Di Anna Lattanzi
Nasce in quel di Tirana Bashkim Shehu, in una calda giornata giugnina del 1955. Tra il 1975 e il 1980, studia Arti Liberali presso l’Università di Tirana. È un momento di grande serenità per la sua famiglia: suo padre Mehmet Shehu è nelle grazie di Enver Hoxha, in quanto Primo Ministro d’Albania e tra i favoriti alla successione. Il giovane Bashkim gode di riflesso di tali simpatie, tanto da poter attingere alle opere letterarie proibite e bandite dal regime. Da questa esperienza nasce la sua passione per la scrittura. Nel 1977 pubblica il suo primo libro, mentre lavora come sceneggiatore presso il Kinostudio Shqiperia e Re (Il Centro Nazionale di Cinematografia in Albania), dove opera fino al 1981.
In quello stesso anno, suo padre cade in disgrazia, vittima della paranoia del dittatore comunista. È accusato di essere uno dei peggiori traditori della Patria e il suo corpo senza vita viene ritrovato il 17 Dicembre del 1981, mentre la sua famiglia è ormai rinchiusa in carcere.
Ufficialmente, il Primo Ministro Shehu, diplomatico ed esperto di tecniche militari, si è suicidato: in realtà, restano insistenti le voci che sia stato ammazzato su ordine di Hoxha o indotto al suicidio. La condanna che ricade su Bashkim è pesantissima: dieci anni di carcere per lui, con l’accusa di aver fatto propaganda sovversiva. Mentre è rinchiuso nella prigione di Spaç, gli giunge notizia della riduzione della pena, anche se, in seguito, non gli vengonorisparmiati gli arresti domiciliari.
Bashkim torna alla sua condizione di uomo libero, solo con la caduta del regime, nel 1991. Così, può riprendere a lavorare per Kinostudio (oggi Albfilm), dove rimane fino al 1993, quando si trasferisce in Ungheria per intraprendere gli studi di sociologia presso l’Università di Budapest. Diventa, pertanto, Osservatore per la Federazione Internazionale di Helsinki per i diritti umani e al suo rientro a Tirana, si rende conto che ormai l’Albania è in piena guerra civile. Nel 1997 si autoesilia, stabilendosi a Barcellona, dove risiede tutt’ora. La sua esperienza lavorativa come consulente del Centre de Cultura Contemporània de Barcelona dura circa dieci anni, fino a quando Bashkim non decide di essere scrittore freelance. È anche traduttore dal francese, dall’inglese e dallo spagnolo all’albanese. Una vita controversa quella di Shehu e dellasua famiglia, tanto che Ismail Kadare ne trae ispirazione per il suo Il successore.
Kadare è uno scrittore di rilevante importanza per Shehu, che annovera come maestro e amico e al quale deve il suo stile iniziale, sia per l’alta considerazione che ha dell’autore, che della sua capacità di raggirare le attenzioni del regime attraverso la scrittura. In un’intervista rilasciata a Mangialibri, Bashkim non si risparmia quando parla dell’esperienza in prigione, dove le letture e la letteratura si rivelano salvifiche. Racconta di essersi sentito molto più libero di scrivere in carcere, che fuori, perché “fuori, prima o poi cedevi alla tentazione di essere pubblicato, dovevi affrontare la censura e questo faceva scattare una sorta di istinto all’autocenura”. In carcere, la cosa più importante è non scrivere palesemente contro il regime e fare in modo che le guardie non capiscano il reale contenuto degli scritti.
Bashkim ritiene di fare della buona letteratura in questo periodo, libera da ogni sorta di autocensura estetica, diretta a pochi amici. Lo definisce un momento di transizione, che gli permette di costruire il suo personale stile narrativo. E fa bene Bashkim a specificare di come, ormai, non deve più la sua forma narrativa a nessuno. Nelle sue ultime opere, l’autore albanese libera il suo stile da ogni singola e piccola costrizione, rendendolo sinuoso, agile e gentile, senza trascurarne l’eleganza. La penna corre sciolta tra i righi, non teme di raccontare e di far narrare le storie, nude e crude. Non deve più nascondersi Shehu e si vede.
