Di Miriam Katiaka
Il suo primo film risale al 1935. Era una attrice che con eleganza sapeva curare la scena con una esuberanza straordinaria ed una eleganza pertinente a un contesto drammatico. Si chiamava Luisa Ferida. Una donna che portava dignità e coerenza oltre la cinepresa.
Innamorata di Osvaldo Valenti.
Un attore di primo piano, come Luisa, che il cinema lo vede al centro sin dal 1928, a questa data risale il suo primo film. Un “guascone”, come è stato definito. La settima arte vede in Osvaldo un protagonista. È al centro delle innovazione che la specificità di quest’arte ha avviato e che il neorealismo ha saputo cogliere in pieno successivamente.
Luisa e Osvaldo hanno lavorato con i maggiori registi che troveremo impegnati anche dopo il 1945. Entrambi aderiscono alla Repubblica Sociale di Salò e nella fase cruciale della storia della guerra si trasferisco sul set di Venezia dove il cinema impianta, lasciando Roma, la nuova città del cinema. Questa scelta costerà cara sia a Luisa che ad Osvaldo. A guerra finita, e dopo la macelleria di piazzare Loreto, vengono trucidati dai partigiani della brigata Osoppo. Lei era addirittura incinta. Già il primo figlio, Kim, lo persero dopo cinque giorni dalla nascita per asfissia. Lei ebbe anche un aborto.
Senza alcuna pietà e senza alcun decoro umano, in una Milano infiammata dagli scontri tra partigiani e repubblichini, vennero crudelmente fucilati. Tutto questo è raccontato lucidamente nel nuovo recente romanzo di Pierfranco Bruni per la casa editrice Tabula Fati di Marco Solfanelli.
Un titolo incisivo, che raccoglie su due righe, la sintesi di tutto: “Luisa portava in una mano una scarpetta di lana”. Pierfranco Bruni, con la sua forza narrativa e lirica, ricostruisce la tragedia attraverso un percorso, già consolidato nei suoi precedenti romanzi (si pensi a Claretta, alla notte del magistrato, a Moro), in cui mette in gioco ricordi e testimonianze di famiglia in una autobiografia che vede al centro la confessione del padre in un dialogare toccante e manifesto di un vissuto profondo e mai cancellato da interpretazioni ideologiche. È come se fosse il padre dello scrittore a dettare le pagine del libro.
Un incastro notevole in cui la storia è protagonista. Una storia in cui compaiono Italo Balbo, Mussolini, Badoglio, Claretta Petacci, appunto, gli attori dell’epoca fascista e i protagonisti di quella temperie oltre a un confronto con alcuni scrittori, tra i quali Carlo Mazzantini, che arricchiscono il panorama narrativo e narrante.
È un libro di alto spessore letterario e di profonda cultura scritto da un uomo che ha sempre posto all’attenzione il valore delle conoscenze e dello studio comparato in una dimensione marcatamente scientifica. Anche nel romanzo resta fondamentale, per Bruni, la ricerca della verità. La ricerca della verità e la metafora letteraria sono le chiavi per penetrare le maglie interettave di un romanzo serio, vissuto e tragico.
Nella storia tragica di un orrore Pierfranco Bruni ha riportato alla luce le ombre e i chiaroscuri e il terribile del dramma di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti. Una morte decisa dai partigiani della Pasubio. Ma da chi è stato ordinato questo atroce delitto? Il libro di Bruni è tutto da leggere e meditare. Titolo incisivo, che raccoglie su due righe, la sintesi di tutto: “Luisa portava in una mano una scarpetta di lana”. Il tragico che si è fatto destino. Il cinema italiano nella tragedia di Luisa e Osvaldo.