Se Iran e Turchia pagano dazio, ora tocca all’Albania passare all’incasso.
– Di Alessandro Zorgniotti
La situazione di emergenza economica e monetaria, e inevitabilmente anche politica, venutasi a creare nella Turchia di Erdogan viene seguita con una certa apprensione dai mercati occidentali, e naturalmente anche dall’Albania, in considerazione dell’interesse che, nel corso dei secoli e delle diverse epoche storiche, i Balcani e i Paesi albanofoni hanno sempre suscitato nei confronti di Ankara.
La Turchia, a seguito della svolta autoritaria e personalistica impressa dalle riforme di Erdogan – al potere dal 1994 prima come sindaco della Capitale, poi come Premier e ora come capo dello Stato – ha sì conseguito una lunga e importante performance economica, della quale sta però adesso pagando le controindicazioni dal punto di vista di una inflazione a due cifre – trattandosi di un’economia basata principalmente sul debito di famiglie e imprese – e della reazione americana tramite imposizione di dazi. In pratica, una sanzione internazionale.
L’attuale scenario turco offre degli insegnamenti anche per quel che riguarda l’evoluzione dei Balcani. Il primo punto è quello relativo agli eccessi di concentrazione del potere in mano all’uomo solo, perché si tratta di una tendenza che presto o tardi viene punita dai mercati occidentali, e l’Albania è a tutti gli effetti un Paese dell’Europa occidentale, facendo nostre le bellissime parole della presidente della commissione affari esteri del Parlamento di Tirana, onorevole Mimi Kodheli.
Il secondo punto riguarda la connotazione storica e attuale dei Balcani del Sud a partire dalla stessa Albania: a Tirana gli investimenti economici e finanziari operati dai Turchi, dal sistema bancario alla costruzione di moschee, fino a investimenti culturali come l’invasione di prodotti televisivi sulle emittenti TV, possono essere anche bene accetti, ma – come diceva il grande intellettuale Pashko Vasa – “la religione degli Albanesi è l’Albanesità” e quindi il Paese delle Aquile, dal 1991 a oggi, è e rimane una finestra aperta verso l’Europa – pur con tutti i limiti dell’Unione Europea – e verso l’America.
La terza lezione è anzitutto una opportunità di cui – da parte anzitutto italiana e poi subito dopo europea – occorre rendersi conto. Le tensioni diplomatiche internazionali che si stanno verificando in Stati di area regionale vasta come Iran e Turchia – rispetto ai quali molti importanti investitori economici e finanziari italiani ed europei dichiarano la propria legittima preoccupazione – possono e DEVONO far riscoprire ancora di più la centralità dell’Albania e della macroregione albanofona (comprendente anche le Nazioni vicine) come piattaforma strategica non solo per l’export Italiano e dell’Unione Europea ma anche e soprattutto per sviluppare la produzione industriale e per raggiungere con la stessa quei mercati oggi di difficile accessibilità per una gran parte di PMI dell’Italia e dell’Europa. Le condizioni – valutarie, fiscali e finanziarie – per procedere a questo esistono tutte, e la stessa Banca centrale di Albania, attraverso le dichiarazioni del proprio Governatore Sejko, conferma la propria volontà di perseguire una moderata e ragionata crescita dell’inflazione con l’obiettivo di sostenere gli investimenti e i consumi sul mercato interno.
Insomma, se Iran e Turchia pagano dazio, per l’Albania e per tutta la macroregione circostante è arrivato il momento di passare all’incasso.