“ Di chi sei figlio / figlia … ?” , in albanese: “Biri/ bija i, e kujt je…?” è la classica domanda che di solito si è stati abituati a sentirci porre fin da piccoli.
Alimentata forse, a parte l’intenzione diretta di collegare delle conoscenze vecchie a delle nuove, anche al fatto che nella nostra città Tirana, ai tempi della nostra infanzia – e mi riferisco agli anni ’70, ’80 – la popolazione risultava ancora omogenea e non aveva subito il cambiamento notevole dei flussi migratori interni.
Per cui ci si conosceva un po’ tutti diciamo. Anzi, per trasferirsi da una zona del paese all’altra e per di più venire a stabilirsi nella capitale, a parte la forte motivazione prettamente professionale o per lo studio, occorreva avere tutte le carte a posto inerenti alla propria biografia ‘pulita’, per non dire addirittura ‘splendente’, accompagnati possibilmente dalla tessera dell’unico e grande Partito.
Ma questa è una domanda che, alla fin fine si ripete anche negli anni, quando ci presentiamo ad una persona fino a quel momento sconosciuta, quando l’occasione consente l’estensione di una tale confidenza. È una domanda che noi nella nostra terra, l’ Albania ci eravamo abituati a sentire di frequente nella presentazione di nuove conoscenze, ma che penso sia una domanda talmente senza bandiere e confini, senza una pronuncia poi così diversa, anche se ripetuta in tutte le lingue del mondo. Forse proprio perché collegata ad un argomento così comune a tutti, ad uno status padre-figlio che oltrepassa ogni diversità etnica.
Siamo degli esseri, dei singoli individui con una formazione del tutto individuale, eppure personalmente sono convinta che il gene è determinante nella nostra formazione di carattere, di convinzioni, modi, atteggiamenti, nella nostra educazione, nel nostro rapportarsi e relazionarsi con gli altri.
L’importanza della famiglia è un fattore fondamentale nella nostra crescita, di cui asse principale sono la figura materna e quella paterna.
Sulla figura unica e indiscussa della madre avrei da scrivere pagine e pagine intere, perché per lei, le parole partono da sole dal cuore. Esse non mi chiedono nessun “permesso” e sempre da sole, di propria iniziativa si appoggiano sul foglio di carta, per dare la possibilità a chi mi conosce e perché no, anche a chi di me fino ad oggi non ne aveva sentito parlare, di leggermi e confrontare ciò che anche lui prova sulla propria madre, essendo convinta che l’affetto di un figlio per la propria madre è sacro e tutti noi, troveremmo tanti pareri simili, per non dire uguali inerenti a questo rapporto.
Dunque, questa volta mi vorrei soffermare per qualche istante sulla figura del padre.
I nostri cari papà!
Per persone della nostra generazione, cioè quella degli anni ’70 – ’80 in Albania, il rilievo del ruolo del padre, a parte la sua dovuta ed universale importanza, relativa ad ogni annata, generazione o paese, è collegato anche ad un altro fattore:
venivano attribuite a quel forte senso di dovere nei confronti della famiglia che lui riportasse, anche le rispettive difficoltà nel mandare avanti la casa. Si aveva a che fare con nuclei familiari anche abbastanza numerosi, sopportando incarichi pesanti lavorativi e condizioni di vita difficoltose in abitazioni piccole, spesso sovraffollate. Questo, dovuto al fattore di convivenza nella stessa abitazione di un focolaio che comprendeva anche due o tre famiglie di fratelli, da dopo sposati, assieme alle relative mogli, figli e genitori anziani compresi. I papà lavoravano tanto per poter provvedere al sostentamento dei figli, per poter rendere possibile loro l’istruzione, per poterli vestire bene, per permettere loro una vacanza al mare.
Questo non escludeva che esistessero anche dei papà non proprio responsabili od imperfetti , da tutti i punti di vista, alla fine nessun essere umano è portatore di una perfezione completa. Ma questi erano in minoranza. Almeno agli occhi dei propri figli.
Esistevano ad ogni modo, diversità profonde per quanto riguarda le condizioni di vita dalle zone urbane a quelle rurali ed il ruolo di un padre di famiglia era relativamente ancora più difficile nelle zone di montagna o in campagna, questo per vari motivi: economici, d’istruzione, di mentalità ecc …
Il sistema sanitario non pesava più di tanto alle famiglie, in quanto era tutto garantito dallo Stato, d’altronde come in parte, l’istruzione. Dovremmo anche sottolineare che non avevamo tante pretese e ci accontentavamo di poco, forse perché non eravamo a conoscenza di uno standard di vita differente, diverso e migliore dal nostro. O meglio, potevamo alla fine intuire fosse così, ma non osavamo esporre desideri o critiche per la nostra quotidianità, a causa della severità della linea seguita ed imposta dal nostro governo di allora.
