Lo scoppio della guerra in Ucraina ha alimentato nei media e nei social media diversi parallelismi con altre situazioni conflittuali presenti nel mondo. Una tesi molto diffusa in ambienti filo-russi e anti-atlantisti è quella della presunta equiparazione tra il caso del Donbass e quello del Kosovo. Secondo una posizione esplicitata dallo stesso presidente russo Vladimir Putin, le popolazioni di etnia russa del Donbass in Ucraina avrebbero lo stesso diritto all’autodeterminazione di cui hanno goduto gli albanesi del Kosovo, che hanno dichiarato l’indipendenza dalla Serbia nel 2008. Un parallelismo funzionale alle tesi russe, ma facilmente confutabile.
Le differenze storiche
Per quanto sulla recente e meno recente storia del Kosovo e dell’Ucraina esistono forti divergenze tra le parti in causa, alcuni fatti restano incontrovertibili. Il primo è quello demografico. Nel 1912, quando le truppe serbe entrarono in Kosovo, fino ad allora parte dell’Impero Ottomano, la maggioranza della popolazione era di etnia albanese. Una maggioranza che continuerà a crescere: il censimento del 1948, quando il Kosovo è parte della Jugoslavia socialista, ci dice che gli albanesi erano il 68% della popolazione e i serbi il 23%, mentre nel 1991 il divario era ulteriormente cresciuto, con gli albanesi a rappresentare ormai l’81% del totale. Questo dato è molto diverso da quello del Donbass. La composizione etnica delle regioni (oblast) di Lugansk e Donetsk è molto meno definita di quella del Kosovo. Per il censimento del 2001, nelle due regioni che compongono il Donbass, il 57% della popolazione si dichiarava ucraina, mentre i russi risultavano essere il 39%, nonostante la maggioranza della popolazione abbia indicato il russo come prima lingua. In Ucraina, difatti, la distinzione etnica tra ucraini e russi era spesso sfumata e non corrisponde necessariamente alla distinzione linguistica. Al netto delle interpretazioni, la tesi di un Donbass completamente russo non ha fondamenta.
Una seconda, rilevante differenza riguarda lo status costituzionale delle due aree. Nella Jugoslavia socialista, il Kosovo aveva confini definiti ed istituzioni proprie. A seguito della riforma costituzionale del 1974, inoltre, il Kosovo aveva assunto un status quasi identico a quello delle sei repubbliche che componevano la Federazione. Nel sistema di rotazione voluto da Tito, i rappresentanti kosovari si alternavano con quelli delle sei repubbliche e le autonomie concesse al Kosovo, in termini esecutivi (un governo) e legislativi (un parlamento), erano le stesse delle repubbliche, nonostante il Kosovo nominalmente rimanesse una provincia autonoma, il che gli negava il diritto alla secessione. Le autonomie garantite al Kosovo furono eliminate dal regime di Slobodan Miloševićnel 1989, una prova di forza a cui i deputati albanesi risposero promulgando una nuova Costituzione nel 1990 e dichiarando l’indipendenza del Kosovo nel 1991, votata dal 99% dei cittadini in un referendum (con un affluenza dell’87%).
Nel sistema dell’Unione Sovietica, invece, il Donbass non godeva di alcuna autonomia costituzionale, dato che le due regioni di Donetsk e Lugansk erano parte della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina senza vantare alcuna specificità istituzionale. Gli stessi residenti dei due oblast, rimasti tali anche nell’Ucraina post-sovietica, votarono in larga maggioranza a favore dell’indipendenza dell’Ucraina nel 1991.
Un terzo elemento riguarda infine gli sviluppi degli ultimi trent’anni. Non vi sono dubbi sul fatto che a partire dal 1989, gli albanesi del Kosovo fossero vittima di un regime di apartheid. Licenziamenti dal posto di lavoro, esclusione dalle scuole pubbliche, arresti arbitrari erano la realtà quotidiana. Una repressione che portò, alla fine del decennio, alla violenza, alla guerra tra l’esercito jugoslavo e l’Esercito di Liberazione del Kosovo, alle rappresaglie, gli stupri, le deportazioni, tutto ampiamente documentato dai report pubblicati da osservatori internazionali.
