Da Corriere della Sera
L’invio dei militari, deciso durante il Vertice di Varsavia, era già noto. Ma dopo una intervista del segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg Mosca attacca: «Politica distruttiva». Il centrodestra: Renzi dica no. Grillo: «Vogliono trascinarci in guerra»
L’Italia invierà nei prossimi mesi un contingente di militari in Lettonia, ai confini con la Russia, nell’ambito di una missione Nato. La decisione è stata presa durante il Vertice di Varsavia dello scorso luglio, come aveva anticipato il Corriere. Niente che non fosse già noto, dunque. Ma sono bastate le parole di Jens Stoltenberg, segretario generale dell’Alleanza atlantica, che è ritornato sullo schieramento di quattro «battle groups» in Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia, per scatenare la reazione di Mosca e per far esplodere, in Italia, le polemiche delle forze politiche di opposizione .
I ministri Gentiloni e Pinotti: «Decisione presa nel Vertice di Varsavia»
L’Italia invierà «nel 2017 una compagnia di 140 uomini in Lettonia per partecipare alla forza Nato a guida canadese lì dispiegata. L’Italia ha sempre dato il suo contributo all’impostazione di rafforzamento dei nostri assetti difensivi nei Paesi settentrionali e orientali dell’alleanza atlantica» ha spiegato il ministro degli Esteri Gentiloni. Un impegno assunto «al vertice di Varsavia , nel corso del quale l’Italia – ha sottolineato Roberta Pinotti, ministra alla Difesa -, come altre nazioni, ha dato la disponibilità di fornire una compagnia con numeri non molto consistenti all’interno di una organizzazione che prevede il coinvolgimento di moltissime nazioni della Nato». «Non è una politica di aggressione nei confronti della Russia, ma di rassicurazione e difesa dei nostri confini come Alleanza», ha poi commentato il ministro Gentiloni, «questa decisione non influisce minimamente nella linea di dialogo che l’Italia ha sempre proposto e condiviso con la Nato e che può e deve andare in parallelo con le rassicurazioni ai nostri alleati che si sentono a rischio».
La crisi Usa – Russia
Sembra passato un secolo, eppure è storia di soli sei anni fa, del 2010: in aprile a Praga la firma del nuovo trattato START per la riduzione delle armi nucleari. Incontri calorosi, attestati di fiducia reciproca tra Barack Obama e l’allora presidente russo Dmitri Medvedev. Nonostante crisi come quella del conflitto russo-georgiano del 2008, il «reset» delle relazioni Washington-Mosca va avanti in un clima idilliaco: intesa politica tra i due Paesi e una evidente simpatia reciproca tra i due leader. Cambierà tutto, poco dopo, nel marzo 2012, col ritorno di Vladimir Putin al Cremlino. Nostalgico del perduto potere imperiale dell’Urss, convinto che l’allargamento di Nato e Ue nell’Est europeo rientrassero in un disegno di assedio alla Russia, furioso perché gli Usa avevano tifato per Medvedev prima che questi decidesse di tornare nella scia del leader più potente, Putin si è subito messo in rotta di collisione con l’Occidente.
I Missili ed Ukraina
Il primo scontro sul progetto della Nato di schierare batterie di missili antimissile in Polonia. Putin comincia a minacciare ritorsioni sul fronte dei trattati nucleari, ma all’inizio si tratta solo di frizioni che diventano conflitto aperto nel 2014 con l’annessione russa della Crimea e l’appoggio di Mosca ai ribelli filorussi della regione ucraina del Donbass. L’invasione e l’annessione dei territori di un altro Stato da parte di una grande potenza è uno choc per tutta la comunità internazionale: vengono lacerati i più elementari principi di legalità e questo rischia di diventare un precedente pericolosissimo per l’ordine mondiale: inevitabile la condanna della Russia che, pure, al Consiglio di Sicurezza Onu dispone del diritto di veto, e l’adozione di pesanti sanzioni economiche nei suoi confronti.Nonostante le condanne e l’embargo che rischia di mettere economicamente in ginocchio un Paese già colpito pesantemente dal crollo del prezzo del petrolio, Putin è andato per la sua strada mandando ingenti forze militari russe ad appoggiare i ribelli in Ucraina. L’improvviso ritorno a un clima di guerra fredda ha messo in allarme i Paesi baltici e la stessa Polonia, spingendo la Nato a varare una forza di intervento rapido per rassicurare questi alleati. Oggi anche questo passo viene rinfacciato dalla diplomazia russa come un atto aggressivo, mentre Estonia, Lettonia e Lituania hanno vissuto quel gesto di rassicurazione della Nato come qualcosa che rassomiglia a un segnale simbolico.
