Di Cristina Lovat
Grazie alla collaborazione fra l’ Istituto Italiano di Cultura a Tirana e Europe House Tirana, abbiamo avuto martedì 30 maggio l’incontro con una scrittrice di rango, che ha sempre fatto del suo scrivere un impegno civile ed etico.
Cresciuta nel carcere a cielo aperto dell’Albania comunista, Elvira Dones ci ha raccontato che, fin da bambina, si è addestrata a parlare poco e a pensare molto, ad osservare con occhi acuti il mondo, ad ascoltarne i suoni, primi fra tutti quelli delle lingue, con i quali ha impastato pensieri, e i suoni della musica, così importante da essere assurta a rango di personaggio, in un romanzo ancora in via di stesura.
Intervistata con grande competenza critica e intensità umana dal prof. Fabio Rocchi (autore del saggio “LE PRIME VOCI DELL’ITALOFONIA ALBANESE. Elvira Dones, Ornela Vorpsi, Anilda Ibrahimi”), Dones ci ha mostrato se stessa, con pudore e sensibilità, a partire dal suo primo romanzo, “Senza bagagli” (Besa, 1998), a cui seguì “Sole bruciato” (Feltrinelli, 2001).
Quest’ultimo nato dalla necessità etica di dare risposta alla lettera di una madre albanese, a cui era stata rapita la figlia ragazzina, all’uscita da un liceo di Tirana.
“Gentile scrittrice conosciuta……io cerco mia figlia Laura”. Così Dones, con una voce misurata e incrinata dall’emozione, ha raccontato al pubblico perché la tragedia delle ragazze albanesi fatte prostituire sulle strade italiane, della quale lei, giornalista d’inchiesta, raccoglieva da anni notizie di cronaca, ad un certo punto è diventata un libro, una storia necessaria: l’orrore doveva essere raccontato.
Famosi di Dones sono i romanzi “Vergine giurata” (Feltrinelli, 2007), da cui è stato tratto un film, e “Piccola guerra perfetta” (Einaudi, 2011), ma in tutti i suoi scritti, come ben sottolineava il prof. Rocchi, al centro troviamo elementi ricorrenti: tematiche transculturali proprie di una società complessa, una scrittura rigorosamente documentata, una prassi di lavoro che si impernia sulla capacità di tagliare e cucire storie, per dare loro il ritmo giusto e per liberarle da ogni rischio di caduta.
Rigore, impegno civile, denuncia, e nello stesso tempo sorveglianza su se stessa, per contenere il dolore.
Interessante la sottolineatura di Rocchi sull’uso da parte di Dones dell’ “indiretto libero”, per cui ascoltiamo i personaggi direttamente nei loro pensieri. Una cifra stilistica in linea con l’etica di Dones, che come documentarista è narratrice onnisciente, e allo stesso tempo, come scrittrice, sa porre la telecamera dietro al personaggio.
Per la casa editrice La nave di Teseo, uscirà fra pochissimi giorni in Italia l’ultimo libro della Dones: LA BREVE VITA DI LUKAS SANTANA.
Il tema è una riflessione sulla pena di morte e sulla legge americana delle bande.
Storia di vita e morte. “Una storia sugli ultimi della terra”, come ha detto lei.
Lukas Santana, a meno di 20 anni, è stato condannato a morte perché affiliato ad una sanguinosa banda in Texas, senza che lui avesse ucciso.
Arrestato perché aveva partecipato alla rapina di un benzinaio, 10 anni di “vita” nel braccio della morte, uno straordinario percorso di trasformazione umana, e l’esecuzione nel 2013.
Dones ha seguito per 7 anni la vita di questo ragazzo, ha cercato di entrare dentro, persino di riprodurre nel bagno di casa sua la dimensione allucinante dello spazio della cella (2 metri per 2,80), quello spazio che per 23 ore su 24, per 10 anni, ha rinchiuso vita e pensieri di un giovane uomo condannato a morte dallo Stato.
Lukas Santana è morto non da bestia, ma da essere umano, e per noi lo ha raccontato Elvira Dones.
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