I vescovi dell’Albania sono in Vaticano per la loro visita ad Limina. Domani incontreranno il Papa. Su questo appuntamento, don Davide Djudjaj ha intervistato mons. Angelo Massafra, arcivescovo di Scutari e presidente della Conferenza episcopale albanese:
R. – E’ Sicuramente un momento di grazia per la nostra Chiesa. L’incontro con il Santo Padre e con le Congregazioni Romane è l’occasione per rinsaldare il legame con la Chiesa Madre, ma anche un momento di verifica e di confronto così necessari per la continua edificazione della Comunità credente.
D. – Quali sono le principali gioie e le maggiori sfide della Chiesa cattolica in Albania oggi?
R. – La nostra è una Chiesa che ha conosciuto la sofferenza della persecuzione e che oggi vediamo risorta ed in cammino. Esistono bellissime esperienze che dimostrano la crescita di questa Chiesa. Ma quando si parla di crescita è chiaro che rimane ancora del cammino da compiere. E questo credo che valga per tutte le comunità cristiane del mondo. Le nostre sfide più intense sono quelle legate ad un’inculturazione del Vangelo che tenga conto della realtà sociale albanese come anche della sua interreligiosità. Una sfida importante è la promozione vocazionale, come la mancanza di clero sufficiente, autoctono e missionario.
D. – Come la Chiesa si inserisce nella società civile? Quali sono le questioni sociali più importanti, visto dalla Chiesa cattolica, in questo momento in Albania?
R. – Abbiamo molto a cuore le sorti della società albanese e, perciò, spesso ci rendiamo promotori, anche con i responsabili delle altre fedi, di interventi forti nella speranza di incidere non tanto sulle scelte politiche, che lasciamo a chi di dovere, quanto sul modo di fare politica; che tenga conto, cioè, del bene comune come anche dei problemi reali della gente. Anche se siamo una nazione in crescita, la crisi economica e la mancanza di lavoro ha toccato anche l’Albania e molte famiglie e giovani continuano ad emigrare, impoverendo la nostra nazione; ingiustizia, corruzione, impossibilità economica per la cura della salute e diritti dei lavoratori ignorati fanno sì che i poveri stanno diventando più poveri.
D. – Quale contributo offrono i sacerdoti, religiosi e le religiose alle attività assistenziali, educative e pastorali della Chiesa?
R. – L’aspetto della carità è stato quello che ci ha caratterizzato come Chiesa sin dalla caduta del regime comunista. L’icona del Buon Samaritano ci rappresenta benissimo non solo per quanto riguarda gli interventi specifici di natura assistenziale, che sono davvero tantissimi, ma anche per quel che concerne l’aspetto della formazione. Le scuole cattoliche oggi in Albania sono il fiore all’occhiello della Chiesa Cattolica, ma anche motivo di trepidazione perché non sempre ci sono le condizioni, politiche ed economiche, che ci permettono di realizzare quell’impatto formativo che intendiamo offrire. In questo campo il lavoro dei consacrati, soprattutto, è veramente determinante.
D. – Ci sono difficoltà nell’evangelizzazione in generale e in particolar modo nei territori impervi del Paese e dunque difficili da raggiungere?
R. – La prima difficoltà è la mancanza di clero e di mezzi economici sufficienti.Inoltre la mancanza di infrastrutture, anche se sono molto migliorate, è un problema molto serio sia per la Chiesa, nel suo servizio alle comunità cristiane che vivono in zone impraticabili soprattutto in inverno, ma anche per lo Stato, per quel che riguarda l’offerta dei servizi assistenziali di base, come pure per la pubblica sicurezza. Il fenomeno migratorio e quello della fuga verso le città sta cambiando molto anche la geografia religiosa del Paese e ci sta stimolando ad intraprendere nuove strategie pastorali.
D. – Quali sono i rapporti con le altre Chiese e in particolare con la maggioranza musulmana?
R. – Possiamo dire “buoni”. Non mancano occasioni di dialogo e di collaborazione in particolari circostanze. La convivenza pacifica tra le fedi è un tesoro che va custodito e protetto in Albania. Non mancano a volte notizie che fanno temere un certo radicamento di fondamentalismi, ma non ci scoraggiamo e proseguiamo senza indugio nell’affermazione del binomio vincente di “fede e patria”, così caro agli albanesi.
D. – La diffusione della secolarizzazione sta allontanando la popolazione dalla fede?
R. – La tenuta della fede in Albania è ancora, grazie a Dio, molto alta. Tuttavia si può notare un certo calo da attribuire fondamentalmente al secolarismo galoppante. Tuttavia, non ritengo si tratti di un allontanamento dalla fede in senso stretto, quanto invece di un certo indifferentismo e che richiede da parte nostra una maggiore cura, soprattutto in ambito formativo. Dobbiamo saper valorizzare ed educare la pietà popolare molto diffusa nel popolo albanese.
D. – La Chiesa è molto attiva anche nella riconciliazione del tessuto sociale …
R. – Sì. Non si dimentichi che la Chiesa ha un ruolo essenziale nella risoluzione delle faide familiari conosciute come “vendetta di sangue”. Molte sono le riconciliazioni che, grazie all’interessamento dei preti, dei religiosi e di laici molto stimati, come anche di alcune associazioni presenti sul territorio, si riesce a realizzare. Mi rallegro per il fatto che, il giorno di Pasqua, sono stato chiamato per riconciliare alcune famiglie.
D. – Cosa può offrire la Chiesa in Albania alla Chiesa universale?
R. – Siamo una Chiesa giovane dove si respira la voglia di crescere. Ma è anche una Chiesa carica di storia e di tradizione e che porta il colore del sangue dei suoi Martiri, 38 dei quali sono stati beatificati il 5 novembre scorso. Sicuramente essi sono una ricchezza da conoscere, soprattutto per l’esempio che possono offrire alle giovani generazioni per il loro amore a Cristo e alla Chiesa.
D. – Quali sono le sfide per i vescovi, secondo il magistero di Papa Francesco?
R. – Indubbiamente quella della misericordia che abbraccia la giustizia, quella dei ponti che scavalcano i muri, quella intramontabile di un Vangelo vivo e che fa vivere chi lo mette in pratica./Radio Vaticana