Il tema dell’accesso alle informazioni pubbliche non è solo legato alla reticenza delle istituzioni, ma spesso anche al loro malfunzionamento. Il caso albanese!
(Pubblicato originariamente su Shqiptarja.com)
Il cittadino B.C., che ritiene essere stato oggetto di calunnia da parte del cittadino O.J., si è trovato di fronte ad un problema non irrilevante presso la Corte di Tirana. Il giudice ha infatti richiesto che l’attore della causa, B.C., presentasse al collegio giudicante un indirizzo di residenza certificato della persona citata a giudizio, cioè O.J.
L’indirizzo di O.J. presentato in un primo momento dall’avvocato di B.C. non corrispondeva a quello effettivo del convenuto – almeno secondo il corriere della Corte, il quale ha invano cercato di reperire il convenuto per notificargli l’atto di citazione e l’invito a comparire di fronte alla Corte.
Dopo questo fatto è iniziato il calvario di B.C. presso la sede del comune nel tentativo di reperire egli stesso l’indirizzo del convenuto. Ma una risposta alla sua richiesta è stata rinviata di mese in mese. La zona indiziata come possibile area di residenza del convenuto è infatti una zona informale piena di costruzioni illegali. B.C si è poi recato presso il ministero degli Interni ma anche qui non ha ottenuto risposta.
Informalità e diritti lesi
Una possibile modalità per risolvere il problema potrebbe essere l’affissione di un avviso sulla porta d’entrata dove ha sede la Corte, un’altra affissione presso la sede amministrativa del comune dove – presumibilmente – abita il convenuto e un avviso sul portale online della Corte. Al 99%, però, il convenuto non verrà a conoscenza di essere oggetto di un atto di citazione a giudizio, rischiando di essere processato in contumacia. Può anche accadere che il giudice sospenda indefinitamente il processo sino alla notifica dell’atto di citazione al convenuto.
Nel caso si procedesse invece con il processo un cittadino della Repubblica d’Albania verrebbe privato del proprio diritto costituzionale di essere informato dell’avvio di un processo nei propri confronti, diritto riconosciutogli non solo dalla Costituzione albanese ma anche dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, della quale l’Albania è una dei firmatari.
Il problema non è personale e nemmeno troppo isolato. Negli ultimi decenni lo stato albanese ha permesso a centinaia di migliaia di famiglie di spostarsi dai loro luoghi di residenza, in maggior parte povere zone rurali, in direzione delle periferie delle grandi città, fatto che ha contribuito ad incrementare disoccupazione e criminalità. Sono nate aree totalmente informali, dove le vie non hanno nomi e numeri civici e chiunque vi abiti può dichiarare il falso riguardo alle sue generalità anagrafiche nel caso sia ricercato dall’amministrazione fiscale riguardo a tasse evase o dalla polizia riguardo a problemi inerenti l’ordine pubblico.
Lo stato albanese ha preso coscienza del problema delle aree d’informalità, ma è lontano dalla sua soluzione definitiva: l’urbanizzazione e la piena legalizzazione di queste aree. Il problema qui citato certifica l’esistenza delle aree informali. Esso riguarda la sede comunale numero 2 della capitale albanese Tirana. Nel nostro caso citato ad esempio lo Stato non è a conoscenza della residenza di un suo cittadino. Fatto nocivo per lo stato e la comunità dei cittadini, mettendolo in collegamento al favoreggiamento dell’evasione fiscale o del fatto che molti ricercati e pregiudicati si nascondono all’interno di queste aree informali.
Naturalmente, anche per un giornalista diventa un rebus il ritrovamento di qualunque cittadino che possa diventare oggetto di un’inchiesta o reportage se egli è dato per residente in queste aree grigie.
Negli ultimi tempi è stata avviata un’iniziativa per definire gli indirizzi civici, appaltata all’ente che distribuisce l’energia elettrica. L’iniziativa è partita in ritardo sui tempi previsti. Si rimane in attesa dei suoi risultati.
Media on-line come i chioschi
Questo è solo uno degli aspetti dei danni prodotti dall’informalità in Albania. L’atto di citazione che noi abbiamo menzionato ha a che fare con calunnie che cittadini non iscritti all’anagrafe fanno, senza subirne nessuna conseguenza giudiziaria, su portali online fantasma. Questi portali sono attivi da tempo ma non sono registrati, evadono le tasse e per lo stato non esistono. Alla mancanza degli indirizzi di residenza personale dei cittadini si aggiunge la mancanza di informazioni sugli indirizzi di questi soggetti mediatici.
Questo fenomeno è più recente di quello delle aree informali abitative ma si sta velocemente diffondendo. Negli ultimi anni in Albania i media online si sono moltiplicati alla stessa velocità della moltiplicazione dei chioschi nel cuore della capitale alcuni anni fa. Allo stesso modo nel quale i chioschi hanno rappresentato per anni la forma anarchica della nuova economia albanese di mercato, oggi i media pirata online rappresentano la forma anarchica di una nuova libertà d’espressione.
All’interno del mercato mediatico albanese non sono pochi i portali non legalizzati che fanno concorrenza iniqua a quelli legalizzati, evadono le tasse e non hanno come obiettivo un’informazione onesta e imparziale. Si tratta di un mercato caotico e disinformativo.
Si ha a che fare con una problematica inerente alla sfera di competenze dello stato albanese. Merita di esser inclusa all’interno delle riforme messe in atto dallo stato e tendenti alla applicazione effettiva della legge all’interno dell’Albania, riforme che al momento vedono come prioritari il sistema di giustizia e la lotta alla criminalità nel paese.
Tradotto dall’albanese in italiano da Gjergji Kajana per Osservatorio sui Balcani
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto.