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“La lettera al padre” – la chiave interpretativa dell’intera opera kafkiana

Verso il centenario della morte (1924-2024)

di Stefania Romito*

Franz Kafka. Lo scrittore che insieme a Dostoevskij e ad Edgar Allan Poe ha posto le basi della mia formazione non solo letteraria ma principalmente esistenziale. Ero ancora adolescente quando mi immersi in “America”, “Nella colonia penale”, nei racconti di “Meditazione”, di “Un medico di campagna” passando, inevitabilmente, dai più noti “Il processo”, “Il castello”, “La metamorfosi”. Opere kafkiane che ho penetrato negli anni dell’Università attraverso corsi monografici e che in seguito sono divenuti oggetto di mie relazioni in ambito accademico. Insomma, abito Kafta da quando ho interiorizzato la sua produzione letteraria-esistenziale, un viaggio nella parte più profonda del sé alla ricerca della radice di un conflitto nell’abisso del caos. Perché anche Kafka, come Nietzsche, sa che è nel caos che va ricercata la Verità.

Tuttavia vi è un testo che costituisce la chiave interpretativa la cui conoscenza non può essere in nessun modo omessa. Quella combinazione che apre la cassaforte che custodisce la matrice necessaria per cogliere l’essenza della scrittura kafkiana: “La lettera al padre” (Brief an den Vater) la cui pubblicazione avvenne postuma nel 1952.

Un testo autobiografico di capitale rilevanza per catturare la soggettiva visione del mondo raffigurante un atto di accusa contro l’educazione ricevuta dal rigoroso genitore, responsabile dei turbamenti psicologici dello scrittore. I meccanismi disfunzionali che dominano la relazione tra padre e figlio tra cui l’eccessiva severità, la mancanza di empatia, l’anaffettività e, soprattutto, il rifiuto da parte del padre della sua vocazione letteraria, sono i capisaldi di questo testo-confessione che troviamo, trasfigurati, nei romanzi e nei racconti kafkiani.

Quel senso di inadeguatezza ed emarginazione che connota il protagonista de “La metamorfosi” rinviene la sua più affliggente espressione nell’angosciante assenza di comunicazione tra i vari personaggi in cui spicca la figura di un padre che allontana il figlio perché troppo distante dai valori in cui crede. Una figura paterna che rinviene una suggestiva personificazione nel ruolo della Legge e dell’autorità del tribunale ne “Il processo”.

La lettera al padre”, considerato un testo-verità, indaga la genesi dei sentimenti ambivalenti di odio e amore che Kafka nutre nei confronti del padre Hermann prendendo le mosse dalla motivazione del sentimento di paura che avverte nei suoi confronti. Una intrinseca paura generata da anni di ansie, angosce, timori e turbamenti che hanno dominato la sua infanzia e adolescenza.

La disamina esistenziale si apre con la sofferta ammissione da parte di un figlio delle proprie manchevolezze prima fra tutte l’assecondamento in maniera totalizzante della propria vocazione letteraria. Predisposizione che il padre vive come un futile passatempo, motivo di allontanamento dall’attività commerciale di famiglia. Ma da un’attenta lettura si può cogliere il senso reale di questa ammissione che da confessione si trasforma in atto di accusa nei confronti del padre fautore di un’educazione totalmente priva di affetto.

Il nodo di gordio di questo rapporto conflittuale sembra incentrarsi sull’attività letteraria di Kafka nei confronti della quale l’austero genitore paleserà sempre un totale disinteresse e una disapprovazione profonda. Disinteresse e disapprovazione che alimenteranno i temi dell’indagine kafkiana che verterà su due principali direttive. La riconferma del valore peculiare che egli affida alla letteratura intesa come “via di fuga”, distaccata dalle problematicità del reale (una bolla di magia in cui essere realmente se stessi) e l’intrinseca consapevolezza che la figura del padre, trasfigurata nella Legge o nel destino imperscrutabile che governano le vite dei personaggi kafkiani, simboleggi un elemento fondante e imprescindibile della sua intera produzione narrativa. Una figura centrale nei confronti della quale si percepisce anche un sentimento di infinito amore in una costante attesa di una evidente ed inequivocabile corresponsione di sensi. Una aspettativa in Kafka destinata a rimanere disattesa. 

Nella vita così come nelle opere.

 «… un modo particolarmente bello, e molto raro a vedersi, di sorridere: placido, contento e promettente, che può rendere felice colui al quale è diretto. Non ricordo che nella mia infanzia mi sia stato espressamente rivolto, ma potrebbe benissimo essere accaduto, infatti perché mai avresti dovuto negarmelo allora, quando ti sembravo ancora innocente ed ero la tua grande speranza? Inoltre anche queste impressioni gradevoli alla lunga non hanno avuto nessun altro effetto se non quello di accrescere il mio senso di colpa e rendermi il mondo ancora più incomprensibile»

*giornalista e scrittrice

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