I nostri papà, con dedizione ci avevano educati con una tale coscienza della realtà, da renderci bella anche una situazione tra le più carenti a cui un bambino avrebbe mai assistito, semplicemente per il fatto di avere desiderato due giocattoli in più oppure del nutrimento o dei vestiti migliori.
I papà in città, oltre al lavoro svolto generalmente in fabbriche, nel caso avessero presentato domanda di ricevere un appartamento in affitto dall’ente statale, quando la famiglia veniva allargandosi, ogni giorno, dopo il proprio orario diurno di lavoro in fabbrica, dovevano recarsi al cantiere edile. Dovevano rimboccarsi le maniche nuovamente e lavorare contribuendo in prima persona alla costruzione dello stabile in cui lo Stato avrebbe loro assegnato di seguito uno degli appartamenti per poter collocarvi la propria famiglia.
La classica domanda: “ Di chi sei figlio / figlia … ?” assumeva un’importanza raddoppiata quando si mettevano in atto i matrimoni, specialmente quelli combinati! Quanta sollecitazione acquisiva la combinazione del matrimonio di due giovani, nel caso in cui le famiglie e, precisamente i padri di famiglia, si trovavano sulla stessa linea biografica, oltre a quella di provenienza, origine, grado d’istruzione e, spesso da considerare anche la religione. La coppia nuova appena formatasi, assurdo ma vero, in questo caso aveva ben poco spazio per decidere sulla futura vita da passare insieme. Il suo percorso di vita comune era stato già disegnato dai loro padri. Elemento reduce della società patriarcale quest’ultimo.
C’erano i padri più conservatori che non permettevano ai figli, oramai adolescenti , un certo tipo di atteggiamento spavaldo, linguaggio troppo confidenziale nei confronti degli adulti in generale fuori e dentro casa, un certo tipo di abbigliamento o un modo di comportarsi che andava in contraddizione con ciò che non solo una buona famiglia si poteva concedere ma che, la cosa più importante, l’ideologia del paese criticava e condannava. Un padre permissivo in questo caso, sarebbe stato considerato incapace di educare i figli ed avrebbe subito determinate ripercussioni.
C’erano i padri intellettuali, che in famiglia almeno per quanto riguardava l’educazione e l’istruzione dei propri figli, cercavano di fare da esempio da rispecchiarsi poi in società e di essere esigenti al massimo sui loro risultati e la loro immagine a scuola. Questo, anche perché i loro figli potevano godere della loro guida su studio e condotta esemplare e sarebbe stato un peccato – come spesso poteva purtroppo accadere – che i figli, questa opportunità la sprecassero negativamente.
I nostri papà generalmente, qualsiasi fosse stato il loro proprio livello di studi o di convinzioni, sono sempre stati attenti alla nostra preparazione scolastica, cosa che ci ha resi molto forti nelle nostre basi di istruzione. Questo è stato dovuto anche al sistema sotto cui vivevamo naturalmente ma che, ad un certo punto della nostra vita, ne abbiamo colto i buoni frutti.
L’intellettualismo etico di Socrate, a mio avviso, da noi non avrebbe trovato spazio, non avrebbe potuto esistere, o meglio non gli sarebbe stato permesso di esistere! L’uomo non poteva comportarsi male nella nostra società civile, anche se semplicemente per ignoranza! L’uomo doveva essere impeccabile in tutti gli aspetti, non per niente se sbagliava, in società, al lavoro e ovunque con comportamenti anticonformisti, doveva essere pronto a pagare tutto sulla propria pelle. Più chiaro e crudele di così! Apparentemente, era “uguaglianza sociale” che significasse anche questo.
I nostri papà, i nostri nonni, alcuni di loro hanno anche subito persecuzioni per motivi uno diverso dall’altro, accomunati da un “errore” unico: quello di essersi permessi di dire la propria su un sistema dittatoriale.
I nostri papà, così come le mamme della nostra generazione, a inizio anni ’90 anch’essi hanno sofferto il peso della transizione e del cambiamento di regime del nostro paese.
Più avanti, hanno provato l’emigrazione o l’allontanamento dei propri figli, di quei figli, per la crescita dei quali, avevano sacrificato una vita intera, la loro stessa gioventù ed avevano sopportato diverse fatiche e sacrifici.
I nostri papà, tra cui alcuni non hanno potuto vedere i propri figli crescere, non li hanno potuti vedere oramai realizzati, sposati, non hanno potuto conoscere i propri nipotini.
I nostri cari papà, grazie ai quali, alla classica domanda: “ Di chi sei figlio / figlia … ?”, rispondiamo talmente fieri, pronunciandone il cognome di famiglia da loro donatoci, un cognome che ci hanno trasmesso e che abbiamo ereditato assieme a quei valori e principi inestimabili.
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