Parla Gjon Radovani, ideatore del progetto MEMO:
“Non è vero che nella dittatura tutti furono colpevoli e vittime, perché chi fu ucciso, torturato, violentato fu soltanto una vittima del regime. Giustificando i crimini del passato si rischia di giustificare anche i mali del presente”
Un Paese senza piena memoria, è anzitutto una Nazione che difficilmente può guardare al futuro. Soprattutto se questo futuro consiste nella necessità di essere a pieno titolo parte di una Comunità europea. Anche per questo nasce il progetto MEMO”. Chi parla è Gjon Radovani, architetto, creativo apprezzato in Europa e nel mondo, ex Viceministro e oggi Consigliere delle Nazioni Unite, ruolo tramite il quale ha promosso un progetto che, partito da alcune adesioni, registra adesso la partecipazione di decine e decine di appartenenti ai ranghi della diplomazia, dello studio, delle arti e professioni, e tante altre persone stanno chiedendo di aderire. Aderire alla prospettiva di essere, per una volta, “qualcun altro”.
“Qualcun altro imprigionato, internato, torturato, rinchiuso, qualcun altro che i propri cari non ha più potuto rivederli. Perché questo è stato l’orrore di una delle dittature più estremiste fra quelle di segno comunista nel mondo”. Radovani, con voce severa e commossa, ne parla ai microfoni di Radio Radicale con il giornalista e corrispondente Artur Nura.
“L’Albania ha cominciato a fare i conti con il passato molto tardi e molto parzialmente. Non è un caso, ed è anche voluto, il fatto che il mondo della politica abbia dato un apporto molto minimo alla causa delle invece sempre maggiori adesioni venute da alte personalità e da tanti normali cittadini”. I quali chiedono verità, la stessa con cui gli altri Paesi – europei e non solo – usciti dalla realtà dell’incubo totalitario comunista, hanno fatto i conti fin da subito, “fin dalla caduta del Muro di Berlino. La ex Germania dell’Est ha aperto i propri archivi segreti pochi mesi dopo, l’Albania dopo 27 anni. Non è possibile! Non è affatto da escludere che questo passaggio storico sia avvenuto con omissioni, occultamenti o omissioni di materiali o documenti sensibili. Non è così che si può aspirare a un ingresso nell’Unione europea, e il nostro vuole essere un contributo anche per le scelte che dovranno essere fatte nel corso dei prossimi mesi”.
Secondo Radovani, il “peccato originale” dell’Albania, e delle sue classi dirigenti, è stato un certo atteggiamento “auto-assolutorio” diffuso, stando al quale, siccome tutti furono colpevoli o complici “non ci sarebbe stata nessuna vittima. Una favola smentita dalla realtà di migliaia di uomini, donne e bambini internati, sottoposti a torture e violenze, condannati a morire in campi di sterminio che qualcuno, oggi ancora, ha il coraggio di chiamare case di riposo!”.
Un’operazione coraggiosa quella di MEMO, che parte da una frase bellissima della Santa albanese Madre Teresa di Calcutta: “Non avremo pace finché non saremo anche qualcun altro. E quel qualcuno è colui che oggi o non è più fra noi o, per via dell’età avanzata, sopra la media degli 80 anni, non può oggettivamente prendere parte attiva al progetto MEMO. Per questo i nostri partecipanti stanno lavorando senza sosta per raccogliere le testimonianze di chi è ancora in vita, oltre alle documentazioni relative a tutte le altre vittime perite durante la dittatura”.
Accanto a diplomatici del rango di Romana Vlautin, Ambasciatrice UE, Donal Lu, Ambasciatore USA, e Alberto Cutillo, capo della diplomazia italiana, le adesioni in atto stanno riguardando artisti, giornalisti, intellettuali e, fatto assai incoraggiante e bene auspicante, studenti. Ognuno di loro diventa un altro – bambino, uomo o donna – che è stato imprigionato dal regime dittatoriale o che non ha più rivisto il proprio caro.
“Per arrivare al cuore delle giovani generazioni, coloro che devono rappresentare il futuro di questo Paese e la sua nuova dimensione europea, abbiamo scelto di procedere ai racconti delle tragiche vicende umane dell’epoca attraverso singoli cortometraggi della durata di circa due minuti, a oggi per un totale arrivato a oltre 120 minuti di narrazioni nelle quali il protagonista ha dimostrato una capacità di immedesimazione bellissima e toccante”, ricorda ancora Radovani, che ha potuto avviare questa meravigliosa ed epocale iniziativa proprio nella sua veste attuale di Consigliere ONU mediante l’iniziativa sul “Ricordo come cura e prevenzione”.
“Voglio ancora dire che un’altra grande aberrazione è dire che il comunismo nel nostro Paese sarebbe stato anche una cosa buona perché aveva reso impossibili il crimine, la prostituzione e la droga.
Questa tendenza a giustificare gli orrori del cinquantennio totalitario in Albania è anche il fatto che impedisce la proiezione piena al futuro di questa Nazione martoriata semmai dal crimine più grande, cioè la privazione della libertà e della vita per ragioni ideologiche. In questa maniera è impossibile anche intervenire sui mali del presente perché, come per esempio nel caso della tanto criticata corruzione, si finisce sempre con il giustificare tutto o col parlare di mali minori”.
PS: L’intervista e’ ascoltabile neli sito di Radio Radicale