Di Carlo Alberto Rossi
Nonostante i continui tentativi dei media di Rilindja di affermare che la coalizione di governo e’ (o sta per) essere confermata anche per la prossima legislatura, tramite complesse elaborazioni dei segni premonitori del tempo, dal volo degli uccelli o dal gioco dei Tarocchi e dall’analisi dei fondi di caffe’, dal siluramento di Manjani a quello di Tahiri la situazione non e’ cambiata, e Meta non e’ morto in gennaio.
Purtroppo per i lettori e per gli elettori, nella nostra politica ci sono due grandi categorie di protagonisti, quelli che cercano di trovare nella realta’ delle cose qualche appiglio che dia loro ragione nelle discussioni al bar e che al massimo agiscono per dispetto, e quelli che invece agiscono coerentemente ad una strategia determinata sulla base di una “morale politica”, che non va confusa con la morale in generale, ma che e’ quella che richiede ad un vero leader politico gesti e comportamenti conseguenti e spiegabili, finalizzati ad un risultato condivisibile con la propria base politica.
Tutti sanno che Meta e Tahiri non si sono mai amati, come tutti comprendono che Tahiri costituiva da tempo un forte imbarazzo per Rama, ma addebitare alla richiesta di Meta la rimozione di Tahiri, significa considerare Meta alla stregua di un qualsiasi militante politico seduto al Bar Sport. Il problema di Meta evidentemente non e’ mai stato Tahiri, come non erano Cuci, Klosi o Beqaj, e come non lo saranno Xhafa, Shalsi, Xhacka o Monastirliu.
Meta ha ambizioni legittime e capacita’ di implementazione delle strategie politiche, ma ha anche una “morale politica” che ha dimostrato chiaramente nel 2008, quando ha rischianto la sua eliminazione dalla scena, e come ancora di piu’ ha dimostrato nella bufera della riforma costituzionale a meta’ luglio.
E Meta vuole governare questo paese, e per farlo puo’ anche sacrificare l’amico o il collaboratore, ma sempre secondo una logica di “morale politica” che lo porti a massimizzare il ruolo dello strumento politico che ha costruito rischiando spesso il tutto per tutto.
Ma per governare il paese, bisogna che il Paese ci sia, e per vincere una competizione politica, bisogna che la competizione ci sia. E perche’ il Paese ci sia, occorrono delle istituzioni amministrate secondo delle regole chiare, e perche la competizione ci sia, occorrono una maggioranza e una opposizione, e delle elezioni credibili per misurare chi ha vinto.
Qualche trucco e qualche imbroglio ogni tanto, si possono anche tollerare, ma non possono essere l’unico contenuto, l’unico argomento, l’unico metodo. E se il gioco diventa quello del partito unico, non si puo’ piu’ giocare “con calma e con amore”.
Dall’altra parte una banda di complici continua a confondere il Paese con la propria proprieta’ privata, e a ragionare esclusivamente in termini violenti, di conflitto, di confrontazione politica, di sottomissione, di sudditanza e di sfida, prova ne sia la proposta di nomina di Fatmir Xhafa a Ministro dell’Interno, una provocazione pura all’opposizione, un invito a restare nella tenda, un ennesimo tentativo di manipolazione, dopo che lo stesso Xhafa ha evidentemente manipolato la Riforma della Giustizia, rendendola impraticabile, ma sempre cercando di fatturare il danno all’opposizione.
Una riforma costituzionale, anche importante come quella della Riforma della Giustizia, e’ una cosa sulla quale puo’ essere difficile trovare un accordo tra tutte le parti politiche, ma in quanto tale e’ una cosa facoltativa, si puo’ fare o non fare, a seconda delle condizioni politiche, ma ragionevolmente non si puo’ fare a colpi di maggioranza. Meta allora ha considerato, secondo una “morale politica” condivisa da tutto l’occidente democratico a cui lui si ispira da quando molti anni orsono si e’ dichiarato “eurosocialista”, che una tale riforma, toccando un perno fondamentale dell’organizzazione dello stato, dovesse essere consensuale.
E in questo senso ha agito, salvando (purtroppo solo in apparenza) la coesione dello spazio politico che costituisce la base indispensabile perche’ possa esistere uno stato democratico.
Pensare oggi, come sembra stia facendo Rama, che Meta possa accettare di andare alle elezioni senza il principale partito di opposizione (cosa non accaduta nemmeno nel 2007 quando Rama pretese riforme della legge elettorale e poi vinse le elezioni celebrate con mesi di ritardo), significa essere schiavi della propria miopia politica, o accecati dall’odio o dalla rabbia per il potere che sta scivolando dalle mani. Comunque significa agire senza nessuna “moralita’ politica” e significa cercare di estromettere dallo stato chiunque non sia complice.
Qui non stiamo piu’ parlando di una normale schermaglia politica, qui stiamo mettendo in discussione l’esistenza del concetto di stato democratico occidentale, senza il quale non ha piu’ senso parlare di Unione Europea e nemmeno di Alleanza Atlantica. L’alternativa, forse gradita a Rama, e’ solo Erdogan.
La notte della repubblica occidentale intanto si avvicina, di fatto eclissata da una fatwa degli Ulema di Xhafa.
Infatti proprio grazie alla riforma di Edi Rama (e gestita da Fatmir Xhafa e dai suoi esperti legali) l’ordinamento istituzionale dello stato albanese ha ancora poco piu’ di un mese di legittimita’ giuridica, poi ci troveremo con Avvocato del Popolo, Corte dei Crimini Gravi, Consiglio Superiore della Giustizia, Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica, tutti quanti con i mandati scaduti, e con la Corte Costituzionale con molti membri decaduti e non sostituiti.
Adesso, sempre nel nome di quella “moralita’ politica”, tocca a Meta fermare la giostra impazzita, riprendere il dialogo con l’opposizione per costruire una soluzione di governo transitoria che consenta la celebrazione di vere elezioni e ricostituire l’ordine istituzionale, altrimenti davanti alla tenda di Basha arriveranno tutti quelli che non hanno un visto.
Ma se Meta non e’ morto a gennaio, Meta non morira’ nemmeno a luglio./Exit.al