Le elezioni politiche del prossimo 25 settembre e le attese degli italiani all’estero
Caro Direttore,
abbiamo letto con grande interesse l’articolo: ”Schiavone, in Senato per rappresentare gli italiani all’estero”, pubblicato sulla stampa dell’emigrazione, con cui il segretario generale del CGIE ( Comitato generale degli italiani all’estero) – un cittadino italiano residente in Svizzera e attivo da sempre nell’ambito della nostra comunità- , ha annunciato la sua candidatura al Senato della Repubblica.
Non diciamo nulla di nuovo, se osserviamo che Schiavone vanta buone entrature negli ambienti politici romani ove si è distinto- ci sembra- come abile interlocutore del Ministero degli esteri e come portavoce altresì del partito democratico per le questioni migratorie. In vista ora della sua candidatura al Senato, molti connazionali, che lo hanno qui conosciuto e che aspirano a conoscerlo meglio, vengono sollecitando una più estesa ricognizione del suo profilo professionale. Ad esempio, qual è il suo diploma di laurea? Possiede, per caso, dei titoli academici? Che lavoro svolge?
Per parte nostra, riteniamo di fare cosa utile, caro Direttore, riportando alcune impressioni personali , raccolte negli scorsi anni a San Gallo, anche se non soltanto a San Gallo, del cui Comites Schiavone è stato uno dei leader indiscussi. .
Non crediamo di esagerare se diciamo che a colpirci allora in Schiavone sono state le sue arringhe ai connazionali, pronunciate col pugno chiuso.Schiavone era comunista, se ben ricordiamo, e il suo motto era, più o meno: Hasta la victoria, companeros. Ora, di questo egli pudicamente non parla nel suo articolo, ma fa male, secondo noi, perché gli esordi rivoluzionari gli conferiscono – ci sembra- un’aura romantica.
Vale la pena ricordare che in ambito consolare, un settore, questo, che il segretario del CGIE conosce molto bene, i tempi medi di attesa sono notoriamente lunghissimi e la situazione, purtroppo, non accenna a migliorare. Il rilascio del passaporto, per esempio, richiede tre o quattro mesi, mentre l’ottenimento della cittadinanza italiana iure sanguinis può richiedere anni. Ma anche accedere agli uffici è sovente un’impresa. Pensiamo perciò che sia lecito formulare la seguente domanda: Dove è stato Schiavone nei lunghi anni passati, quando l’accesso ai Consolati, specie dopo l’avvento del Covid, è diventato a poco a poco una impresa difficilissima, più difficile, osiamo affermare, della scalata del Cervino? Dove erano gli alti membri del CGIE, quando le autorità consolari hanno introdotto regole incongrue, imponendo, per esempio, l’obbligo per i cittadini di prenotare un appuntamento di sera e di notte? Dove si trovavano i pensosi rappresentanti della collettività italiana quando le liste di attesa nei Consolati hanno cominciato a proiettarsi verso l’infinito?
Sembra a noi che la responsabilità dell’indecoroso servizio prestato ai connazionali risieda, anzitutto, nella incapacità organizzativa dei consoli e dei diplomatici, i quali per lo più danno l’impressione di nascondersi dietro le circolari, le direttive ministeriali, gli accordi sindacali, le leggi e i commi di legge, con cui giustificano di volta in volta una penosa mancanza di iniziativa.
Ecco, ci piacerebbe se i futuri parlamentari della circoscrizione estera avanzassero proposte più contundenti, tali da smuovere la Farnesina dal suo endemico torpore. La prima misura da prendere, la più urgente, la più indifferibile, è il ripristino del libero accesso agli uffici e l’abolizione perciò dell’infausto sistema degli appuntamenti. La seconda misura riguarda, o dovrebbe riguardare, l’avvio di forme di concertazione tra il Ministero degli esteri e gli utenti dei servizi consolari.
Da ultimo, ma non per ultimo, vorremmo invitare i parlamentari che verranno eletti nella circoscrizione estero a prestare servizio per qualche settimana in uno dei nostri uffici consolari. Scopriranno che il problema più grave è l’inefficiente organizzazione del lavoro e, in tale ambito, le incongrue direttive digitali, il regime, inoltre, dei permessi e dei recuperi lavorativi, la stitichezza ancora degli orari, il distanziamento, infine, e quasi l’arroccamento di impiegati e consoli e, in una parola, l’inconscia paura dei funzionari consolari per la temuta invasione dei tamarri.
Con molti distinti saluti,
Maurizio Raviola