, arrestano alcune persone e soprattutto celebrano il tutto in un tripudio di bandiere e di comunicati stampa come sa avessero vinto una guerra mondiale. L’anno successivo i sorvoli continuano e il governo albanese organizza una consistente azione di contrasto alla coltivazione, la quale pero’ sembra estendersi sempre di piu’ e non piu’ limitata solo al sud del paese, infatti e’ ormai praticata in tutto il territorio. Le forze dell’ordine italiane continuano a sequestrare carichi di droga provenienti dall’Albania, sia su mezzi stradali scesi dai traghetti, che su gommoni, che su aerei ultraleggeri, evidenziando che il contrasto albanese e’ ben lungi dal contenere il fenomeno. A meta’ 2015 Dritan Zagani, l’ufficiale di collegamento arrestato nel 2014, ancora agli arresti in attesa di processo (ma solo per violata consegna, non per narcotraffico), scappa in Svizzera con la famiglia, ottiene asilo politico dalle autorita’ elvetiche e comincia a rilasciare pesanti dichiarazioni alla stampa (supportate da prove) sui coinvolgimenti del Ministro degli Interni Tahiri con alcuni narcotrafficanti. L’opposizione insorge e il primo ministro Rama organizza in fretta una conferenza di migliaia di poliziotti albanesi per celebrare le vittorie contro il traffico della droga di fronte agli ambasciatori italiano e americano e, per discreditare le dichiarazioni del “suo” ufficiale rifugiato all’estero, non esita a definire “corrotto e coinvolto con i narcotrafficanti” l’ufficiale italiano della Guardia di Finanza che collaborava con Zagani. La stessa accusa viene ripetuta il giorno seguente nella trasmissione televisiva piu’ seguita dell’Albania.
L’Ambasciatore italiano, Massimo Gaiani, assiste imperterrito e muto al linciaggio pubblico di un servitore dello stato italiano, non un commento, nemmeno una reazione. La spiegazione (informale) fornita dai fiancheggiatori dell’Ambasciatore e’ sempre la stessa: il governo italiano non vuole intervenire nelle vicende interne albanesi, e il governo in carica e’ sempre il migliore possibile per gli interessi italiani.
Ma il ruolo delle istituzioni italiane in Albania in questa vicenda non e’ solo passivo, infatti nel corso delle indagini su Zagani e sul suo collega della Finanza, avrebbe avuto un ruolo anche il colonnello Anna Poggi, comandante della missione di Polizia in Albania, che avrebbe fornito al Ministero degli Interni albanese informazioni ufficiali fortemente negative sul ruolo dell’ufficiale della Finanza, asseverando cosi’ la tesi governativa che entrambi fossero in combutta con i narcotrafficanti albanesi. Questo fatto sarebbe stato acquisito documentalmente da Zagani, curiosamente nel suo fascicolo processuale, ma la Poggi, avvalendosi delle sue relazioni con un quotidiano italo albanese molto filogovernativo, rientrata appositamente e privatamente in Albania, ha successivamente provveduto a far pubblicare all’interno di una “commovente” intervista un’altra versione della stessa lettera (con la stessa data e lo stesso numero di protocollo), in cui dichiarava invece che l’ufficiale della Finanza era ufficialmente in missione antidroga in Albania ed era un soggetto di assoluta fiducia.
La figura di Anna Poggi, in missione in Albania dal 2008 dopo una bruttissima vicenda legata alle torture durante il G8 a Genova per cui e’ stata condannata e poi prescritta, talmente coinvolta nelle vicende albanesi al servizio del governo di turno da poter richiedere (e ottenere) la cittadinanza albanese allo scopo di adottare due bambine albanesi pur non avendone i requisiti richiesti dalla legislazione italiana, e’ un altro dato che non aiuta il prestigio e la credibilita’ delle istituzioni italiane in Albania in generale, e della missione di Polizia in particolare.
La storia dei rapporti di Polizia tra albanesi e italiani ha un’altra puntata “forte” con la recente polemica sulle intercettazioni che sarebbero state effettuate con una attrezzatura “IMSI catcher” fornita “informalmente” dalla missione di Polizia italiana, in grave sfregio della normativa locale. Anche in questa storia ricompare l’ufficio di Anna Poggi e soprattutto il suo sostituto, ma il loro ruolo e’ assolutamente confuso dalle cortine diplomatiche italiane ed albanesi, che provvedono a insabbiare il tutto con dichiarazioni evidentemente smentite dai fatti e dalla logica, ma ancora una volta la ragion di stato porta la diplomazia italiana a proteggere il governo albanese da un attacco dell’opposizione non senza presupposti. In cambio l’Italia incassa un commento pro italiano di Rama che usa toni mai raggiunti prima, e una informale e indiretta conferma della validita’ dei vecchi accordi sulla missione di Polizia.