La crisi Siriana
Ma la crisi che, più di ogni altra, rischia di far deragliare i rapporti tra Mosca e Washington, è quella siriana sulla quale, a più riprese, i due Paesi hanno negoziato e sulla quale a un certo punto erano parsi in grado di trovare aree dii interesse comune. Qui Barack Obama ha pagato il peccato originale di aver promesso una rappresaglia militare contro il regime di Assad se questo avesse fatto ricorso alle armi chimiche, senza poi dar seguito al suo impegno. Allora Putin, alleato del regime siriano, si inserì abilmente prima inviando un duro monito al presidente americano, poi diventando il regista di una soluzione diplomatica basata sullo smantellamento dell’arsenale chimico siriano. Poi, nel 2015, alla vigilia dell’assemblea dell’Onu, l’avvio della missione militare russa in Siria a fianco di Assad contro i ribelli. In teoria Mosca avrebbe dovuto collaborare con l’Occidente nella lotta contro l’Isis; in pratica ha concentrato gli attacchi contro gli avversari del dittatore di Damasco, molti dei quali sono filo-occidentali.Ma la crisi che, più di ogni altra, rischia di far deragliare i rapporti tra Mosca e Washington, è quella siriana sulla quale, a più riprese, i due Paesi hanno negoziato e sulla quale a un certo punto erano parsi in grado di trovare aree dii interesse comune. Qui Barack Obama ha pagato il peccato originale di aver promesso una rappresaglia militare contro il regime di Assad se questo avesse fatto ricorso alle armi chimiche, senza poi dar seguito al suo impegno. Allora Putin, alleato del regime siriano, si inserì abilmente prima inviando un duro monito al presidente americano, poi diventando il regista di una soluzione diplomatica basata sullo smantellamento dell’arsenale chimico siriano. Poi, nel 2015, alla vigilia dell’assemblea dell’Onu, l’avvio della missione militare russa in Siria a fianco di Assad contro i ribelli. In teoria Mosca avrebbe dovuto collaborare con l’Occidente nella lotta contro l’Isis; in pratica ha concentrato gli attacchi contro gli avversari del dittatore di Damasco, molti dei quali sono filo-occidentali.
Negoziati e massacri
Da più di un anno nello scenario mediorientale continua la danza degli infruttuosi negoziati russo-americani mentre nel Paese martoriati continuano i massacri e la fuga dei profughi. Intanto continua a crescere l’influenza della Russia nell’area. Forse consapevoli di aver tirato un po’ troppo la corda vent’anni fa nell’Est europeo, gli Usa hanno sempre riconosciuto il diritto di Mosca di difendere i suoi interessi in Siria, Paese da decenni sotto la sua influenza. Ma i russi, che hanno a loro volta accusato gli americani di appoggiare strumentalmente i terroristi di Al Nusra, fidi Al Qaeda, hanno costruito una presenza militare imponente e permanente nel Paese mediorientale con le basi aeree e, ora, anche con quella navale di Tartus. Sul piano diplomatico sono riusciti con audacia a saldare un’alleanza col regime sciita di Teheran stringendo, al tempo stesso, grazie alle tensioni tra Ankara e Washington, un patto con la Turchia di Erdogan: un Paese col quale solo pochi mesi fa spiravano venti di guerra. Il resto è storia di questi giorni: Obama che accusa hacker russi di tentare di interferire nelle elezioni americane, con la minaccia Usa di rappresaglie cibernetiche e Putin che nega ogni responsabilità. I missili nucleari russi dislocati nell’enclave baltica di Kaliningrad, puntati contro l’Europa. E poi Mosca che sospende l’applicazione del trattato per lo smaltimento del plutonio e altri accordi di cooperazione nucleare fino a quando le sanzioni economiche contro la Russia non verranno cancellate. Mai vista una situazione così pericolosa avverte il vecchio Gorbaciov.Da più di un anno nello scenario mediorientale continua la danza degli infruttuosi negoziati russo-americani mentre nel Paese martoriati continuano i massacri e la fuga dei profughi. Intanto continua a crescere l’influenza della Russia nell’area. Forse consapevoli di aver tirato un po’ troppo la corda vent’anni fa nell’Est europeo, gli Usa hanno sempre riconosciuto il diritto di Mosca di difendere i suoi interessi in Siria, Paese da decenni sotto la sua influenza. Ma i russi, che hanno a loro volta accusato gli americani di appoggiare strumentalmente i terroristi di Al Nusra, fidi Al Qaeda, hanno costruito una presenza militare imponente e permanente nel Paese mediorientale con le basi aeree e, ora, anche con quella navale di Tartus. Sul piano diplomatico sono riusciti con audacia a saldare un’alleanza col regime sciita di Teheran stringendo, al tempo stesso, grazie alle tensioni tra Ankara e Washington, un patto con la Turchia di Erdogan: un Paese col quale solo pochi mesi fa spiravano venti di guerra. Il resto è storia di questi giorni: Obama che accusa hacker russi di tentare di interferire nelle elezioni americane, con la minaccia Usa di rappresaglie cibernetiche e Putin che nega ogni responsabilità. I missili nucleari russi dislocati nell’enclave baltica di Kaliningrad, puntati contro l’Europa. E poi Mosca che sospende l’applicazione del trattato per lo smaltimento del plutonio e altri accordi di cooperazione nucleare fino a quando le sanzioni economiche contro la Russia non verranno cancellate. Mai vista una situazione così pericolosa avverte il vecchio Gorbaciov.
Proprio nella giornata di giovedì, alla cerimonia per lo spostamento a Roma del Nato Defense College, Mattarella aveva parlato dei rapporti tra l’Alleanza e la Russia. «Le crisi a cui assistiamo a Est e a Sud dell’Alleanza sono parte della più ampia precarietà del sistema di sicurezza internazionale – ha detto il Capo dello Stato – e l’Italia è consapevole e convinta sostenitrice della necessità di responsabilità condivise nell’affrontarle».