Di Pierfranco Bruni
Bisogna sapersi guardare oltre lo specchio per specchiarsi realmente con gli occhi.
Ogni tanto bisogna riconciliarsi con la vita, e chi fa il mio mestiere di vita nella scrittura e di scrivere nella vita per vocazione e destino, i conti vanno fatti con tantissima umiltà sia con le arti e soprattutto con la letteratura e la filosofia. Questo può avvenire all’improvviso. Ti svegli un bel giorno e ti chiedi, come uomo, che cosa non ho veramente capito nei miei anni e nel mio viaggio che è fenomenologico ed esistenziale tout court. Comprendi cosi che la vita stessa va spesa con amore senza mai commerciale e senza mai idolatrare nulla.
Siamo figli del sacro che rivoluziona. Comprendi così come scrittore che anche in letteratura si commettono dei refusi che per motivazioni ineluttabili non di è riusciti a correggere o a non capire e poi basta uno sguardo ultimativo per entrare nel cuore delle tentazioni. Detestavo Hegel e su Hegel sono scivolato benignamente addirittura andandoci a cena, grazie ad una mia amica cara che mi ha “ordinato” di scrivere un libro su di esso. Io che cedo felicissimimamente a questo fascino sto scrivendo un libro che mai mi sarei immaginato di pensare di scrivere o addirittura di accostarmi con armonia al filosofo dell’estetica dell’arte e del pensiero.
Così è avvenuto in letteratura con Pier Paolo Pasolini. L’ho sempre trattato in vari scritti tra il bene e il male e al di là del bene e del male. Alberto Bevilacqua, mio amico sincero da vita e da morto, mi ha ricondotto sulla strada di Pasolini, del Pasolini religioso che si guarda, si osserva e si vede nello specchio della madre. Quella madre pasoliniana, in un tempo radicato in Pascoli sul quale devo tanto ad una compagna, di appuntamenti con incontri, dolcissima, che non è soltanto la “supplica” è il centro del tempo anche di mia madre e delle madri che si racchiudono silenziose nel figlio e quel figlio, che potrei essere io, porta dentro di sé il ricordare come memoria ma soprattutto come porre al centro ciò che non conosce oblio, ovvero proprio la madre. E la madre è una vera e propria fenomenologia dello spirito che si estrae dall’apparenza e dell’apparire per farsi mai storia ma tempo e ragione.
Per chi scrive e fa il mio “mestiere” ogni tanto deve allontanarsi, distanziarsi, separarsi dal proprio modello di criticità e tentare di fare del linguaggio la vita, non una vita (credo che Ludwig Wittgenstein e Merlau Ponty avessero riflettuto abbastanza su ciò). Riconciliarsi con la vita non è un altro discorso separato, almeno per me, da ciò detto prima. L’intreccio tra Agostino e San Paolo sono il mio viatico non tra esistenza e teologia o cristianità ma la percezione vera che entra in quel cammino che ci dice che la verità non è mai una certezza e che se il certo resta la verità è mutabile. Ovvero ogni empirismo ha la sua verità che il cuore riesce a catturare in una transizione appunto di tempo e di epoche.
È pur certo che tutto ciò che ho vissuto è un vissuto abbastanza che mi fa dire che tutto ciò che attraverso e vedo l’ho già attraversato e già visto. Così entro nel mito di Leucò. Nella vita gli dei dialogano sempre con Dio. Questo dialogare è una riconciliazione sacra, immanente, ontologica ma anche profondamente sciamanica e nella mia storia non si scinde lo Sciamano da Dio.
Bisogna dunque riconciliarsi dopo essersi testimoniati perché chi non vive intensamente con amore, passione, coraggio, coerenza, etico sentire non ha nulla da poter testimoniare sul piano testamentario. Ebbene sì. Riconciliare. Ma riconciliarsi non è assolutamente ricredersi. È osservare dall’altra parte dello specchio. Non so se tutto possa essere relativo o assoluto ma è chiaro che non bisogna impegnarsi spiritualmente con voluttà e potenza con entrambi i sentieri.
Hegel è la vita e la filosofia con i suoi riti e Nietzsche lo aveva capito benissimo. Pasolini è nella sua contraddizione un profeta che altri hanno omologato nella leggerezza della cultura o di chi considera che con leggerezza si salva il pensiero. Il pensiero è Parmenide ancora in felice e lucida solitudine vivente nella caverna di Platone. Il pensiero è l’ironia di Eraclito che insegna che senza Oriente non può esistere Occidente. Meglio sarebbe dire che se la filosofia conosce l’occhiale dell’Occidente le sue origini radici sono sul davanzale di quell’Oriente spirituale, magico e alchemico che Pitagora e Maria Zambrano conoscevano bene.
Un tempo interminabile è il riconciliarsi. Con se stessi e con ciò che ha attraversato, sfiorato, abitato. Le confusione sono sempre a portata di vento e i conflitti sono mani che non si vogliono tendere tra l’altro e la storia, tra il vissuto e il presente. Riconciliarsi è un atto d’amore ma anche di consapevolezza e ragione . Non siamo in un fatto epistemologico. Siamo nella vita. Riconciliarsi è un atto d’amore ma anche di consapevolezza .