Home Approccio Italo Albanese La demolizione del Teatro Nazionale d’Albania? Un atto di suicidio storico.

La demolizione del Teatro Nazionale d’Albania? Un atto di suicidio storico.

Quale potrebbe essere il futuro di una generazione che ignora il suo passato? Rifiutare la storia e la memoria, anche attraverso il crollo di un edificio storico, significa abbandonarsi alla possibilità di ripetere gli stessi errori, oppure peggio ancora, i crimini. Ignorare la volontà e l’opinione degli artisti, intellettuali e cittadini ci mette in guardia rispetto un’era buia che abbiamo già vissuto. Cosa segna la demolizione del Teatro Nazionale d’Albania, al di là del crollo di un edificio, la cosiddetta “Mecca” della cultura albanese? Per la giornalista italo-albanese Anita Likmeta, attiva nei più importanti media italiani, oggi più che mai non può e non deve essere messa in discussione il Teatro Nazionale, perché chi in Albania parla ogni giorno di progresso dovrebbe essere consapevole che un Paese non può progredire senza cultura, ancor meno senza Storia.

La ragazza di Durazzo fu costretta ad abbandonare l’Albania quando era solo una bambina, durante uno dei periodi più fragili del nostro Paese. Ma si sa che a 11 anni, un bambino non può ribellarsi agli abusi di un governo e dei suoi governanti.  Ma oggi, che è riuscita a vincere la sua battaglia contro quel volume di morte che molti di noi hanno conosciuto, Likmeta è decisa ad ostacolare la scelta del governo e a combattere a fianco di connazionali che, come lei, hanno a cuore la storia e la cultura albanese.

Anita Likmeta su Gazeta Shekulli.

Likmeta è un nome popolare per il pubblico italiano quanto per quello albanese, non solo per il suo contributo mediatico, nel campo della tecnologia e dell’innovazione, degli impegni nei gruppi politici, ma anche per la sensibilizzazione alle questioni sociali, in particolare a quelle dell’emigrazione e della storia albanese. Oggi il Teatro Nazionale è anche la sua battaglia. Oltre alla determinazione per sensibilizzare l’opinione pubblica, Likmeta racconta a “Shekulli” di aver inviato una lettera, firmata da scrittori e artisti albanesi come Robert BudinaRudi EreberaKastriot Çipi e Lindita Komani, all’Onorevele Romano Prodi, il quale nel 1998 intervenne in Albania per fermare le navi in direzione delle spiagge italiane che portarono a morte dozzine di albanesi, oltre a dare un’assistenza finanziaria concreta. Secondo la giornalista, in Albania dovrebbe essere istituita una commissione per la verità e la riconciliazione nazionale albanese. “Come ho detto in altre occasioni, c’è una continuità ambigua tra il vecchio e il nuovo sistema ed è necessario dare volto a quei criminali e a quella storia da cui tutti dovremmo prendere le distanze. Questo sarebbe un passo importante verso un’Albania liberale “. A questo punto ci viene da chiederci se oggi l’Albania vive un nuovo sistema totalitario sotto le fragili vesti della democrazia? Secondo Likmeta, per capire se l’Albania sta vivendo una nuova forma di dittatura, il cittadino dovrebbe chiedersi se si sente impotente dinanzi alle scelte che lo Stato impone come punizione contro una migliore coscienza pubblica, piuttosto quando lo Stato costringe i cittadini ad una cooperazione silenziosa.

Anita, da quasi 10 mesi gli artisti albanesi protestano contro la decisione del governo di demolire il Teatro Nazionale. Qual è la tua opinione in merito?

