Di Geri Ballo
Le due delegazioni discuteranno la proposta depositata da parte dell’Italia. Il senatore Nannicini, a capo della delegazione italiana, si dice fiducioso di chiudere l’iter entro fine anno.
Quello delle pensioni è certamente l’argomento che più sta a cuore agli albanesi d’Italia e a un numero crescente di italiani nel Paese della Aquile. Su Albania News ci siamo occupati spesso di questo tema, seguendone l’evoluzione, le battaglie della comunità e l’impegno politico messo in campo dal senatore Tommaso Nannicini, culminato quest’anno con un fondo dedicato all’accordo che – grazie a un suo emendamento – è stato inserito nel Bilancio dello Stato italiano. Da qui la corsa a discutere, approvare e ratificare l’accordo pensionistico tra le due parti perché possa entrare in vigore dal 2023, riconoscendo finalmente un diritto negato a lungo agli italo-albanesi.
La buona notizia di oggi è che l’Italia ha fatto la sua parte, preparando la bozza di accordo, che è già stata trasmessa alla controparte albanese, e concordando le date del 25 e 26 luglio per il primo round di negoziati. A tirare le fila ancora una volta c’è Tommaso Nannicini, che presiede la delegazione italiana competente per l’accordo, composta da funzionari del Ministero del Lavoro, dell’Inps e del Ministero per gli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Lui si dichiara “fiducioso di chiudere la partita entro fine anno, in questo è fondamentale il lavoro sinergico con l’Albania sia per gli aspetti tecnici che per la velocità dei passaggi istituzionali”.
Fin qui l’ultima novità di un cammino che è tutt’altro che concluso. Ma mentre esso va avanti credo valga la pena soffermarci su un aspetto di forte rilevanza per la comunità albanese d’Italia. Che Nannicini, in team con il capo della sua segreteria tecnica Giovanni Lattanzi, sia il deus ex macchina dell’operazione politico-istituzionale che sta trasformando in realtà l’accordo è un dato di fatto. Abbiamo imparato a capirlo con il passare dei molti mesi di lavoro che hanno portato all’apertura dei negoziati. L’aspetto che mi preme sottolineare qui è però l’impulso alla base del suo impegno. L’impulso siamo noi, è la richiesta diretta e persistente pervenutagli dalla nostra comunità.
Vale la pena soffermarcisi perché è la prima volta dall’inizio della migrazione più recente dall’Albania verso l’Italia che un pressante bisogno sociale dell’intera comunità viene preso in carico da un parlamentare e trattato allo stesso modo di un bisogno espresso da autoctoni, riconoscendone piena dignità e considerazione socio-politica. È un traguardo importante degli albanesi d’Italia di cui ci renderemo conto appieno con il passare del tempo. Come lo stesso Nannicini ha affermato a marzo di quest’anno, in occasione del suo primo incontro con il Primo Ministro albanese Edi Rama che gli chiedeva il perché di tanta dedizione verso questa causa, “ho deciso di dedicarci il massimo impegno perché ho ascoltato le storie di tanti suoi connazionali che vivono in Italia e non potevo più voltarmi dall’altra parte”.
Per completare il panorama è importante menzionare anche la dichiarazione di sostegno espressa dai responsabili confederali per le pensioni di CGIL, CISL e UIL, anche questo un risultato non secondario tenendo conto del fatto che i cittadini albanesi non sono certo gli unici ad attendere l’accordo pensionistico con l’Italia. Così come non bisogna dimenticare le mobilitazioni dei diretti interessati, che hanno organizzato manifestazioni a Tirana e una anche a Roma. Al netto di diversi problemi organizzativi e di coordinamento, dissidi interni evitabili e comprensibili desideri di rivendicare il risultato ottenuto, la società civile italo-albanese sta mostrando evidenti segni di maturazione.
In molti mi hanno scritto lamentandosi del fatto che le firme raccolte con la petizione che chiede l’accordo siano state solo 12mila a fronte di una comunità che conta più di 600mila residenti in Italia, ma è del tutto irrealistico pensare che il seme della mobilitazione sociale per il miglioramento delle condizioni di vita e la rivendicazione di diritti non abbia bisogno di tempo e di un milieu favorevole per attecchire e svilupparsi. Nel caso della nostra comunità un passato di privazione del diritto di espressione del libero pensiero, e perfino del diritto di rivendicare diritti, ha inciso fortemente sulle coscienze dei singoli e della collettività. E le successive forti difficoltà dell’immigrazione non hanno certamente aiutato. Ma il seme, pur tra mille asperità, è comunque cresciuto e ora stiamo iniziando a coglierne i primi frutti.
Come dicevo non siamo ancora arrivati a destinazione. Ma siamo sempre più forti e coscienti della nostra forza lungo il cammino. Questo è in sé un traguardo da non disperdere.