Un livello di violenza e di repressione che non ha eguali nell’est dell’Ucraina prima dello scoppio della guerra. Per quanto i russi del Donbass possano lamentare poco ascolto da parte di Kiev verso le loro richieste di autonomia politica, e senza negare che alcune misure in tema di istruzione e diritti linguistici adottate dalle istituzioni ucraine abbiano avuto conseguenze svantaggiose per le popolazioni russofone, le accuse da parte della Russia di “persecuzione” o addirittura “genocidio” verso la popolazione di etnia russa da parte del governo ucraino sono semplicemente false.
Intervento russo vs intervento americano
Queste sono solo le più evidenti tra le differenze esistenti tra la questione del Kosovo e quella del Donbass. Negare queste differenze è utile a chi vuole creare un parallelismo tra il recente intervento russo in Ucraina e quello della NATO contro la Jugoslavia del 1999. E’ un dato di fatto che i bombardamenti aerei della NATO sulla Jugoslavia avvennero senza l’avvallo di un voto favorevole del Consiglio di Sicurezza ONU, rappresentando un punto di rottura nella costruzione di un sistema di sicurezza europeo dopo la fine della Guerra Fredda. Per quanto la sua legalità può dunque essere discussa e messa in dubbio, è altrettanto vero che l’intervento americano andava ad affrontare una evidente escalation di violenza, in cui il susseguirsi di massacri a danno della popolazione civile faceva presagire il rischio di una nuova Srebrenica, oltre che un crescente flusso di profughi verso i paesi vicini, con evidenti rischi di destablizzazione regionale. Già nel corso dell’autunno-estate 1998, gli alleati occidentali fecero capire a Milošević che non avrebbero tollerato un’altra Bosnia, ma le minacce di bombardamenti non furono mai prese sul serio dal dittatore jugoslavo, che continuò imperterrito ad utilizzare la polizia e l’esercito per compiere massacri verso civili.
Come evidenziato in precedenza, questa situazione sul campo non trova alcun riscontro nell’Ucraina degli ultimi anni. L’operazione ordinata da Putin non ferma un massacro in atto, nè una crisi umanitaria, e il rimando alla tutela della popolazione del Donbass non è altro che una scusa per giustificare l’invasione militare di un paese vicino guidato da un governo democratico.
La dichiarazione di indipendenza: un precedente?
Dopo l’intervento NATO, e dopo quasi un decennio di protettorato ONU, il Kosovo si dichiarò indipendentein modo unilaterale nel 2008. L’indipendenza fu subito sostenuta dai partner occidentali, ed è oggi riconosciuta da più della metà dei paesi membri dell’ONU. Nel 2010, la Corte Internazionale di Giustizia ha sancito che la dichiarazione di indipendenza del Kosovo non viola il diritto internazionale.
I paesi occidentali hanno più volte sottolineato che l’indipendenza del Kosovo è un caso unico, dovuto alla crisi umanitaria creata dal regime di Belgrado. Il controllo della Serbia sulla sua ex-provincia, inoltre, è di fatto cessato nel 1999, dunque la dichiarazione di indipendenza, arrivata nove anni dopo e dichiarata da istituzioni legittime e democraticamente elette, ha reso ufficiale una situazione già esistente, ponendo fine ad un limbo giuridico. Tuttavia, la Russia ha adoperato il caso del Kosovo come precedentate da sfruttare nell’arena internazionale.
Putin, sia in occasione della dichiarazione di indipendenza della Crimea dall’Ucraina del 2014, che riferendosi al recente riconoscimentorusso delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, lo ha espressamente citato. Una citazione che, paradossalmente, non è affatto piaciuta dalle parti di Belgrado, che continua a negare l’indipendenza della sua ex-provincia meridionale.
Un paragone distorto
Non stupisce che Putin usi il Kosovo come precedente per giustificare l’invasione dell’Ucraina, nonostante l’evidente controsenso dato dal fatto che Mosca stessa rifiuta di riconoscere l’indipendenza di Pristina. Così come non stupisce che diversi media, anche in Italia, abbiano dato eco a tale tesi, “dimenticando” le differenze tra le due vicende. Accecati da anti-americanismo o simpatie filo-Putin, noti giornalistisono arrivati a negare la repressione e i massacri compiuti a danno degli albanesi, cercando di proporre una ingiustificabile equiparazione tra la condizione degli albanesi del Kosovo sotto il regime di Milošević e quella dei cittadini russi del Donbass nell’Ucraina indipendente. Un uso della storia molto pericoloso, distorto per usi politici, che va contrastato spiegando i fatti ed evidenziando le differenze.
Chi è Andrea Zambelli
Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.