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Come la Corte internazionale di giustizia ha legittimato l’indipendenza del Kosovo

Di Dario Lapenta | Cinquecolonne

A seguito della dichiarazione di indipendenza proclamata dalle autorità transitorie del Kosovo del 17 febbraio del 2008. La Serbia attuò pressing diplomatico nell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite per chiedere parere alla Corte internazionale di giustizia sulla conformità al diritto internazionale della dichiarazione indipendenza unilaterale del Kosovo. Secondo la Serbia la via legale era strategia migliore per difendere la propria sovranità sulla provincia. In merito alla questione, i pareri degli stati vedevano posizione contrapposte. Per la Serbia una pronuncia della Corte sull’indipendenza del Kosovo avrebbe potuto rappresentare un precedente per tutti quei paesi che hanno al loro interno spinte secessioniste e indipendentiste, che avrebbero dunque appoggiato la tesi promossa dalla Serbia. Mentre il governo albanese e statunitense erano fortemente contrari alla richiesta di un parere consultivo alla Corte, in particolare l’Albania lo vedeva come tentativo di bloccare processo di riconoscimento del Kosovo.

La formulazione del quesito alla corte di giustizia internazionale

Il quesito che l’Assemblea Generale, attraverso la risoluzione 63/3 pose alla Corte, chiedeva se tale dichiarazione di indipendenza delle autorità transitorie di auto-governo del Kosovo fosse conforme al diritto internazionale. Il parere della Corte arrivò il 22 luglio del 2010 e si basava su tre premesse.

In primo luogo, secondo la Corte la questione sulla quale l’Assemblea Generale aveva richiesto il parere era “circoscritta e specifica”, e che quindi, secondo la corte, le si chiedeva di si chiedeva limitarsi a esprimersi sulla questione dell’indipendenza del Kosovo senza considerare le possibili conseguenze giuridiche e politiche della dichiarazione stessa.

Inoltre, come seconda premessa, la Corte ha dichiarato che nell’esprimere un parere sul caso proposto dall’Assemblea generale non avrebbe vincolato la propria valutazione in base alla natura delle autorità che avevano proclamato l’indipendenza. Nel caso del Kosovo, le autorità che avevano proclamato l’indipendenza erano autorità transitorie di autogoverno.

Come terza e ultima premessa la Corte specifica che non sarebbe stata tenuta a valutare se la dichiarazione di indipendenza fosse conforme alle norme del diritto internazionale, ma solo se tale dichiarazione fosse stata adottata in sua violazione. Questo ultimo punto, il più rilevante, è quello che indirizza maggiormente il parere della corte verso una unica direzione. Questa non avrebbe più verificato se il diritto internazionale conferisce o meno al Kosovo il diritto di dichiarare unilateralmente l’indipendenza, ma solo se la dichiarazione di indipendenza è in violazione del diritto internazionale. In questo modo, a parere di molti giuristi, la Corte trasforma il quesito sottoposto dal piano della conformità al piano della violazione. Quindi la Corte affronta problema solo formalmente e non a livello sostanziale, non risponde al quesito se la secessione del Kosovo è legittima o no.

Le due strade percorribili

La Corte, per emettere il suo parere finale, avrebbe potuto sostanzialmente percorrere due strade.

La prima, inquadrando l’indipendenza nel contesto del principio di autodeterminazione dei popoli, incorrendo però nella contraddizione del fatto che soltanto i popoli soggetti a colonizzazione hanno diritto alla secessione, e il Kosovo non era inquadrabile in una situazione di colonizzazione.

La seconda, dato che il Kosovo è stato oggetto di crimini, allora in questo caso specifico, avrebbe potuto effettuare la secessione.

Ma la corte ha scelto una terza strada, scegliendo di non rispondere al quesito che le era stato proposto originariamente, ma ha riformulato il parere richiesto arrivando a una conclusione negativa: non esiste norma vincolante che prevede il divieto da parte di un popolo di proclamare l’indipendenza. Una conclusione che appare scontata, in quanto nel diritto internazionale tutto ciò che non è espressamente vietato è lecito.

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