GAGLIANO, FEUDO NOBILE DI ANDRONICA ARIANITI COMNENO
Di Antonio Biasco
Due frammenti di ceramica, con impressa l’Aquila bicipite, venuti alla luce in un ritrovamento più o meno casuale, sono il filo che si dipana per lunghi secoli e ci riporta a gloriose pagine di storia, che hanno visto Salento e Albania impegnate su uno stesso fronte.
Un piccolo cimelio. Un sorprendente potere evocativo. Una storia tutta da riscoprire.
Quell’aquila ci porta a spiccare un volo lontano. Nel tempo e nello spazio. Rappresenta lo stemma della nobile famiglia Scanderbeg, il valoroso condottiero albanese, strenuo difensore della sua patria. Baluardo della Cristianità e dell’Occidente.
Non a caso, è solo nel 1480, dopo la sua morte, che la presa di Otranto diventa possibile, da parte delle forze turche di Maometto II. E la minaccia per Roma si avverte più stringente.
I due reperti sono emersi, insieme ad una quantità di altri frammenti di epoche differenti, durante i lavori di scavo effettuati qualche anno fa nel giardino retrostante un prestigioso palazzo gentilizio, nel centro di Gagliano del Capo.
Gagliano è la cittadina più a sud-est della provincia di Lecce, adagiata a circa 167 metri di altezza sulle ultime propaggini delle Serre Salentine, affacciata con ampie vedute sull’ Adriatico. Di fronte ai monti dell’Epiro.
Quel giardino si è poi rivelato essere un antico fossato. Il sito del palazzo gentilizio quello dell’antico castello di Gagliano. Quei cocci la testimonianza di chi quel fortilizio ha abitato e vissuto.
E il filo della storia ci riconduce ad Andronica Arianiti Comneno, vedova dell’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scanderbeg.
Il 1° aprile 1498, il re di Napoli, Federico d’Aragona, le assegna Gagliano in qualità di feudo nobile, “ jn testimonium nostre huius gratitudinis “, come recita il testo dell’atto di donazione, redatto nel Castelnovo di Napoli, e di cui si conserva un estratto.
Alla morte del marito (1468), caduta Kruja in mano turca, Andronica si rifugia in Italia insieme al figlio Giovanni, appena tredicenne. Accolta dalla corte di Napoli, vive nel palazzo reale dove stringe un forte e duraturo legame di amicizia con la regina Giovanna III.
E’ il figlio Giovanni ad ereditare il feudo di Gagliano, già titolare del Ducato di Galatina e della Contea di Soleto, permutati nel 1485 con i feudi di Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo, nel Gargano, concessi a suo tempo (1466) al padre Giorgio da Ferrante, re di Napoli.
Alleato della Corona d’Aragona, Giorgio non aveva fatto mancare il suo sostegno a Ferrante, sotto attacco delle armate dei baroni ribelli (la così detta “Congiura dei baroni”) e delle truppe francesi dei D’Angiò,
intenzionati a rivendicare il regno meridionale. Il suo sbarco in Puglia (agosto 1461) consentì di rovesciare le sorti dello scontro (assedio di Barletta), rivelandosi risolutivo per l’esito favorevole alla casa regnante.
Il castello di Gagliano si ergeva in posizione dominante e centrale, in adiacenza ad altre strutture del potere civile e religioso, a cui faceva riferimento la vita della comunità. Per rinforzarne la difesa, si avvaleva del tipico fossato e delle mura che cingevano il borgo.
Dalle successive ricostruzioni, è stato possibile localizzare nella medesima area una torre di vedetta, la torre campanaria, l’antica chiesa parrocchiale, mentre l’attuale, costruita nel 1574, è posizionata a lato, quasi addossata all’antico maniero.
Oggi, dell’antico castello non resta che la memoria, e qualche piccola parte inglobata soprattutto nelle strutture murarie dell’odierno palazzo Ciardo, attualmente oratorio parrocchiale, sorto sulle sue rovine, in parte demolite, in parte trasformate e riutilizzate. Si possono ancora osservare un vecchio torrione, con relativa cannoniera, una feritoia, residue parti murarie.
Tra i discendenti del ramo baronale di Gagliano, si distingue in particolare Giovanni (1551 – 1621), che ebbe anche la baronia dei limitrofi casali di Arigliano e Salignano.
Viene ricordato per la sua partecipazione alla battaglia di Lepanto che, il 7 ottobre 1571, vide lo scontro tra le flotte navali turche e quelle cristiane, con una memorabile vittoria riportata da queste ultime, arrestando in maniera più o meno definitiva l’incubo della minaccia mussulmana per l’ Occidente.
La vittoria fu attribuita dalla Cristianità all’intervento della Vergine del Rosario e, nella costruzione della nuova chiesa matrice di Gagliano, trovò posto l’altare dedicato alla Vergine, il cui culto è da allora storicamente affermato e praticato, anche con la costituzione di una Confraternita dedicata alla Vergine, tuttora molto attiva.
A ricordo dell’evento, Giovanni Scanderbeg volle innalzare una Croce Petrina nello spazio antistante il celeberrimo Santuario della Vergine di Leuca, o “De Finibus Terrae”, frequentatissima meta di pellegrinaggio.
In Gagliano, favorì la venuta dei padri minimi e il culto di San Francesco da Paola, nella cui chiesa restano custodite alcune tombe della famiglia Scanderbeg.
La strada prospiciente la chiesa parrocchiale e l’attuale palazzo Ciardo, sito dell’ antico castello baronale, oggi è “Via Giorgio Castriota Scanderbeg”, intitolata all’eroe albanese, in occasione del 550° della morte, il 7 agosto 2018, con una solenne cerimonia ufficiale che ha visto presenti importanti delegazioni e autorità delle due nazionalità, tra cui il sindaco della città di Valona, dott. Dritan Leli.
Un particolare ringraziamento voglio formulare agli appassionati studiosi del mio paese, che con tanto impegno e dedizione hanno fortemente contribuito allo studio, la ricerca, la diffusione delle importanti conoscenze della nostra realtà storica, in particolare il prof. Francesco Fersini e il dott. Mauro Ciardo.
Gagliano è anche il Comune che comprende la piccola frazione di San Dana, il piccolo paese salentino dedicato al Santo di Valona, di cui porta anche il nome. Un santo martire dei primi secoli dell’era cristiana. E questa è un’altra storia, lunga di oltre un millennio.
Storie che fanno riscoprire una particolare vicinanza tra Salento e Albania, sempre esistita, molto più di quanto le bianche cime che ci appaiono nelle giornate più belle ci facciano supporre.
Antonio Biasco