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Dietro la Serbia c’è Putin e qui si rischia la guerra, spiega il premier kosovaro Kurti

Linkiesta 

«Convertire le targhe introdotte da Milosevic è una decisione del mio governo. Hanno due mesi di tempo. Lo stesso vale per i documenti», dice. «Siamo una democrazia che confina con un’autocrazia. Prima dell’invasione dell’Ucraina le possibilità erano poche, ora la situazione è cambiata»

«Il rischio che scoppi un nuovo conflitto tra Kosovo e Serbia è alto. Sarei un irresponsabile se dicessi il contrario, soprattutto dopo che il mondo ha visto cosa ha fatto la Russia con l’Ucraina». Il premier kosovaro Albin Kurti, leader dei socialdemocratici, lo spiega a Repubblica dopo le agitazioni dei giorni scorsi.

Il rischio del conflitto non è «altissimo», precisa, «anche perché qui abbiamo il contingente Nato, ma sicuramente alto. Siamo una democrazia che confina con un’autocrazia, del resto. Prima dell’invasione dell’Ucraina le possibilità erano poche, ora la situazione è cambiata. Il primo episodio, conseguenza dell’idea fascista di panslavismo che il Cremlino ha, è stato l’Ucraina. Se avremo un secondo episodio, ad esempio in Transnistria, allora le probabilità che una terza guerra si sviluppi nei Balcani occidentali, e in Kosovo in particolare, saranno altissime».

Kurti spiega che è Mosca a comandare Belgrado nel rapporto col Kosovo. «Il 25 novembre scorso il premier serbo Vucic era a Sochi: era il diciannovesimo incontro con Putin in dieci anni, in media si vedono due volte all’anno», racconta. «Non è normale per dei leader di governo. In quell’occasione Vucic ha poi detto: “Abbiamo parlato di doppi standard e delle ipocrisie nelle relazioni internazionali. Putin ne è consapevole. Io gli ho mostrato il Nord del Kosovo sulla mappa”».

Il motivo delle agitazioni dei giorni scorsi, racconta Kurti, è arrivato nel settembre del 2021, quando «nell’ottica della reciprocità ho deciso di introdurre targhe temporanee per i serbi che entrano in Kosovo». E «loro hanno risposto facendo volare i Mig29 lungo il confine, dove si è precipitato l’ambasciatore russo e il ministro della difesa serbo. Aggiungo: il Centro umanitario Russia-Serbia costruito nel 2012 si trova ad appena 160 chilometri di distanza dallo studio in cui io e lei stiamo parlando», dice durante l’intervista. «E 151 membri del Parlamento serbo su 250 fanno parte del gruppo di amicizia con la Russia».

E ci sono stati movimenti anche dal punto di vista militare. «Lo scorso anno hanno pianificato 91 esercitazioni militari congiunte e ne hanno fatte 104. Le due più importanti si chiamano ScudoSlavo e Fratellanza Slava. Dall’agosto del 2001 la Serbia ha installato attorno al Kosovo 48 basi operative avanzate, 28 dell’esercito e 20 della gendarmeria. I veterani serbi sono diventati tutti pro-Russia. Come dire: il pericolo c’è e lo avvertiamo».

Ora Kurti ha posticipato al primo settembre l’entrata in vigore dei provvedimenti su documenti e targhe kosovare che hanno provocato le proteste nel nord del Kosovo a maggioranza serba. «Nella terza settimana di agosto ci sarà un incontro a Bruxelles tra noi e i serbi su aspetti generali delle relazioni Kosovo-Serbia, spero che contribuisca a ridurre la tensione», spiega.

Gli esponenti di Lista Serba hanno dichiarato che rimarranno contrari. Ma Kurti non cambia posizione: «Convertire le targhe introdotte da Milosevic è una decisione del mio governo. Hanno due mesi di tempo. Lo stesso vale per i documenti: domenica, per le poche ore in cui è stata in vigore, nei valichi di confine rimasti aperti ne sono stati dati 2.679 senza incidenti. Ecco perché hanno dovuto chiamare qualcuno per le barricate: la protesta non si è generata spontaneamente dal basso, è stata organizzata da Belgrado e supportata dalla Russia».

E c’è anche un’altra questione, ovvero la volontà del Kosovo di entrare nella Nato, che potrebbe generare altre tensioni con la Serbia. «È vero il contrario», dice Kurti. «La nostra partnership con il Programma di Pace e l’ingresso nella Nato contribuiranno a mantenere una pace duratura. Il nostro orientamento è trasparente. Ed è basato su valori euroatlantici».

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