L’ultima chiamata alle urne ha riscontrato appena il 15% di presenze, sintomo che il sistema ha bisogno di cambiare.
Di Marsela Koçi
Gli ultimi 30 anni di politica albanese sono stati segnati dalla “guerra ai poveri”, dalla partenza dei giovani che ha svuotato il Paese delle sue intelligenze, dalla marjuana, degli aerei anonimi pieni di cocaina, che è coinvolta in ogni faccenda e che ha spogliato totalmente delle ricchezze naturali e bancarie l’Albania.
La diaspora albanese si è sempre battuta in prima linea per la questione albanese nei secoli, con enormi contributi per l’indipendenza di una nazione che ha dovuto sempre lottare e combattere contro nemici esterni desiderosi di invaderla, dai tempi dei romani, agli ottomani e fino alla seconda guerra mondiale, senza dimenticare la terribile guerra dei Balcani che finì con l’indipendenza del Nord Albania, il Kosovo.
Ma questa è un’altra storia. Segnata per secoli da guerre, ha dovuto autodifendersi per l’integrità del suo territorio e l’indipendenza. L’Albania ha sempre trovato in se stessa la forza di riunirsi e combattere contro chi la voleva divisa, sin dal 1913, quando con il Piano Marshall l’Europa le ha voluto tarpare le ali. Oggi in quell’Europa vivono migliaia di cittadini albanesi che, come allora, sarebbero pronti a dare la vita per la loro Nazione. Tuttavia, oggi il nemico sembra piuttosto provenire dall’interno dello stato stesso.
Gli albanesi sono abituati alla paura e a sottostare a regole imposte dall’alto; oggi, tuttavia, sanno che il mondo oltre i loro confini è grande, e questo ha aperto loro gli occhi. Si sono resi conto che quello che, fino a 50 anni fa, era dipinto come il mostro estraneo allo stato, è rappresentato in realtà da tutti quei concittadini avidi di potere e denaro, che non hanno mai voluto lasciare libera l’Albania.
“Siamo destinati a soffrire dalle nostre stesse ricchezze, la nostra ricchezza e la nostra maledizione”, sostiene uno dei massimi autori Uruguayani e latini, Eduardo Galeano, nel suo libro “Le vene aperte dell’America Latina”. Sistematicamente si è continuato per anni ad allontanare dal paese migliaia di giovani e intellettuali albanesi: in democrazia non li si può annientare fisicamente, ma li si può allontanare dalla loro terra, creando una ristretta élite ed accentrando nelle sue mani l’intero potere.
Nel frattempo gli scenari politici sono cambiati: il Kosovo, ala a nord dell’Albania, è diventato indipendente, i giovani albanesi emigrati all’estero sono divenuti uomini e donne coscienti della loro appartenenza e storia, pronti a tornare nel paese che ha dato loro i natali, che loro mantengono sempre nel cuore, stanchi di vedere sempre le stesse facce e gli stessi nomi al potere.
A fine giugno, gli albanesi sono stati chiamati alle urne. Si è presentato nemmeno il 15% di loro, tutti, probabilmente, impiegati del partiti e membri dell’amministrazione. E’ stata l’opposizione stessa che, paradossalmente ed immotivatamente, ha chiesto ai suoi simpatizzanti di non aderire al voto. Perché dunque rinunciare a poter cambiare le cose, quando si hanno tutti gli strumenti per farlo?
C’è da specificare, in ultima istanza, che tuttora all’Albania non mancano professionisti formati, intelligenze che sono arrivate lontano in tutto l’Occidente, giovani ed intellettuali che non vedono l’ora di far ritorno nel loro paese e contribuire al suo sviluppo, organizzatori perfetti di un sistema che sente di dover cambiare. L’importante è continuare a credere che un’alternativa c’è e ci sarà sempre per le future generazioni.