di Stefania Romito*
Talvolta un’esperienza immersiva tra le pagine di un libro può avere un potente effetto esplicativo. Le afflizioni di un’esistenza ingabbiata dalle crisi di un’attualità si riflette nelle pagine graffianti di Nottambuli a cena (edito da Les Flaneurs Edizioni), ultimo romanzo di Otello Marcacci, in cui la tragicità del reale acquisisce un’intensità emozionale di raffinata empatia.
Soltanto uno scrittore come Otello Marcacci, affascinante espressione della toscanità, poteva dar vita a un romanzo dall’esplosiva carica umana in cui la drammaticità dell’essere viene dipinta mediante la geniale irriverenza dell’ironia, con un sarcasmo che non è mai cinismo ma sempre profondità di pensiero.
L’imprenditore Luca Migliorini, il protagonista di Nottambuli a cena, conquista per la sua straordinaria abilità di introspezione tra le pieghe psicologiche della sua esistenza. Un uomo in cui il senso di responsabilità non è un valore acquisito bensì congenito che sovrasta ogni istinto di salvaguardia personale. Disposto a tutto, anche all’estremo gesto pur di ottemperare ai doveri economici nei confronti dei suoi dipendenti. Ma se da un lato disarma per l’incisività del perseguimento dell’obiettivo autodistruttivo, dall’altro incanta con l’immensità interpretativa delle più nobili espressioni umane. La creatività e il genio affascinano la sua personalità che si riflette nello specchio del doppio. Ma è proprio la compresenza di elementi contrapposti a renderlo verosimilmente reale e sublime manifestazione della crisi del nostro tempo.
Anche in questo romanzo vengono posti in essere quelli che sono i fondamenti peculiari dell’autore, già vissuti in altri suoi brillanti lavori letterari tra cui Il ritmo del silenzio, Gobbi come i Pirenei, Sfida all’OK Dakar e Tempi supplementari. L’amicizia che conosce il tradimento, il tempo che si infinita nella memoria e la vita che rinviene il suo valore nobilitante nel senso di morte.
L’efficace scrittura di Otello Marcacci ha una esclusiva potenzialità di raffigurazione sia nell’espressione gergale, contraddistinta da uno spiccato pragmatismo ironico distintivo del territorio maremmano in cui è calato il romanzo, sia nelle riflessioni metafisiche che custodiscono un pregnante significato escatologico. Un linguaggio narrativo che ben si abbina alla particolare struttura del romanzo dove il tempo scandisce situazioni e accadimenti nel travolgente ritmo delle emozioni. Un ambito narrativo solo in apparenza iperrealista in cui le numerose storie narrate racchiudono l’acme di una umanità inadeguata nella piena consapevolezza che è proprio l’imperfezione a renderci straordinariamente “umani”.
Inquietudine, disorientamento, precarietà esistenziale. Sentimenti che fanno di “Nottamboli a cena” un dipinto letterario nel quale si assaporano le paralizzanti atmosfere dei quadri di Edward Hopper in cui a dominare è sempre una scintillante ipocondria. Come i personaggi di Hopper, anche quelli di Nottambuli a cena rimangono intrappolati nei loro ingabbianti ruoli esistenziali. Ma un evento improvviso accenderà in Luca la luce della speranza attraverso la solidarietà verso un figlio e un padre che ignora di essere tale. Un incarico che avrà per lui un salvifico effetto di redenzione in grado di interrompere lo straziante scandire del tempo verso l’oscurità della notte eterna.
“Ho preso tempo, anzi ho provato a fermarlo, ma si è spostato solo un po’, anche se esserci riuscito mi ha reso orgoglioso. La felicità può essere la somma di piccoli istanti di leggero sollievo“. Parole che rimandano a quelle pronunciate da Totò, eccezionale interprete di una drammaticità colorata di umorismo: “La felicità è fatta di attimi di dimenticanza”. Ed è proprio questo che ci vuole ricordare Otello Marcacci nel suo esperienziale romanzo. La “dimenticanza” può essere generata dall’ironia, l’unica in grado di trasformare quel “vizio assurdo” pavesiano in vizio di vivere.
*giornalista e scrittrice