Comprendo e condivido appieno la posizione degli artisti, degli scrittori, degli architetti, della cittadinanza e di tutta la classe intellettuale albanese. Il Teatro Nazionale dell’Albania rappresenta un simbolo di quella Storia che ci ha caratterizzato. È una nostra cicatrice, come lo sono anche altre, che dovrebbe fungere da promemoria, ogni volta, per ricordarci quello che abbiamo vissuto, e subito. L’Albania ha attraversato periodi difficili, è stata attraversata da eserciti in varie epoche, dagli svevi agli angioini, ai veneziani, ai cinque secoli di dominazione ottomana, all’invasione fascista, a mezzo secolo buio della dittatura hoxhaista, alla grande diaspora, alle piramidi finanziarie, ai morti del canale di Otranto. Ecco, queste sono solo alcune delle cose che hanno trovato spazio entro i nostri confini. L’Albania è stato teatro di guerra, la via per l’Oriente, la terra di mezzo. L’Europa sta attraversando un periodo delicato, si stanno mettendo in dubbio le fondamenta di principi che pensavamo fossero saldi, si sta mettendo in discussione i valori della democrazia, delle libertà conquistate in oltre 70 anni di pace. Oggi più che mai non si può mettere in discussione il Teatro Nazionale dell’Albania, perché se è vero che il progresso è importante, è tanto vero dire che non c’è progresso senza cultura, non c’è progresso senza analizzare la propria storia. Prima del Teatro Nazionale, in Albania ci sarebbe bisogno di creare una Commissione per la verità e la riconciliazione nazionale albanese, perché, ribadisco come ho fatto già in altre occasioni, c’è una continuità ambigua tra il vecchio sistema e il nuovo e che è necessario dare volto a quei criminali e a quella storia da cui dovremmo tutti prendere le distanze. Questo sarebbe un passo importante verso un’Albania liberale.E quest’ultimo si chiama progresso, da non confondere con l’occidentalismo a cascata.

Teatro Nazionale d’Albania

La legge adottata per il crollo del Teatro Nazionale è stata restituita due volte dal presidente Ilir Meta, a causa di irregolarità. Nonostante questo, i deputati della maggioranza sono tornati in Parlamento con 75 voti a favore. Come vedi la disapprovazione dei parlamentari, non solo la volontà degli artisti, ma anche la decisione del Presidente?

In Albania assistiamo ad un revisionismo reazionario, il che spiega le ragioni per cui la classe politica sudditante vuole la demolizione del Teatro Nazionale, uno dei simboli dell’era fascista a Tirana. Questo revisionismo sta aprendo la strada ad una democrazia autoritaria, e chi ha la possibilità di mettere il naso fuori dalla propria porta ne sente subito l’odore, perché é visibile. Perché anche in Albania il capitalismo sta esprimendo la sua natura, spiega la sua ragione attraverso la rivoluzione tecnologica come effetto obbligato: ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri ed emarginati dal resto della società. È un regime che si palesa visibilmente, li vediamo questi emarginati ai piedi del Plaza di Tirana, sui semafori che cercano aiuto, sulle stazioni degli autobus quando scendono le loro galline da vendere al mercato. Un mercato padrone, arrogante ed impaziente che disprezza ogni forma di resistenza, ogni forma di antifascismo come quello della lotta al diritto di avere una storia, al diritto di conservare la memoria, al diritto di opporsi perché come diceva Albert Camus “Non esiste destino che non possa essere superato dal disprezzo”.

Quando lo Stato solleva il cittadino dalla responsabilità morale, senza la quale un uomo non può definirsi tale, quel Governo sta trasformando e veicolando ogni tentativo di resistenza pubblica in un suicidio storico.

Lei vive in Italia, un Paese in cui il patrimonio culturale è considerato prioritario, preservando attentamente edifici architettonici secolari. Secondo lei, cosa significa per una città come Tirana, per non dire per l’Albania, la scomparsa di uno dei monumenti istituzionali?