Le ombre. Racconti albanesi
Una forma stilistica, ancora palesemente sotto costrizione, si intravede in Le ombre. Racconti albanesi, la pubblicazione italiana di Bashkim Shehu, la cui prima edizione risale al 1993 a cura della casa editrice Manifestolibri. Un’antologia di racconti scritti durante la detenzione carceraria, in cui fantasia, surrealismo e verità, si alternano e a volte si confondono, con il solo scopo di narrare la Storia dell’Albania a noi più vicina e della difficile e tragica situazione politica che l’ha
riguardata per anni. Una narrazione che spesso si veste di drammaticità, in un libro che se letto oggi, con una cognizione di causa differente circa la situazione albanese, offre seri e importanti spunti di riflessione. Shehu racconta dei fantasmi dell’Albania, delle sue tragedie, delle sue paure e lo fa attraverso le vicende e i personaggi che animano la raccolta, consegnando una lettura scarna, ma curiosa. Certo, che la forma e la scrittura non sono paragonabili a quelle di Shehu dell’oggi, ma rimangono il frutto di una necessità e di uno stato d’animo, che pur con tutta l’accortezza possibile, si vestono di coraggio. Per questo, ritroviamo uno stile asciutto e povero, una scrittura semplice, non banale, ma incapace di trasudare emotività alcuna. Sono racconti che mettono in luce vicende socio-politiche che, in qualche modo, rimangono alla base della situazione transitoria che il Paese delle Aquile ancora oggi vive. La morsa della transizione, dalla quale proprio non riesce a liberarsi, è descritta in questo Le ombre, nonostante i tempi fossero diversi, le condizioni drammatiche e la speranza latente.
La rivincita
Protagonista di questo La rivincita pubblicato da Rubettino Editore nel 2019, vincitore del Premio Balcanika 2015 in Albania e menzionato dalla giuria al Premio Méditerranée Èntrager 2018, è Aleks Krasta, condannato e incarcerato dal regime senza saperne le reali motivazioni. Con lui c’è un amico, narratore per una buona parte del romanzo, che raccoglie tutte le informazioni sulla sua vita, con l’intento di scrivere una biografia. Il protagonista desidera raccontare quanto gli sta capitando, la negazione della libertà che gli viene quotidianamente inflitta, affinché possa lasciare una testimonianza ai posteri di tanta crudeltà subita. L’uomo sente la propria dignità calpestata, sente venir meno il principio del rispetto della persona umana e tutto diventa evanescente, anche il suo bene più prezioso, anche la donna amata. Allora, diventa tangibile solo la propria interiorità e quello che succede in quel vortice costruito dalle emozioni. Prova un’infinità di sensazioni Aleks e desidera ardentemente rivendicare e vendicare quanto gli viene tolto. Lo farà? O sarà rispettoso dei diritti e dei principi umani e rinuncerà? In questa seconda pubblicazione italiana, Shehu affronta lo scottante tema della situazione politica albanese, sviluppando, anche, altre argomentazioni importanti, come quelle religiose. Il clero e in particolare i francescani subiscono violentemente la proibizione del culto e Dio diventa il sostituto giusto e unico, che dona loro la forza per continuare a credere che le cose cambieranno. Un libro corposo questo La rivincita, in cui si ritrova una penna magistrale, a tratti kafkiana, che dona al romanzo la giusta scorrevolezza, mantenendo un inequivocabile spessore.
Un racconto che dona voce a più personaggi e animato da più voci narranti. Secondo il parere espresso dallo studioso Matteo Mandalà, leggendo il libro in lingua originale, si nota come Shehu sia stato capace di rompere gli schemi predefiniti della sintassi, dando alla scrittura albanese un aspetto nuovo e rivoluzionario. Per la stesura del romanzo, Shehu si ispira a due libri: Il sangue di Abele. Vivi per testimoniare, il diario di Padre Zef Pilumi, che descrive la vita nelle prigioni comuniste della dittatura e Nocturno de Chile di Roberto Bolano. Quest’ultimo vede protagonista Sebastian Urritia Lacroix, prete cileno e membro dell’Opus Dei , che racconta, durante una notte insonne e tragica, ben cinquant’anni della sua esistenza e della vita del suo Paese. Una narrazione drammatica, durante la quale ogni maschera viene calata.
È qui che entra in gioco la novità stilistica proposta da Shehu: riportare i fatti di questi libri e le emozioni vissute dai personaggi in maniera diversa, vivida e innovativa. Ne La rivincita, lo scrittore albanese racconta un mondo che egli stesso ha vissuto, fatto di carcere e privazioni, ma anche di buona letteratura e libertà. Non ha intenzionalmente inserito i riferimenti personali, ma la scrittura, divenuta evocativa e matura, inevitabilmente riporta i suoi ricordi. Giustizia è la parola d’ordine del romanzo. Giustizia è il filo conduttore del racconto e il concetto a cui riconducono le parole delle voci narranti. Una lettura che di semplicistico non ha nulla, godibile al tempo stesso, che offre un disegno del carcere secondo il vissuto e le rimembranze e che consegna la figura di uno scrittore capace, dall’inconfondibile bella penna.