In questi giorni, grazie anche alla congiuntura stagionale della prossima raccolta della cannabis, i media albanesi sono pieni di notizie di sequestri di intere piantagioni e del rogo di molte migliaia di piante di cannabis ad ogni operazione, ma raramente si ha notizia di arresti, e questo rinvigorisce la polemica dell’opposizione che sostiene che in tutto il paese la coltivazione della cannabis sia organizzata e protetta direttamente dagli uomini del Ministero degli Interni, il quale si difende dichiarando che la lotta alla coltivazione sta portando risultati mai raggiunti prima, con piu’ di 1,2 milioni di piante sequestrate e distrutte.
In effetti gli annunci di sequestri quotidiani di piantagioni sono diventati cosi’ frequenti e con quantitativi sempre crescenti a cui non fa riscontro un equivalente numero di arresti di coltivatori e guardie da legittimare il dubbio che il fenomeno si stia espandendo oltre ogni limite grazie alla connivenza, organizzata o meno, della Polizia albanese,
Il fenomeno sarebbe evidentemente anche sospinto dalla necessita’ di molti contadini di compensare con coltivazioni piu’ redditizie il perdurante calo delle rimesse degli emigranti, che restano la principale fonte di sostegno delle popolazioni rurali albanesi.
Inoltre l’origine rurale della maggior parte dei cittadini albanesi consente loro di raccogliere da parenti ed amici notizie e testimonianze su persone da loro conosciute che sarebbero dedite alla coltivazione della cannabis in praticamente ogni distretto dell’Albania, ma ovviamente questo dato, alimentato piu’ che altro da “si dice”, “si sa” e “tutti sanno”, e’ talmente informale da creare una grande psicosi piu’ che una vera informazione.
Il vero problema rimane quindi il ruolo del governo, accusato pubblicamente dall’opposizione di gestire direttamente il traffico di droga, e parte di queste accuse e’ anche quella di non voler rivelare (nemmeno alla Commissione Sicurezza del Parlamento) quale sia stato il vero esito dei sorvoli antidroga gestiti dagli aerei della Polizia italiana, per capire cioe’ se l’aumento dei sequestri sia frutto del maggiore impegno e maggior efficienza delle forze dell’ordine, oppure, come sostiene l’opposizione, sia semplicemente il frutto di un incremento enorme della produzione. Questo dato, espresso in ettari coltivati e individuati, negli anni passati era stato rivelato alla stampa dallo stesso Ministero degli Interni albanese, e il fatto che il Ministero non dia risposta e informazione nemmeno al Parlamento finisce per avallare ogni genere di sospetto.
Nei giorni scorsi il vicepresidente della Commissione Sicurezza del Parlamento ha dichiarato di aver scritto all’Ambasciatore d’Italia in Albania Cutillo per richiedere questa informazione a beneficio della commissione stessa.
Ma anche questa volta il risultato sara’ assai scarso, in nome della ragion di stato e del rapporto privilegiato tra governi e quindi con il governo di turno, la parte italiana preferira’ di non farsi coinvolgere dalle polemiche interne albanesi, mantenendo un rigoroso silenzio diplomatico.
E questo silenzio andra’ ad aggiungersi agli altri del passato recente, lasciando in gran parte del popolo albanese la crescente sensazione che anche l’Italia, come l’Albania, sia un paese in realta’ dominato da intrecci di interessi inconfessabili invece che dai principi costituzionali tanto declamati.
E se il governo italiano non appare diverso da quello dell’Albania, e se non pone al governo albanese delle questioni di principio invece che degli scambi di interessi poco chiari al grande pubblico, allora agli occhi del pubblico albanese il governo italiano non merita maggiore considerazione di quella concessa allo stesso governo albanese, e la maggioranza degli albanesi continuera’ a guardare a Washington e a Berlino sperando che almeno da li’ arrivi il segnale, o meglio l’ordine tassativo, per un cambiamento sempre piu’ necessario./Exit.al