In Italia è un po’ difficile mettere in discussione i monumenti realizzati in epoca fascista, anche perché sarebbe un investimento generoso visto il numero di opere presenti sul territorio. Tuttavia torno a ribadire che in Albania non si tratta di una scelta culturale, si tratta di business, si tratta del valore che i politici albanesi, incluso il Presidente Meta con il suo silenzio, hanno dato alla nostra Storia perché è di questo che stiamo parlando. Si sono dati una etichetta e si sono messi in vendita. È chiaro che questa è una operazione in cui ci sono molti interessi in ballo. Forse la politica albanese si deve ricordare che non siamo noi a lavorare per loro, ma che il popolo li ha eletti affinché facessero i nostri interessi e non quello dei privati stranieri che con poche briciole si comprano il loro consenso. Se il Teatro Nazionale verrà demolito nessun albanese lo perdonerà, soprattutto la Storia non lo perdonerà. Gli albanesi non hanno bisogno di nuovi centri commerciali, di carrelli della spesa dove trascinare la vergogna. L’Albania non ha bisogno di un nuovo Teatro, l’Albania ha bisogno di affrontare i suoi demoni, di dare un senso alla sua storia, di ricominciare dalla cultura.

Anita Likmeta, Giornalista, Co-Founder & COO di Comunicatica
Anita Likmeta, Giornalista, Co-Founder & COO di Comunicatica

Gli artisti albanesi stanno cercando di coinvolgere i media stranieri e istanze politiche su questo tema. Anche lei sta cercando di fermare la distruzione del teatro. Può dirci qualcosa di più sulle sue iniziative?

Quello che sto cercando di fare è sensibilizzare sempre di più l’opinione pubblica in merito alla situazione che sta avvenendo in Albania. Abbiamo inviato una lettera a Romano Prodi, il quale ha già avuto modo di intervenire in Albania nel 1998 per fermare le partenze di barconi verso le coste italiane. Ma non ci fermeremo qui, abbiamo intenzione di rivolgerci agli organi europei e perfino all’Unesco se servirà per fermare questo scempio. Il mio è un interesse puramente culturale e storico. Ho lasciato la mia terra natia quando avevo soltanto 11 anni, ero una bambina e non potevo reagire ai soprusi di quel governo che ci lasciò come popolo in balia degli eventi, a bussare come disperati alle porte del mondo. Oggi mi sono conquistata la mia libertà, e ho una voce che non cesserà mai di battersi per perorare la causa e gli interessi dei miei connazionali che combattono come me le  ingiustizie, come quella di demolire un pezzo della nostra Storia e memoria.

Lei è un personaggio pubblico e spesso si fa carico delle cause albanesi. Perché pensa che questo monumento dovrebbe essere preservato? Ha un messaggio per i governanti albanesi riguardo al Teatro Nazionale?

Utilizzo i miei canali social per rimanere sempre in contatto con le persone, con i nostri connazionali sparsi per il mondo. Mi piace leggere le loro storie, scambiare opinioni, discutere scelte politiche, gioire degli obiettivi raggiunti. Perché ogni vittoria di un cittadino albanese nel mondo è una conquista per tutti noi che abbiamo lottato stando a testa bassa ad aspettare che arrivasse il nostro momento. Quello che dico agli albanesi è quello che ripeto, e continuo a ripetermi, a me stessa ogni giorno: la dittatura, l’anarchia, le morti, non sono colpa mia. Non sono una mia responsabilità. La responsabilità è singola ed appartiene ad ognuno di noi. Che il valore di una persona si pesa con le scelte che compie ogni giorno. Ma che anche la “non scelta” e il “silenzio” sono una scelta, sono una responsabilità. Per comprendere se l’Albania sta vivendo una nuova forma di dittatura, il cittadino deve chiedersi se si sente impotente dinanzi a scelte che lo Stato impone come condanna contro una migliore coscienza pubblica, quando lo Stato obbliga i cittadini ad un collaborazionismo silente. Quando lo Stato solleva il cittadino dalla responsabilità morale, senza la quale un uomo non può definirsi tale, quel Governo sta trasformando e veicolando ogni tentativo di resistenza pubblica in un suicidio storico. Per cui la domanda che pongo al lettore che sta leggendo sino a qui è: tu, che ruolo e da che parte stai in questa Storia? 

di Anila Dedaj su Gazeta Shekulli

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