ROMA – Sono oltre 50 milioni gli italiani espatriati o nati fuori dall’Italia nel corso dell’ultimo secolo. Molti di loro, emigrati oltre oceano o in altri Paesi europei per sfuggire alla povertà del dopoguerra, si sono impegnati con passione per migliorare la loro nuova patria, andando a ricoprire ruoli importanti. Sta accadendo la stessa cosa, oggi. E’ un fenomeno di cui non si parla molto: figli di emigrati che si impegnano per l’Italia diventando modello di integrazione e di sviluppo della cittadinanza attiva. Come Geri Ballo. La sua è una storia di emigrazione finita bene.
E’ quanto scrive Anna Maria De Luca, dirigente scolastico e giornalista, in un contributo per Dire Donne, raccontando la storia di Geri, esempio di crescita e di cittadinanza nell’Italia dei decreti sicurezza e dei porti chiusi.
“Geri ce l’ha fatta- spiega la De Luca- all’età di 11 anni è riuscita finalmente a ricongiungersi con la madre che era emigrata, cinque anni prima, in Italia. Da piccola, sognava un’Europa unita, affinché a nessuno accada più quel che è successo a lei: restare bloccata dentro ad un confine che le impediva di arrivare agli affetti più cari. Negli anni Ottanta, quando cresceva in Albania, a nessuno era possibile avere contatti con l’estero, radio e tv di altri Paesi erano vietate”.
“Mia madre era riuscita a trovare il modo di intercettare le frequenze e così riuscivamo a vedere di nascosto la Rai- ricorda Geri, l”ex ragazzina’ albanese immigrata che punta al Parlamento europeo, la cui storia De Luca ripercorre in questo articolo intervista- Poi lei ascoltava la radio per ore, sperando di sentire qualcuno che dall’Italia parlasse della nostra situazione in Albania, ma non è mai accaduto. L’Italia era nelle sue fantasie di bambina grazie ai racconti del nonno, partigiano, che dopo l’8 settembre aveva salvato la vita a diversi soldati italiani perseguitati dai rastrellamenti nazisti. Dai suoi racconti avevo maturato un’idea di Italia come seconda patria. E cosi quando mia madre, senza lavoro e spinta dalla promessa di un lavoro a Roma, decise di emigrare, io non lo trovai poi cosi strano. Certo non immaginavamo che quel lavoro si sarebbe rivelato una bufala: i mesi divennero anni, senza la possibilità di farmi partire per raggiungerla”.
E così per cinque anni, Geri restò a Tirana con i nonni. Madre Teresa di Calcutta la prese in simpatia: Geri andò ad accoglierla in aeroporto (aiutava la nonna a fare volontariato presso le suore missionarie della Carità). Racconta a Anna Maria De Luca: “La prima volta che mi mise la mano sulla testa, per benedirmi, sono quasi caduta per la sua forza, aveva un’aurea incredibile. Io ero bambina ma lei era più piccola di me di statura ma con un’energia pazzesca”.
Dopo cinque anni a Roma, la madre trova finalmente un lavoro serio in una ong. Geri la raggiunge in Italia e subito decide di impegnarsi nel campo sociale e culturale, cominciando a costruire ponti tra gli italiani e gli albanesi seguendo la sua passione per la cultura Arbëresh. Sceglie Relazioni Internazionali all’università e nel contempo si dedica alla tutela delle minoranze linguistiche, tanto da diventare console e responsabile della cultura all’ambasciata albanese a Roma, occupandosi delle diaspore. Oggi il suo sogno prosegue: vuole avvicinare le regioni più svantaggiate d’Italia all’Europa. “Il sud non è la periferia dell’Europa, rilanciando una visione euromediterranea puó diventare il fulcro del Mediterraneo. Solo ribaltando la prospettiva possiamo restituire alle nostre regioni il ruolo che spetta loro per geografia e storia: siamo in posizione strategica, è qui che bisogna rilanciare la cultura, è da qui che passano le sfide più importanti dell’Unione”.
Geri non accetta che i fondi strutturali non usati dall’Italia ritornino a Bruxelles. Vuole recuperarli per indirizzarli con bandi diretti ai giovani, aiutandoli nell’imprenditorialità, nella formazione, nell’europrogettazione. Uno strumento concreto che nasce da una campagna di ascolto del territorio, intrapresa alcune settimane fa. Spesso, ci spiega, “un progetto si arena poco dopo l’assegnazione del codice unico del progetto, nella fase dell’inserimento nella banca-dati Igrue: già questa prima operazione risulta complessa in una amministrazione locale depotenziata negli organici e comunque spesso non formata per la gestione dei Fondi Ue. Per questo voglio costituire a Bruxelles un nucleo operativo che faccia da filo diretto per aiutare gli uffici tecnici degli enti locali e tutte le persone che vogliono accedere ai progetti europei, e farà da supporto sia per la formazione del personale sul territorio che per lo sviluppo dei progetti stessi”.
Un master in Politiche, Programmi e Progettazione europea le ha insegnato come funzionano i meccanismi burocratici europei, l’esperienza diplomatica come relazionarsi con le istituzioni. Ora un altro passo, decisivo: si candida, come indipendente nel Pd, alla Europee nelle regioni del Sud. Per realizzare un progetto che avrebbe concrete ricadute nel meridione. “Credo in un Sud che riparta dai piccoli borghi. Gli enti locali sono la chiave dello sviluppo. Purtroppo, tra errori di programmazione e mancanza di personale dedito ai bandi europei, i Comuni spesso sono impossibilitati a cogliere le grandi opportunità offerte dall’Europa. E’ su questo che dobbiamo lavorare per lo sviluppo del sud Italia”./dire.it
Articolo di Anna Maria De Luca, dirigente scolastico e giornalista.