1. «Guardi l’Unione Europea e vedi la Germania. Di fatto, uno strumento della Germania. Per questo il Regno Unito ha fatto bene a uscire.»
L’incendiaria frase pronunciata da Donald Trump in un’intervista 1 resa alla vigilia del suo insediamento, coglie bene la cifra dell’uomo. La cui caratteristica politica più disorientante non sta nell’estemporaneità, e nemmeno (o non solo) nell’inveterata tendenza a mentire e a fare scempio dell’eticamente accettabile. Sta soprattutto nell’alternare alla spudorata menzogna una verità iperbolica, che trascura le sfumature per cogliere l’essenza dei fatti. Pare sia un tratto comune dei cosiddetti «populismi», tanto più perniciosi perché qualunquisticamente ma saldamente ancorati alla realtà.
Definire l’Europa instrumentum Germanorum è dunque una forzatura, ma va al punto. La Germania è sempre stata condizione necessaria di qualsivoglia evoluzione (e involuzione) del costrutto europeo. Oggi, tuttavia, per forza propria e debolezze altrui essa unisce al peso specifico un margine di manovra inedito dal 1945. Non solo per ciò che è – la maggior potenza economica e demografica continentale, da circa dieci anni in costante attivo commerciale con il resto d’Europa e del mondo – ma anche per ciò che può e intende fare.
Suo malgrado, la Bundesrepublik si è affrancata dalla condizione di oggetto dell’Europa cui l’aveva relegata la doppia sconfitta bellica del Novecento, ritrovando l’elemento volontaristico che ne fa a pieno titolo un soggetto geopolitico. Al cui indirizzo strategico è legata a doppio filo la sorte dell’Europa.
La circostanza è talmente evidente da informare la «scandalosa» condotta dell’altrimenti eroico premier canadese Justin Trudeau. Con il suo recente proposito 2 di nominare un singolo ambasciatore – l’ex ministro degli Esteri Stéphane Dion – presso Germania e Ue e di farlo risiedere in pianta stabile a Berlino, l’anti-Trump pa…