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Pannella, quando l’eredità è radiofonica

MILAN, ITALY - DECEMBER 19: Marco Pannella attends 'Che Tempo Che Fa' Italian Tv Show on December 19, 2009 in Milan, Italy. (Photo by Stefania D'Alessandro/Getty Images)

Di Flavia Piccini

Maggio è il mese dall’assassinio di Aldo Moro, dell’omicidio di Peppino Impastato e dell’uccisione, in piazza nel 1978 durante una manifestazione pacifica del Partito Radicale, di Giorgiana Masi. Da quest’anno, maggio è anche il mese di Marco Pannella. Ieri avrebbe compiuto 87 anni, e il 19 sarà invece il primo anniversario dalla sua scomparsa. La sua eredità non è facilmente sintetizzabile, perché non è solo quella delle innumerevoli battaglie vinte – chissà perché con Pannella si utilizza sempre un lessico da guerriglia, e dire che lui era un sostenitore della non violenza, degli scioperi della fame e della sete che ne hanno definito il profilo -, prima fra tutte quella sul divorzio, ma anche dei sassolini lanciati e lasciati in eredità.

Il mio primo ricordo di Pannella è legato a uno zio, a una Cinquecento rossa e alle strade di Taranto. Quando eravamo in macchina – io avevo sei, sette anni – lui metteva sempre Radio Radicale, che Pannella aveva voluto nel 1976 non come braccio di partito, non come strumento di propaganda per i radicali, ma come piazza libera di confronto, mezzo di comunicazione apartitica in quel mondo fatto di lottizzazioni delle emittenti pubbliche e private in nome delle maggioranze.

Ricordo quelle primavere che venivano avanti nei fumi dell’Ilva, nelle manifestazioni in piazza, nei drammi borghesi di un Meridione che si sentiva confine. E ricordo la voce accalorata di Pannella, le sue lunghe pause, le sue rincorse di parole.

Da allora sono passati indefiniti anni, e l’eredità di Pannella sopravvive anche in quella radio che è in prima linea, come era sempre in prima linea Pannella. In quella radio che non abbandona gli eventi politici e culturali, anche e soprattutto dando dignità di interesse a ciò che gli altri trascurano (perché non fa share, perché non interessa, perché…). A sentire la rassegna mattutina di Massimo Bordin, Stampa e regime, che con una voce netta alla Tom Waits ha fatto della trasversalità il suo fulcro (fra gli ascoltatori, e per la linea editoriale mai monotona), si afferra il senso di futuro di cui Radio Radicale è intrisa.

E poi c’è il racconto della Camera affidato a Giovanna Reanda e Lanfranco Palazzolo, e quello del Senato con Claudio Landi (che cura anche delle spassose conversazioni con il professor Baldassari), in grado di costruire una sorta di presa diretta tra cittadini e politica, rifiutando il populismo giornalistico, quello del grido facile, del titolo cattura click. Ma non c’è solo politica. Lo dimostra “Overshoot” di Enrico Salvatori, che accompagna l’ascoltatore in quel complicato format che è l’approfondimento – grazie anche al contributo del professor Aldo Loris Rossi, una sorta di guru del mondo urbanistico -, e lo fa in un tour mai scontato fra ambiente, territorio e i limiti dello sviluppo.

E poi c’è “Radio Carcere” ideata e condotta da Riccardo Arena che vede come intelocutrice fissa Rita Bernardini, storica esponente radicale, ed è una finestra su un mondo spesso taciuto: quello della detenzione e delle carceri. La cultura invece prende la voce di Massimiliano Coccia, che con il programma “Le parole e le cose” conversa per trenta minuti di libri con i loro autori (e sono passati un po’ tutti dallo studio di Via Principe Amedeo: Saviano, Zafon, Sepulveda, Tahar Ben Jellou, Piovani) costruendo conversazioni che non sono incentrate solo sulla scrittura, ma prendono spesso la strada della vita.

L’eredità di Marco Pannella (e il futuro del Partito Radicale) è oggi al centro di un acceso dibattito, eppure la sostanza del suo lavoro è in onda ogni giorno. Pannella amava ripetere che la “durata è la forma delle cose” e se dopo 40 anni Radio Radicale continua ad avere una sua esistenza è senza dubbio merito del lavoro collettivo, come si usava negli anni Settanta, ma anche dalle molteplici intuizioni composte da semplicità e rapidità di esecuzione che Panella aveva desiderato. Forse anche in questa sua peculiarità Pannella è stato un innovatore, il primo editore e leader politico ad aver creato il mercato del pluralismo e della pluralità culturale. Infischiandosene delle regole. Infischiandosene del proprio piccolo orticello. Sempre e comunque./http://m.huffingtonpost.it/flavia-piccinni/pannella-quando-leredita-e-radiofonica/

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