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Visar Zhiti, quando il dolore ti guarda negli occhi

Spesso, mi avvicino a libri o articoli che narrano di drammi, che raccontano di sofferenze, di potenti realtà distruttive, di esperienze dolorose. Devo ammettere di non apprezzare gli autori che scrivono di vicende sofferte, schiaffeggiando il lettore. Penso, si possano rievocare angosce, strazi e tormenti, senza creare disagi e inquietudini in chi legge, facendo, comunque, arrivare il giusto messaggio. Quest’ultima rimane una capacità di pochi.

“È che la poesia fa paura ai regimi autoritari e dittatoriali anche se parla soltanto, come nel caso di Zhiti, di rose”

Rapsodia della vita delle rose: così si intitola la prima raccolta di poesie che Visar Zhiti, poeta albanese, compone quando è poco più che ventenne. Facciamo, però, un passo indietro. La mia introduzione a questo pezzo narra di sofferenza, la citazione che ho inserito è tratta da un articolo a cura di Umberto Eco, pubblicato nel 2020 per La Repubblica. Da tempo leggo di Zhiti, della sua carcerazione, della sua dolorosa sopravvivenza alla prigione comunista. So che vive a Chicago e conto di chiedergli un’intervista telefonica, consapevole che il racconto di una vita come questa, andrebbe ascoltato guardando negli occhi il protagonista. In un’anonima mattina di settembre, Visar mi invia un messaggio, (siamo già in contatto per via della pubblicazione di un suo libro), in cui mi dice che si sente più vicino alla Puglia, essendo a Tirana. Naturalmente, visto il mio viaggio imminente nella capitale albanese, gli chiedo un appuntamento, che mi accorda subito, con la disponibilità che lo contraddistingue. Nel momento in cui mi arriva il suo assenso, so già che sarà un confronto che non dimenticherò mai.

Incontro Visar allo Juvenilja Castle, un posto grazioso, che sembra essere un po’ fuori dal mondo. Ed è qui che scambio il primo sguardo con l’uomo. Vedo un’espressione difficile da descrivere; forse, è più facile raccontare di quello che mi ha trasmesso. Accoglienza, dolore, caparbietà, resilienza, rassegnazione e luce, comunque luce e sempre luce. In ogni minuto di conversazione, in ogni parola detta, quella luce non si è mai spenta. Una fiammella che identifico con la parola speranza, che Visar riassume in un’emblematica e semplice frase:

“Sai, è una questione di coscienza”

Ha ventisei anni quando viene ammanettato e arrestato.

“Da sette anni Visar Zhiti propone per la pubblicazione il suo libro. Questo ha costituito un grave problema per la redazione di poesie della casa editrice “Naim Frashëri”. Persino dopo il 4° Plenum del Comitato Centrale, questo letterato ha continuato consapevolmente a seguire le orme di una poesia estranea per la nostra società e piena di idee politiche sbagliate, con concetti decadenti o “di sinistra”…”

Sono le parole che compongono un estratto dell’atto di accusa sottoscritto da due degli intellettuali del regime, (di cui mi riservo di parlare approfonditamente in un’altra occasione), che porta dritto Visar alla prigione. Condannato a dieci anni di reclusione, conosce il duro lavoro nelle miniere di rame, dove…

“Scrivevo poesie nella mia mente. Non avevo carta e penna, ma la poesia mi ha salvato, per non impazzire, scrivevo al buio, lì nella mente”

Quando finalmente il carcere duro finisce, non viene riabilitato al suo ruolo di insegnante, andando a lavorare in una fabbrica di mattoni. Con la caduta del regime, inizia il riscatto del poeta, con la sua esperienza milanese e poi il suo viaggio in Germania. Finalmente, può mettere nero su bianco le sue poesie di grande potenza evocativa e di disarmante limpidezza. Visar è l’emblema della tragedia che ha colpito i poeti albanesi durante il paranoico regime di Enver Hoxha, valutati, accusati e portati in Tribunale da chi faceva della penna, cultura.

“Sai, è una questione di coscienza. Io incontro ancora questi poeti e scrittori servitori del regime, perché loro erano il regime e si giustificano, dicendo che, infondo, non hanno fatto niente.”

Forse non potevano fare altrimenti? Forse non hanno avuto il coraggio di dire di no? Probabilmente bisogna trovarsi in alcune situazioni? Non lo so, Visar, io ho avuto la fortuna di nascere in un Paese libero o quanto meno, in un’epoca in cui il totalitarismo era ormai terminato da tempo.

“Fai bene a non giudicare, nemmeno io giudico o voglio, oggi, condannare queste persone, ma dico sempre che è una questione di coscienza. Almeno, chiedere scusa! Almeno quello. Invece ti dicono che erano inconsapevoli, che non erano informati. Non è possibile, perché compilavano un modulo con una dicitura ben precisa. Insomma, perché il Ministero dell’Interno avrebbe mai dovuto chiedere la valutazione delle poesie? Potevano tirarsi indietro, sarebbero stati segnalati, esattamente come lo sono stato io, quando ho rifiutato di far parte della Sigurimi”

Effettivamente, l’introduzione alla Perizia sulla creatività poetica di Visar Zhiti recita così:

“Noi R.V. e P.K. membri della Lega degli Scrittori e degli Artisti e redattori della redazione di poesie della casa editrice “Naim Frashëri”, su richiesta degli organi degli Affari Interni di Tirana, abbiamo esaminato la creatività poetica dell’autore Visar Zhiti”.

Hai avuto paura?

“Certo che ho avuto paura. Non è umano tutto questo, non appartiene all’uomo”.

Visar Zhiti accusato di aver scritto poesie tristi ed ermetiche e per questo ostili al regime, è il poeta incolpato di propaganda contro la dittatura, che ha respirato profondamente la crudeltà del governo totalitario, fatta di incresciosa pesantezza. Oggi è un ex diplomatico e come lui stesso afferma, ha dato tutto quello che poteva al suo Paese. Quello che più conta, è che quelle poesie non sono più nascoste nel materasso di una cella o scritte sulle pentole della cucina carceraria, ma sono nero su bianco, pronte a raccontare e a lasciare una profonda testimonianza di una vita e di un’epoca.

Quando il dolore ti guarda negli occhi. Il bagaglio di conoscenza, esperienza, sofferenza, incredulità, forza, ragione e vita che mi ha lasciato l’incontro con Visar Zhiti, non avrebbe mai potuto lasciarmelo alcun testo, mai alcun articolo, mai alcuna poesia. Con questo, non voglio sminuire la potenza della scrittura, che a mio avviso è unica, ma valorizzare la profondità, il vigore e la necessità del racconto, quello a voce, condito di quelle emozioni uniche, che solo lo sguardo può dare.

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